Oggi dopo vent’anni d’allora ritengo molto
importanti i risultati ottenuti all’epoca e sarebbe interessante
approfondire i percorsi e i metodi di ricerca adottati nel corso dell’evoluzione
del gruppo, percorrendo e analizzando il lavoro svolto in ogni singolo
spettacolo; ciò servirebbe ad inquadrare il lavoro del gruppo Potlatch
all’interno di un contesto storico che nei suoi massimi esponenti
produceva risultati analoghi. Ho avuto sottomano testi sull’opera di Robert
Fripp e Philipp Glass che negli stessi tempi producevano cose
analoghe, o perlomeno con la stessa metodologia, seppure con mezzi e
vedute diverse. Ho avuto modo di conoscere brani delle avanguardie
poetiche e letterarie che negli stessi anni cercavano d’interpretare il
momento che vivevamo, arrivando a descrivere la stessa materia. Il collage
del pensiero, la libera associazione di elementi contrastanti segnavano le
produzioni più avanzate dell’epoca e noi in parte consapevoli in parte
no, interpretavamo il reale. La voce sopra le righe di Jim Morrison,
di qualche anno prima ancora riecheggiava, il linguaggio poetico di David
Byrne supportato da una musica globale, risentiva dei più disparati
influssi e li amalgamava insieme. Non so, se potete condividere la mia
opinione sulla voce di Jim Morrison, ma ho sempre avvertito la
sensazione, quando lo ascoltavo, che egli fosse su di un altro pianeta,
che utilizzava una base musicale solo per giungere più in fretta nei
cuori e nelle menti di chi lo ascoltava. Mi sembrava allora e mi sembra
tutt’ora, che la voce debba costruirsi un suo strumento autonomo
riconoscibile tra gli altri, riprendendo la lezione di Demetrio Stratos,
credo che chiunque usi la voce, senza pensare immediatamente al mercato e
provenendo da un lungo periodo di silenzio ideologico, debba confrontarsi
con quanto di meglio è stato fatto. Quando, anni dopo apparve Kurt
Cobaine e la musica dei Nirvana ed oggi Eminem con il
suo canto urlato, mi resi conto che qualcuno aveva seguito lo stesso
percorso ed era arrivato lì dove volevo arrivare, seppure completamente
indistinguibile tra esperienza vissuta o disperata e operazione
commerciale. Suoni dissonanti e voci lancinanti. Una volta esistevano i
DJ, quelli che mettevano i dischi; oggi leggo tra i testi prodotti da
alcuni di loro che si definiscono “Decompositori”. Essi decompongono e
ricompongono i materiali sonori disponibili, schierandosi ideologicamente
dalla parte della ricerca e producendo documenti che ben rappresentano la
realtà che ci circonda, un ottimo esempio di come partendo dalla
destrutturazione si arrivi alla ristrutturazione, in unica parola, alla
molteplicità dalle Lezioni Americane di Calviniana memoria.
Numerosi altri riferimenti mi piacerebbe fare per dimostrarvi dove è
andata a finire l’Arte d’oggi e come ci muovevamo nella stessa
direzione ma ho già occupato molte pagine di testo. E’ interessante
notare come persone diverse in punti diversi del pianeta sentano il mondo
allo stesso modo. Ancora più interessante sarebbe scandagliare le
affinità e le differenze. Prendete ad esempio lo sviluppo che ha seguito
la struttura della classica Rock-band. Una volta questa struttura era
molto rigida: Basso e Batteria, chitarra solista e tastiera. Oggi questa
configurazione non ha nessun limite, prime fra tutte sono state le
contaminazioni offerte dal Jazz, e dalla musica Etnica e popolare e poi
qualsiasi struttura diventa plausibile. Qualsiasi configurazione d’
Ensemble è legittima e valida. I Potlatch senz’altro fra i loro meriti
possono annoverare quello di essere stati sempre aperti al confronto con
tutti i musicisti presenti sul territorio, e di aver offerto ad ognuno di
quelli che saliva con noi sul palco le stesse possibilità di espressione.
Dando vita spesso a formazioni ibride e inusuali, ne ricorderò solo
due, per chi ha memoria, gli “Aconcagua” ed i “Better Cocks”.
Formazioni spesso nate per una sola occasione che in alcuni casi potevano
dare origine a sviluppi imprevedibili.
Antonio Iorio
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