Due cose brevissime sulle droghe: sì! E’ vero,
usavamo delle droghe, posso testimoniare di aver visto di persona alcuni
membri dei Potlatch comprare le sigarette presso i rivenditori di Tabacco
dei monopoli di Stato, alcuni altri, quasi tutti i giorni bevevano
sostanze altamente alcoliche, io stesso devo confessare di aver provato
queste sostanze inebrianti, non posso citare le marche per pubblicizzare
il loro uso dannoso alla salute e alla morale pubblica. Tuttavia alcuni
fumavano sostanze illecite e praticavano il sesso liberamente. Altri
praticavano il sesso libero per un mondo libero, ma usavano sostanze
illecite definite pesanti; ricordo bene gli sforzi di cui si sobbarcavano
per trasportare i pesanti carichi, frustati dagli spacciatori che li
seguivano a breve, incitandoli a colpi di frusta e urlando “te lo do! io
il Teatro e la musica”. Essi subirono tutte le gravi conseguenze che
potete immaginare, ancora oggi quelli che sono sopravvissuti portano
tracce visibili del martirio sul proprio corpo. Mi rendo conto che è
difficile parlare di un argomento tabù, per cui mi limiterò a raccontare
esperienze personali senza coinvolgere alcuno. Personalmente ho usato
tutti i tipi di sostanze stupefacenti disponibili allora, sul mercato. Ma
questo fa parte della mia vita privata e posso giurarvi che non ha mai
influito direttamente sulle scelte artistiche. Era tutto il contesto che
rifletteva una visione di rottura. Nella considerazione popolare: artisti,
froci, ladri e puttane fanno parte della stesso lato del mondo, cioè di
quello sbagliato, di quello perdente. Ed io mi consideravo onorato di
essere imparentato con tanta brava gente. Mi divertivo a passare da un
ambiente all’altro, rimettendoci le penne, procurandomi crisi d’identità
al punto d’essere soprannominato “Zelig”. Dunque, alla base
di tutto c’era una scelta ideologica che mi portava ad essere innamorato
della parte illuminata del mondo e affascinato dalla parte oscura. Nell’emisfero
oscuro raccoglievo gli stimoli e le allucinazioni delle mie visioni,
conducendo una vita per alcuni aspetti ascetica, rifiutando qualsiasi
compromesso col denaro e con chi lo gestiva, al punto da digiunare,
cibandomi d’erba di campo condita all’insalata. In tutto questo l’uso
delle droghe s’inserii in maniera dirompente. L’inappetenza che
produceva come effetto secondario mi spinse a credere nella teoria delle
mutazioni umane; mi convinsi che potevo nutrirmi di soli limoni,
ghiaccioli al limone e limonate, per poi scoprire dopo qualche giorno,
quando già le vertigini della fame mi ponevano in uno stato
allucinatorio, di essere in grado di divorare un bue intero e di vedere la
Madonna che ballava il tip-tap. Questo effetto era migliore della più
potente droga esistente sul mercato. Ricordo una sera, dopo vari giorni di
digiuno completo; qualcuno mi raggiunse nella mia strana abitazione
abusiva di S. Leucio per invitarmi ad una festa presso il circolo “Segnali
d’accelerazione “ ad Acerra. Non c’era niente da mangiare, bevvi
un sorso, solo un sorso d’alcool. L’alcool entrò immediatamente in
circolo e fu assorbito dall’intero organismo. Ero completamente ubriaco
come se avessi bevuto un litro di Bour-bon. Non avevo bisogno di perdermi
nei paradisi artificiali. Di paradisiaco nella mia vita c’era ben poco e
l’artificio faceva parte più che altro della messa in scena come il
sacrificio. Come gli x-man della Marvel americana mi sentivo nella mia
città un diverso e come un super-eroe di carta suscitavo sospetto e
diffidenza. Così, come un super-eroe dei comics utilizzavo il mio
superpotere personale; che altro non era se non la capacità di percepire
il cambiamento prima che accada, tutt’al più supportato da condizioni
