Archivio dei musicisti e gruppi casertani

Potlatch
animazione / teatro / musica 

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I Potlatch parte 6°:
Due cose brevissime sulle droghe
di Antonio Iorio

Due cose brevissime sulle droghe: sì! E’ vero, usavamo delle droghe, posso testimoniare di aver visto di persona alcuni membri dei Potlatch comprare le sigarette presso i rivenditori di Tabacco dei monopoli di Stato, alcuni altri, quasi tutti i giorni bevevano sostanze altamente alcoliche, io stesso devo confessare di aver provato queste sostanze inebrianti, non posso citare le marche per pubblicizzare il loro uso dannoso alla salute e alla morale pubblica. Tuttavia alcuni fumavano sostanze illecite e praticavano il sesso liberamente. Altri praticavano il sesso libero per un mondo libero, ma usavano sostanze illecite definite pesanti; ricordo bene gli sforzi di cui si sobbarcavano per trasportare i pesanti carichi, frustati dagli spacciatori che li seguivano a breve, incitandoli a colpi di frusta e urlando “te lo do! io il Teatro e la musica”. Essi subirono tutte le gravi conseguenze che potete immaginare, ancora oggi quelli che sono sopravvissuti portano tracce visibili del martirio sul proprio corpo. Mi rendo conto che è difficile parlare di un argomento tabù, per cui mi limiterò a raccontare esperienze personali senza coinvolgere alcuno. Personalmente ho usato tutti i tipi di sostanze stupefacenti disponibili allora, sul mercato. Ma questo fa parte della mia vita privata e posso giurarvi che non ha mai influito direttamente sulle scelte artistiche. Era tutto il contesto che rifletteva una visione di rottura. Nella considerazione popolare: artisti, froci, ladri e puttane fanno parte della stesso lato del mondo, cioè di quello sbagliato, di quello perdente. Ed io mi consideravo onorato di essere imparentato con tanta brava gente. Mi divertivo a passare da un ambiente all’altro, rimettendoci le penne, procurandomi crisi d’identità al punto d’essere soprannominato “Zelig”. Dunque, alla base di tutto c’era una scelta ideologica che mi portava ad essere innamorato della parte illuminata del mondo e affascinato dalla parte oscura. Nell’emisfero oscuro raccoglievo gli stimoli e le allucinazioni delle mie visioni, conducendo una vita per alcuni aspetti ascetica, rifiutando qualsiasi compromesso col denaro e con chi lo gestiva, al punto da digiunare, cibandomi d’erba di campo condita all’insalata. In tutto questo l’uso delle droghe s’inserii in maniera dirompente. L’inappetenza che produceva come effetto secondario mi spinse a credere nella teoria delle mutazioni umane; mi convinsi che potevo nutrirmi di soli limoni, ghiaccioli al limone e limonate, per poi scoprire dopo qualche giorno, quando già le vertigini della fame mi ponevano in uno stato allucinatorio, di essere in grado di divorare un bue intero e di vedere la Madonna che ballava il tip-tap. Questo effetto era migliore della più potente droga esistente sul mercato. Ricordo una sera, dopo vari giorni di digiuno completo; qualcuno mi raggiunse nella mia strana abitazione abusiva di S. Leucio per invitarmi ad una festa presso il circolo “Segnali d’accelerazione “ ad Acerra. Non c’era niente da mangiare, bevvi un sorso, solo un sorso d’alcool. L’alcool entrò immediatamente in circolo e fu assorbito dall’intero organismo. Ero completamente ubriaco come se avessi bevuto un litro di Bour-bon. Non avevo bisogno di perdermi nei paradisi artificiali. Di paradisiaco nella mia vita c’era ben poco e l’artificio faceva parte più che altro della messa in scena come il sacrificio. Come gli x-man della Marvel americana mi sentivo nella mia città un diverso e come un super-eroe di carta suscitavo sospetto e diffidenza. Così, come un super-eroe dei comics utilizzavo il mio superpotere personale; che altro non era se non la capacità di percepire