Archivio dei musicisti e gruppi casertani

Potlatch
animazione / teatro / musica 

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I Potlatch parte 15°:
L'altra faccia della medaglia
di Antonio Iorio

L’altra faccia della medaglia.


Roma EUR 1983, festival internazionale della satira

Quando vidi l’altra faccia della medaglia mi caddero le braccia, mi arresi; persi ogni speranza di offrire un alternativa culturale al pubblico che mi trovavo davanti, i detenuti di un carcere minorile campano. Adolescenti che avevano compiuto per intero la parabola dal mito criminoso alla realtà, e che ora avevano solo bisogno di uno spettacolo come dire “d’evasione”. Lo spettacolo che portavamo in giro quell’anno si chiamava appunto “Le folli evasioni”. Gli adolescenti boriosi delle piazze, ora privati della libertà, si aggiravano mortalmente annoiati, facendo la spola tra l’infermeria ed il cortile. Depressi, quasi costantemente sotto l’effetto di psico-farmaci per alleviare le profonde crisi in cui cadevano. Il direttore illuminato, che aveva deciso di offrirgli una serata diversa era una persona moralmente corretta ed eticamente coerente. Come un buon padre ci diceva, rammaricandosi, che la situazione era insostenibile. Tenere a freno l’energia e l’esuberanza di quei ragazzi era un impresa impossibile. Per un adolescente deve essere impensabile sentirsi le sbarre intorno. E’ come cercare d’imbrigliare dei puledri, sono troppo giovani per capire che devono serrare il morso. Quei ragazzi avevano solo bisogno di non pensare ai loro guai. Agos diede il meglio di se, tutto il gruppo s’impegno al massimo. Le ovazioni del pubblico erano esagerate, ci sentivamo tutti dei grandi, anche se sapevamo bene che per loro era solo un occasione per sfogare la rabbia che avevano dentro. La donna che partecipava allo show fu abolita dal direttore. Avrebbe corso dei seri rischi. I ragazzi cercavano di fregarci tutto quello che potevano utilizzare. Il direttore c’invitò a cena nella mensa del carcere, accettamo solo io ed Amed, se non ricordo male. L’impressione che provai, quando per accedere in uno spazio, doveva aprirsi un cancello davanti e chiudersi uno dietro, fu tale, che per un attimo temetti che per un guasto o perchè scoprissero quanto anch’io mi sentivo criminale, non mi facessero più uscire.

Quando ci sedemmo, fummo circondati da tutte le parti dai ragazzi che presero posto ovunque. Togliendoci il respiro e tempestandoci di domande sul mondo di fuori, sulla nostra vita, su qualsiasi cosa. Il direttore li lasciò fare poi li fece allontanare dagli addetti. Osservavano ogni boccone, ogni particolare del nostro viso, erano allegri e felici di poter scambiare due chiacchiere con qualcuno che veniva da fuori, dal mondo libero. Noi gli raccontammo che quello era il nostro lavoro, che vivevamo dei suoi frutti onesti. Loro, sembrarono sorpresi che si potesse guadagnare senza spaccarsi la schiena o senza spaccare la testa a qualcuno. Ci sentimmo tutti, amaramente, delle stelle di prima grandezza; tra le mura di quel carcere lo eravamo senz’altro. L’applauso scoppio fragoroso più volte quella sera, per gli assoli di Gas, quando evasi dal baule e ad ogni occasione.

 

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