Archivio dei musicisti e gruppi casertani

Potlatch
animazione / teatro / musica 

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I Potlatch parte 7°:
Nella giusta direzione
di Antonio Iorio

Oggi, dopo vent’anni d’allora; mi è capitato più volte di avere la conferma, dallo sviluppo delle forme contemporanee, che ci stavamo muovendo nella giusta direzione. Ci è mancata la forza e la maturità per capire che bisognava perseverare. Alcune delle scelte compiute già andavano in questo senso. Senza perdere la forza e l’originalità dell’input inziale si poteva trasformare l’esperimento in una realtà professionale che avrebbe garantito un futuro migliore e avrebbe prodotto risultati apprezzabili e professionalmente validi che apparivano, allora, in una forma embrionale. La realtà circostante era scoraggiante e muoversi aldi fuori degli schemi rendeva tutto più difficile. La molla originaria che ci aveva spinto a metterci insieme era l’esigenza di sconfiggere le barriere esistenti fra le varie forme d’Arte. Per questo il Teatro fu scelto come luogo possibile di coalizione. Artisti provenienti da esperienze diverse si univano intorno ad un progetto comune; in cui, almeno idealmente, i mezzi espressivi erano equivalenti e concorrevano alla realizzazione del prodotto finale. Personalmente avevo avuto modo di scoprire sui banchi di scuola dell’Istituto Statale d’arte di San Leucio che: la rappresentazione del progetto Architettonico contemporaneo, riteneva insufficiente l’ambito bidimensionale del foglio per presentare le proprie visioni. Veniva utilizzata la performance come metodo d’indagine e illustrativo unico possibile a rappresentare il paradosso delle contraddizioni. Un riconoscimento va fatto alla rassegna organizzata dall’allora Teatro studio di Caserta, che offrì la possibilità di vedere quali erano i canoni della rappresentazione post-moderna in occasione di “Passaggio a Sud-Ovest” Caldo-freddo. Sempre sui banchi di scuola, grazie agli insegnamenti degli insegnanti Napoletani: Cipriani, Mele, Pasquali ed altri, ebbi modo di sperimentare la performance come metodo d’indagine sul territorio, per capire i limiti di una progettazione asettica. Per capire la realtà e lo spazio, le esigenze di coloro che avrebbero dovuto vivere negli spazi progettati. D’altro canto Paolo V. per suo conto seguiva un percorso parallelo nelle Arti visive, giungendo alle stesse scelte formali. Franco B. anarchico e situazionista percorreva nella sua vita con l’incedere di chi non vuole nulla togliere e nulla avere. Solo vivere . Giovanni V. fotografo e musicista attraverso un percorso di vita sofferente e disperato contribuiva con la sua estrema sensibilità e ben si amalgamava alle visioni poetiche che costruivamo. Amedeo F. aveva un orecchio ed un occhio sempre attento alle nuove tendenze, senza anticiparle ma sempre interpretandole. Agostino S. vulcanico e carismatico trascinava tutto in un vortice ritmico in cui il bene e il male si sovrapponevano perdendo le proprie caratteristiche peculiari e forse rendendo più difficile ma più interessante capire dove stavamo andando. Io, popolavo la mia vita di visioni continue e le mie visioni erano popolate dai personaggi della vita reale; da questo interscambio tra mondi egualmente concreti nascevano le peggiori e le migliori cose prodotte in quel periodo. Numerose altre collaborazioni hanno dato il loro contributo importante, sarebbe troppo lungo elencarle. Avevamo un idea forte e vincente, unire le forme d’Arte, ora bisognava provarci e non era detto che ci saremo riusciti. La prima occasione fu la performance ”Aversa Trips”(79) che marcava molto il versante dell’azione concettuale e istintiva. Segui l’azione scenica “Performance in tre atti” presso il belvedere di S. Leucio che offri ad ognuno di noi la possibilità di sondare un terreno individuale di ricerca. A questo punto realizzammo la prima opera di gruppo, su di un vero palcoscenico che per la prima, fu quello della Quarta Rassegna Internazionale di Teatro laboratorio, organizzata da Gennaro Vitiello a Torre del Greco (NA).