particolari che potevano migliorare o alterare la percettività
sensoriale. “Giravo le strade vestito di nero, provocando la
riprovazione delle classi sociali, tra cui le più bellicose il
sottoproletariato dei quartieri si sentiva sfidato” la piccola e media
borghesia era offesa dalla semplice presenza. Non avendo bisogno di
cibarmi, non dovevo procurarmi il denaro, quindi potevo occuparmi di dove
si fermasse il tempo, quanto tempo restasse in questo luogo inaccessibile,
come trascorresse il tempo libero, quali scenari fantastici si costruivano
sotto i suoi occhi. L’unico episodio, in cui si verificò una
circostanza in scena, collegato all’uso delle sostanze fu in occasione
della rappresentazione “La Pantomima scarlatta” presso il
Teatro Comunale di Caserta. In quell’occasione introducemmo, all’interno
di una scena orgiastica, una bottiglia, che doveva passare di mano in mano
tra tutti i presenti sul palco a simboleggiare l’estremo tentativo
unanime dei partecipanti ad allontanare il pericolo esterno costituito
dalla peste, che circondava il palazzo dove si svolgeva la festa. Per
evitare che la bottiglia arrivasse vuota ancor prima d’iniziare e
qualcuno più allegro degli altri, inserimmo del semplice tè nella
bottiglia trasparente che con il suo colore ambrato poteva essere
scambiato per dell’ottimo whisky. Ma qualcuno, per inserire un elemento
di rottura in questo espediente che veniva considerato anti-teatrale,
introdusse nella bottiglia di tè un frammento di acido, come veniva
definito quel piccolissimo cartoncino imbevuto di una minima dose di
allucinogeno. Quando la notizia si sparse la scena era già in corso, l’accaparramento
della bottiglia divenne parte del rituale rappresentato, ma solo uno
avrebbe potuto usufruirne. Tutti bevevano ma nessuno poteva esser certo di
aver ingerito qualcosa di più di un po' di tè, per cui ritengo che
alcuni subissero una sorta di effetto placebo. La scena riuscii
perfettamente ma il contrabbassista inconsapevole pare che iniziasse a
suonare lo strumento in maniera inusuale. Tutto qui o almeno, sono tante
le cose che vorrei dirvi che sono costretto a tagliar corto e passare ad
altro argomento non prima di aver sancito che la cosa più sconvolgente e
fuori dalle regole era la possibilità offerta agli occhi di tutti di
estraniarsi dal degrado culturale imperante e perseverato. Non c’era
niente di più forte che la sensazione che provavo quando, dopo una
giornata intera trascorsa a discutere e provare frazioni di spettacolo,
particelle minime di luce e musica, piombavo nella bolgia consumistica di
Via Mazzini o Corso Trieste. Era allora che mi rendevo conto della
distanza che mi separava da quel mondo. Ma, allo stesso tempo, mi ponevo
in una condizione di osservatore privilegiato capace di cogliere le
contraddizioni evidenti in un sistema di vita in cui l’illecito era la
norma. Alla faccia di tutti i moralismi perbenistici che si mascheravano,
e credo si mascherino tutt’ora, dietro le vetrine illuminate e il buon
senso volgare. Inventarsi dal niente la possibilità di costruirsi
qualcosa che fosse anche un lavoro, oltre che un modo di vivere. Senza
utilizzare i canali clientelistici, nepotistici, asserviti, senza
diventare lo zerbino di qualche politico o mettere in vendita una manciata
di voti, senza fare appello alle conoscenze di papà o alle ricchezze di
famiglia, non avendo ricevuto eredità o vincite alla lotteria e senza
usare mezzi illegali. Questo sì! era sconvolgente. Non nego, ci fu un
momento in cui il 70% del gruppo faceva uso di droghe pesanti; questo
particolare fu sicuramente una catastrofe. Era l’era rampante degli
yuppi socialisti e per noi l’atmosfera diventava davvero pesante.
(Continua)
Antonio Iorio
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