Carnevale di Napoli, un
anno imprecisato tra il 1980 e Il 1984. Eravamo stati invitati a
partecipare gratuitamente dagli organizzatori della manifestazione. Io
personalmente non ne sapevo molto quando partimmo tranquilli verso la mia
città natale. Napoli, conservava un fascino notevole come sempre; ma noi,
che c’eravamo sempre proposti di stringere rapporti più stretti con il
capoluogo, avevamo privilegiato Roma, che in quegli anni aveva
rappresentato un punto di riferimento.
Napoli, in quegli anni si
presentava un po’ stanca, sempre più distrutta nel corpo e nell’anima.
Le amministrazioni locali avevano lasciato un cattivo segno, rendendo
quasi impossibile l’organizzarsi. Un po’ dello smalto storico si
andava perdendo nella caotica realtà metropolitana.
All’inizio avevo
sottovalutato la manifestazione ed i napoletani. Durante il viaggio in
macchina ricordo che chiesi qual’era il motivo che ci spingeva a
partecipare; visto che nei programmi si annunciava una giornata
massacrante e senza alcun compenso. Ricordo che Franco mi rispose: “Come,
il Carnevale di napoli? T’immagini cosa potrà mai essere, Spacca-Napoli
il cuore della città, la gente.” Gli diedi ragione l’occasione era
interessante sotto molti aspetti ma avevo l’idea che il carnevale di
Napoli fosse qualcosa di vecchio, sorpassato; certo niente a che vedere
con quello che era diventato il colto Carnevale di Venezia.
Credevo e sbagliavo, che
dato che il Carnevale a Napoli non era stato ancora rivalutato
culturalmente mi sarei trovato davanti una delle solite manifestazioni
popolari con tarantelle e funiculi’. Così era e così fu, ma non avevo
considerato l’elemento più importante, quello che fa la differenza in
queste occasioni, la forza e l’energia del popolo Napoletano. Come al
solito trovammo un posto dove cambiarci nei pressi del punto di
concentrazione con largo anticipo. Intanto intorno montava la festa e l’eccitazione.
Io, all’interno dello spazio che ci era stato messo a disposizione, non
mi rendevo conto di quello che accadeva all’esterno, e poi tutto sommato
mi sembrava esagerato. Quando scendemmo per strada con i nostri strumenti
e nei nostri improbabili costumi di scena mi resi subito conto di trovarmi
in mezzo al popolo più allegro e coinvolgente del mondo, il mio popolo,
la mia gente. Se mai un giorno qualcuno mi chiedesse con chi vuoi fare la
Rivoluzione non potrei fare a meno di rispondere “Affianco ai Napoletani”.
Iniziammo il nostro solito repertorio da strada e subito ci rendemmo conto
del potere trascinatorio e richiamatore che avevano quei suoni. Una folla
incredibile si raccolse attorno, diventammo il centro della
manifestazione. Il tempo passava la strada si riempiva sempre di un
maggior numero di persone, in ogni punto dove transitavamo raccoglievamo
proseliti che ci seguivano e per di più partecipavano con tutti mezzi che
potevano trovare a disposizione. Dopo un ora eravamo spompati non c’é
la facevamo più il ritmo era elevato. Eravamo partiti sparatissimi ed ora
ne pagavamo le conseguenze. Non appena demmo segno di stanchezza fummo
subito immediatamente irrorati da un incitamento così sentito che ci
caricava minuto dopo minuto sempre di più, da quel momento fu un
crescendo fino alla fine. Non sentimmo più la stanchezza. L’incalzare
della gente era sincero; essi volevano divertirsi, e non volevano che
quella giornata finisse cosi presto ma sopratutto, sembrava che essi non
sapessero dove fermarsi, ne perché fermarsi. C’era nell’aria la
sensazione che si sarebbe potuto proseguire all’infinito e se qualcuno
avesse detto andiamo fino a.... Nessuno avrebbe obiettato. L’energia che
si raccoglieva attorno la leggevi negli occhi della gente che ti veniva
vicino, ti stringeva, ti toccava, ti urlava di continuare, di metterci
ancora più forza. Alcuni sprovvisti di strumenti ci chiedevano se
avessimo avuto qualcosa per aiutarci, altri rimediavano tutto quello che
trovavano per strada che fosse in grado di produrre un volume di rumore
consistente. Chi batteva bottiglie chi scarpe o zoccoli. Come capitava
sempre nelle nostre itinerazioni; tutti i pazzi uscirono dalle case, dagli
angoli dove erano stati nascosti ed isolati. Più di uno vedemmo eccitato
partecipare alla festa con spirito liberatorio. Il distacco che aveva
caratterizzato la mia partenza ed i primi momenti si dissolse, non avevo
mai sentito un tale passaggio di energia scorrermi nelle vene, ed ora
viaggiavo lanciatissimo, correvo ed incitavo anch’io come gli altri i
più folli, mi lasciavo andare a grida e urla di gioia delle più
scomposte e irregolari, niente mi avrebbe fermato. Una volta che il motore
era stato avviato da una miscela così esplosiva nulla mi avrebbe fermato.
Non mi fermai in tempo davanti al banco di un venditore abusivo di
sigarette di contrabbando, che apparve tra la folla e che rovesciai,
suscitando il disappunto dell’addetto e di qualche suo amico che fu
immediatamente rabbonito dalla folla. Forse si trattava di una donna
robusta che raccolse le sue sigarette bestemmiando. Ricordo di aver
lanciato in aria qualche pacchetto di sigarette che andò omaggio nelle
mani protese. La sezione fiati del gruppo era davvero provata, era molto
dura per chiunque, suonare qualcosa di suonabile e reggere quel ritmo. “Agos”
e “Amed” avevano le mani sanguinanti dal percuotere. alcuni strumenti
erano distrutti . Ricordo i vecchi piatti da banda che portavamo: si erano
rivoltati al contrario come calzini, per essere stati suonati in malo modo
per troppo lungo tempo e sarebbero stati per sempre inservibili. Dopo quel
giorno uno di essi fu appeso fuori la finestra dello studio, e li rimase
per lungo tempo a raccogliere la pioggia e i suoni della strada. Era un po’
la stessa atmosfera che avevo respirato nel ‘77 nelle manifestazioni del
“movimento”, sopratutto quelle che vedevano fra i protagonisti i cosiddetti
“Indiani metropolitani”con la loro gioia anarchica e libertaria. La
differenza sostanziale era determinata dall’autentica forza
rivoluzionaria, espressa dai napoletani aldilà di qualsiasi ideologia. Il
retro gusto amaro delle manifestazioni del ‘77, era dato dagli sguardi
ombrosi di quelli che la politica la vedevano come una cosa esclusivamente
seria. Ognuno degli spettacoli a cui abbiamo partecipato ha costituito una
fase di un percorso, ci é servito a capire qualcosa sui meccanismi che
regolano il rapporto tra l’attore esecutore, il suo pubblico ed il
materiale che si costruisce nell’amalgama degli elementi. Altre volte,
in altre occasioni ci é capitato di avere a che fare con pubblici
campani, duri; questi hanno generato altre forme, in cui il rapporto col
sociale era più mediato, meno istintivo e salutare di quell’incredibile
giornata napoletana. |