In quest’occasione avemmo modo di sperimentare il mezzo Teatro così come era universalmente conosciuto. Scegliemmo di rappresentare una storia ispirata da un breve racconto di Edgar Allan Poe, La Pantomima della morte rossa. Il nostro primo approccio con il Teatro vero non poteva che essere sfiorato dalla Letteratura, ma non avremmo parlato per non essere servitori della parola scritta; non avremmo aperto bocca fino a quando, negli anni successivi, non c’è ne fu bisogno e non divenne esigenza sentita. Il nostro primo amore per il mezzo teatrale fu verso un corpo libero nello spazio che si muoveva tra luci e suoni. Tutto questo coincideva con la presa di coscienza fisica e spirituale, ultimo atto del “Movimento77” eredità del “68” uno dei suoi ultimi slogan di pensiero era stato il grido mai urlato, ma ripetuto in tutte le assemblee e le riunioni dell’epoca: “Il personale è politico e il politico é personale” che altro non era se non un grido di estrema libertà e di sfida agli ideologismi, partendo da una presa di coscienza della propria corporalità e della propria individualità. Nel racconto di E.A.P. un gruppo di persone si rinchiudeva all’interno di un castello mentre fuori impazzava la peste. Né più né meno di quello che significava per noi partecipare al progetto stesso, quando c’isolammo per mesi nel Teatro Comunale di Caserta per le prove. Eravamo chiusi in una sala buia su di un vecchio palcoscenico all’Italiana con il graticcio vecchio e polveroso. Non avevamo nessun mezzo tecnico al di fuori dei nostri corpi e dei nostri strumenti. Decidemmo di seguire il filo logico rappresentato dalle sette sale colorate descritte nel racconto. Per ogni sala cambiavamo la gelatina colorata davanti all’unico faro che avevamo in prestito. Devo precisare a questo punto che tutti i riferimenti alla scarsezza di mezzi non vogliono commuovervi come elementi di un romanzo Ottocentesco, o ancor peggio, giustificare risultati; essi, servono unicamente a dire che l’opera finale, il prodotto esposto, altro non é se non la migliore mediazione ottenibile tra l’idea iniziale ed i suoi sviluppi, e i mezzi impiegati. E’ all’interno di questa mediazione che và letto il risultato ottenuto alla luce del contesto storico che lo determina. Torniamo alla pantomima; dividemmo lo spettacolo in sette parti, ognuna di esse era caratterizzata da un colore e questo colore dominava, inizialmente solo la nostra reazione emotiva; diventando poi la chiave di lettura delle diverse sequenze. Scarsità di mezzi e semplicità di vedute avrebbero prodotto un opera lineare e corretta. Oggi, che le strutture dei linguaggi si sovrappongono non posso che riconoscermi in una ricerca minima; che porta alla costruzione di una struttura unica di base, la chiave di lettura generale, la matrice. Cominciammo a provare tirando fuori ciò che ci suggeriva il colore prescelto con lo strumento che a ciascuno era congeniale. Cercavamo un armonia di vedute, discutevamo su tutto, non si sarebbe potuto fare diversamente. Nacque così l’idea della regia collettiva che sempre ci avrebbe accompagnato e contraddistinto, dando quell’impronta Zingaresca, Balcanica direi oggi, alle nostre produzioni. L’idea del movimento e del cambiamento si andava a definire nel concetto più ristretto ma più reale di area; che comprendeva nel suo insieme un ampio gruppo di persone che gravitavano intorno ai Potlatch e ci arricchivano. Un altra primavera d’idee e di crisi.

Successivamente ci accorgemmo che era difficile trovare gli ambiti adatti a rappresentare quel tipo di lavoro che pure ci era molto congeniale. S’inserisce a questo punto Agos, che trascinò tutto sul versante musicale, e al quale sinceramente non interessava niente di una ricerca fatta sui mezzi Teatrali, che non fossero ad indirizzo comico o vagamente sociale, in altre parole egli c’indirizzo verso una forma più popolare; che era senz’altro necessaria per garantirci la possibilità di accedere a quei circuiti minimi disponibili sul mercato di allora. Anche se questa scelta ci allontanò quasi definitivamente dalle nostre ricerche. La battaglia era sempre aperta, ma l’esigenza di sopravvivere con il frutto del nostro lavoro ci rendeva più inclini ad accettare compromessi. Iniziammo un percorso multiplo che ci portava a misurarci con diverse forme di spettacolo. I risultati raggiunti nelle nostre ricerche ed esperienze ci consentivano di accettare qualsiasi tipo d’ingaggio trasformando in breve tempo quello che era il nostro repertorio, adattandolo all’occasione. L’aspetto sicuramente positivo, della piega che avevano preso gli avvenimenti, era dato dalla scoperta di un linguaggio musicale che portava alla costruzione di veri e propri “pezzi” che successivamente divennero canzoni. Una miscela costituita d’arrangiamenti musicali che si muovevano liberamente attraverso i generi, unendoli a performance teatrali e gags comiche produceva un ibrido che iniziava ad interessare e divertire un sempre maggiore numero di persone. Quale risultato avrebbe prodotto una ricerca in questa direzione? La mia storia col gruppo s’interruppe nel 1984 dopo la prima dell’ultima produzione che ci vide insieme “Faxy City”. Dal 1979, al 1984 avevamo condiviso tutto o quasi, eravamo passati attraverso esperienze atipiche, lavorando in scuole di diverso grado, carceri minorili, locali e circoli underground di mezza Italia, nelle piazze del Sud, nei festival dell’Unità della provincia, nelle fiere e nelle sagre di paese, in qualche televisione locale ed anche sul primo canale Nazionale. Ci eravamo misurati con diverse forme di spettacolo, acquistando esperienze in tutti gli ambiti della produzione. Da quel momento altri avrebbero proseguito il cammino. Anche se mai sarebbe più stato come prima, almeno per me.
(Continua)

Antonio Iorio

 

 

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