il cambiamento prima che accada, tutt’al più supportato da condizioni particolari che potevano migliorare o alterare la percettività sensoriale. “Giravo le strade vestito di nero, provocando la riprovazione delle classi sociali, tra cui le più bellicose il sottoproletariato dei quartieri si sentiva sfidato” la piccola e media borghesia era offesa dalla semplice presenza. Non avendo bisogno di cibarmi, non dovevo procurarmi il denaro, quindi potevo occuparmi di dove si fermasse il tempo, quanto tempo restasse in questo luogo inaccessibile, come trascorresse il tempo libero, quali scenari fantastici si costruivano sotto i suoi occhi. L’unico episodio, in cui si verificò una circostanza in scena, collegato all’uso delle sostanze fu in occasione della rappresentazione “La Pantomima scarlatta” presso il Teatro Comunale di Caserta. In quell’occasione introducemmo, all’interno di una scena orgiastica, una bottiglia, che doveva passare di mano in mano tra tutti i presenti sul palco a simboleggiare l’estremo tentativo unanime dei partecipanti ad allontanare il pericolo esterno costituito dalla peste, che circondava il palazzo dove si svolgeva la festa. Per evitare che la bottiglia arrivasse vuota ancor prima d’iniziare e qualcuno più allegro degli altri, inserimmo del semplice tè nella bottiglia trasparente che con il suo colore ambrato poteva essere scambiato per dell’ottimo whisky. Ma qualcuno, per inserire un elemento di rottura in questo espediente che veniva considerato anti-teatrale, introdusse nella bottiglia di tè un frammento di acido, come veniva definito quel piccolissimo cartoncino imbevuto di una minima dose di allucinogeno. Quando la notizia si sparse la scena era già in corso, l’accaparramento della bottiglia divenne parte del rituale rappresentato, ma solo uno avrebbe potuto usufruirne. Tutti bevevano ma nessuno poteva esser certo di aver ingerito qualcosa di più di un po' di tè, per cui ritengo che alcuni subissero una sorta di effetto placebo. La scena riuscii perfettamente ma il contrabbassista inconsapevole pare che iniziasse a suonare lo strumento in maniera inusuale. Tutto qui o almeno, sono tante le cose che vorrei dirvi che sono costretto a tagliar corto e passare ad altro argomento non prima di aver sancito che la cosa più sconvolgente e fuori dalle regole era la possibilità offerta agli occhi di tutti di estraniarsi dal degrado culturale imperante e perseverato. Non c’era niente di più forte che la sensazione che provavo quando, dopo una giornata intera trascorsa a discutere e provare frazioni di spettacolo, particelle minime di luce e musica, piombavo nella bolgia consumistica di Via Mazzini o Corso Trieste. Era allora che mi rendevo conto della distanza che mi separava da quel mondo. Ma, allo stesso tempo, mi ponevo in una condizione di osservatore privilegiato capace di cogliere le contraddizioni evidenti in un sistema di vita in cui l’illecito era la norma. Alla faccia di tutti i moralismi perbenistici che si mascheravano, e credo si mascherino tutt’ora, dietro le vetrine illuminate e il buon senso volgare. Inventarsi dal niente la possibilità di costruirsi qualcosa che fosse anche un lavoro, oltre che un modo di vivere. Senza utilizzare i canali clientelistici, nepotistici, asserviti, senza diventare lo zerbino di qualche politico o mettere in vendita una manciata di voti, senza fare appello alle conoscenze di papà o alle ricchezze di famiglia, non avendo ricevuto eredità o vincite alla lotteria e senza usare mezzi illegali. Questo sì! era sconvolgente. Non nego, ci fu un momento in cui il 70% del gruppo faceva uso di droghe pesanti; questo particolare fu sicuramente una catastrofe. Era l’era rampante degli yuppi socialisti e per noi l’atmosfera diventava davvero pesante.

(Continua)

Antonio Iorio

 

 

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