L’altra faccia della medaglia.
Roma EUR 1983, festival internazionale della satira
Quando vidi l’altra faccia della medaglia mi caddero
le braccia, mi arresi; persi ogni speranza di offrire un alternativa
culturale al pubblico che mi trovavo davanti, i detenuti di un carcere
minorile campano. Adolescenti che avevano compiuto per intero la parabola
dal mito criminoso alla realtà, e che ora avevano solo bisogno di uno
spettacolo come dire “d’evasione”. Lo spettacolo che portavamo in
giro quell’anno si chiamava appunto “Le folli evasioni”. Gli
adolescenti boriosi delle piazze, ora privati della libertà, si
aggiravano mortalmente annoiati, facendo la spola tra l’infermeria ed il
cortile. Depressi, quasi costantemente sotto l’effetto di psico-farmaci
per alleviare le profonde crisi in cui cadevano. Il direttore illuminato,
che aveva deciso di offrirgli una serata diversa era una persona
moralmente corretta ed eticamente coerente. Come un buon padre ci diceva,
rammaricandosi, che la situazione era insostenibile. Tenere a freno l’energia
e l’esuberanza di quei ragazzi era un impresa impossibile. Per un
adolescente deve essere impensabile sentirsi le sbarre intorno. E’ come
cercare d’imbrigliare dei puledri, sono troppo giovani per capire che
devono serrare il morso. Quei ragazzi avevano solo bisogno di non pensare
ai loro guai. Agos diede il meglio di se, tutto il gruppo s’impegno al
massimo. Le ovazioni del pubblico erano esagerate, ci sentivamo tutti dei
grandi, anche se sapevamo bene che per loro era solo un occasione per
sfogare la rabbia che avevano dentro. La donna che partecipava allo show
fu abolita dal direttore. Avrebbe corso dei seri rischi. I ragazzi
cercavano di fregarci tutto quello che potevano utilizzare. Il direttore c’invitò
a cena nella mensa del carcere, accettamo solo io ed Amed, se non ricordo
male. L’impressione che provai, quando per accedere in uno spazio,
doveva aprirsi un cancello davanti e chiudersi uno dietro, fu tale, che
per un attimo temetti che per un guasto o perchè scoprissero quanto anch’io
mi sentivo criminale, non mi facessero più uscire.
Quando ci sedemmo, fummo circondati da tutte le parti
dai ragazzi che presero posto ovunque. Togliendoci il respiro e
tempestandoci di domande sul mondo di fuori, sulla nostra vita, su
qualsiasi cosa. Il direttore li lasciò fare poi li fece allontanare
dagli addetti. Osservavano ogni boccone, ogni particolare del nostro viso,
erano allegri e felici di poter scambiare due chiacchiere con qualcuno che
veniva da fuori, dal mondo libero. Noi gli raccontammo che quello era il
nostro lavoro, che vivevamo dei suoi frutti onesti. Loro, sembrarono
sorpresi che si potesse guadagnare senza spaccarsi la schiena o senza
spaccare la testa a qualcuno. Ci sentimmo tutti, amaramente, delle stelle
di prima grandezza; tra le mura di quel carcere lo eravamo senz’altro. L’applauso
scoppio fragoroso più volte quella sera, per gli assoli di Gas, quando
evasi dal baule e ad ogni occasione.
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