Archivio dei musicisti e gruppi casertani

Potlatch
animazione / teatro / musica 

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I Potlatch parte 12°:
Potlatch Carnival
di Antonio Iorio

Carnevale di Napoli, un anno imprecisato tra il 1980 e Il 1984. Eravamo stati invitati a partecipare gratuitamente dagli organizzatori della manifestazione. Io personalmente non ne sapevo molto quando partimmo tranquilli verso la mia città natale. Napoli, conservava un fascino notevole come sempre; ma noi, che c’eravamo sempre proposti di stringere rapporti più stretti con il capoluogo, avevamo privilegiato Roma, che in quegli anni aveva rappresentato un punto di riferimento.

Napoli, in quegli anni si presentava un po’ stanca, sempre più distrutta nel corpo e nell’anima. Le amministrazioni locali avevano lasciato un cattivo segno, rendendo quasi impossibile l’organizzarsi. Un po’ dello smalto storico si andava perdendo nella caotica realtà metropolitana.

All’inizio avevo sottovalutato la manifestazione ed i napoletani. Durante il viaggio in macchina ricordo che chiesi qual’era il motivo che ci spingeva a partecipare; visto che nei programmi si annunciava una giornata massacrante e senza alcun compenso. Ricordo che Franco mi rispose: “Come, il Carnevale di napoli? T’immagini cosa potrà mai essere, Spacca-Napoli il cuore della città, la gente.” Gli diedi ragione l’occasione era interessante sotto molti aspetti ma avevo l’idea che il carnevale di Napoli fosse qualcosa di vecchio, sorpassato; certo niente a che vedere con quello che era diventato il colto Carnevale di Venezia.

Credevo e sbagliavo, che dato che il Carnevale a Napoli non era stato ancora rivalutato culturalmente mi sarei trovato davanti una delle solite manifestazioni popolari con tarantelle e funiculi’. Così era e così fu, ma non avevo considerato l’elemento più importante, quello che fa la differenza in queste occasioni, la forza e l’energia del popolo Napoletano. Come al solito trovammo un posto dove cambiarci nei pressi del punto di concentrazione con largo anticipo. Intanto intorno montava la festa e l’eccitazione. Io, all’interno dello spazio che ci era stato messo a disposizione, non mi rendevo conto di quello che accadeva all’esterno, e poi tutto sommato mi sembrava esagerato. Quando scendemmo per strada con i nostri strumenti e nei nostri improbabili costumi di scena mi resi subito conto di trovarmi in mezzo al popolo più allegro e coinvolgente del mondo, il mio popolo, la mia gente. Se mai un giorno qualcuno mi chiedesse con chi vuoi fare la Rivoluzione non potrei fare a meno di rispondere “Affianco ai Napoletani”. Iniziammo il nostro solito repertorio da strada e subito ci rendemmo conto del potere trascinatorio e richiamatore che avevano quei suoni. Una folla incredibile si raccolse attorno, diventammo il centro della manifestazione. Il tempo passava la strada si riempiva sempre di un maggior numero di persone, in ogni punto dove transitavamo raccoglievamo proseliti che ci seguivano e per di più partecipavano con tutti mezzi che potevano trovare a disposizione. Dopo un ora eravamo spompati non c’é la facevamo più il ritmo era elevato. Eravamo partiti sparatissimi ed ora ne pagavamo le conseguenze. Non appena demmo segno di stanchezza fummo subito immediatamente irrorati da un incitamento così sentito che ci caricava minuto dopo minuto sempre di più, da quel momento fu un crescendo fino alla fine. Non sentimmo più la stanchezza. L’incalzare della gente era sincero; essi volevano divertirsi, e non volevano che quella giornata finisse cosi presto ma sopratutto, sembrava che essi non sapessero dove fermarsi, ne perché fermarsi. C’era nell’aria la sensazione che si sarebbe potuto proseguire all’infinito e se qualcuno avesse detto andiamo fino a.... Nessuno avrebbe obiettato. L’energia che si raccoglieva attorno la leggevi negli occhi della gente che ti veniva vicino, ti stringeva, ti toccava, ti urlava di continuare, di metterci ancora più forza. Alcuni sprovvisti di strumenti ci chiedevano se avessimo avuto qualcosa per aiutarci, altri rimediavano tutto quello che trovavano per strada che fosse in grado di produrre un volume di rumore consistente. Chi batteva bottiglie chi scarpe o zoccoli. Come capitava sempre nelle nostre itinerazioni; tutti i pazzi uscirono dalle case, dagli angoli dove erano stati nascosti ed isolati. Più di uno vedemmo eccitato partecipare alla festa con spirito liberatorio. Il distacco che aveva caratterizzato la mia partenza ed i primi momenti si dissolse, non avevo mai sentito un tale passaggio di energia scorrermi nelle vene, ed ora viaggiavo lanciatissimo, correvo ed incitavo anch’io come gli altri i più folli, mi lasciavo andare a grida e urla di gioia delle più scomposte e irregolari, niente mi avrebbe fermato. Una volta che il motore era stato avviato da una miscela così esplosiva nulla mi avrebbe fermato. Non mi fermai in tempo davanti al banco di un venditore abusivo di sigarette di contrabbando, che apparve tra la folla e che rovesciai, suscitando il disappunto dell’addetto e di qualche suo amico che fu immediatamente rabbonito dalla folla. Forse si trattava di una donna robusta che raccolse le sue sigarette bestemmiando. Ricordo di aver lanciato in aria qualche pacchetto di sigarette che andò omaggio nelle mani protese. La sezione fiati del gruppo era davvero provata, era molto dura per chiunque, suonare qualcosa di suonabile e reggere quel ritmo. “Agos” e “Amed” avevano le mani sanguinanti dal percuotere. alcuni strumenti erano distrutti . Ricordo i vecchi piatti da banda che portavamo: si erano rivoltati al contrario come calzini, per essere stati suonati in malo modo per troppo lungo tempo e sarebbero stati per sempre inservibili. Dopo quel giorno uno di essi fu appeso fuori la finestra dello studio, e li rimase per lungo tempo a raccogliere la pioggia e i suoni della strada. Era un po’ la stessa atmosfera che avevo respirato nel ‘77 nelle manifestazioni del “movimento”, sopratutto quelle che vedevano fra i protagonisti i cosiddetti “Indiani metropolitani”con la loro gioia anarchica e libertaria. La differenza sostanziale era determinata dall’autentica forza rivoluzionaria, espressa dai napoletani aldilà di qualsiasi ideologia. Il retro gusto amaro delle manifestazioni del ‘77, era dato dagli sguardi ombrosi di quelli che la politica la vedevano come una cosa esclusivamente seria. Ognuno degli spettacoli a cui abbiamo partecipato ha costituito una fase di un percorso, ci é servito a capire qualcosa sui meccanismi che regolano il rapporto tra l’attore esecutore, il suo pubblico ed il materiale che si costruisce nell’amalgama degli elementi. Altre volte, in altre occasioni ci é capitato di avere a che fare con pubblici campani, duri; questi hanno generato altre forme, in cui il rapporto col sociale era più mediato, meno istintivo e salutare di quell’incredibile giornata napoletana.

 

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