Teatro Civico 14: stagione 2023/24
Caserta - Dal 1 ottobre 2023 2023 al 5 maggio 2024
Comunicato stampa
1 ottobre 2023, Mutamenti / Teatro Civico
14 presenta "Di un Ulisse, di una Penelope" (nostro
articolo)
con Roberto Solofria, Ilaria
Delli Paoli, regia Roberto Solofria
progetto sonoro Paky Di Maio,
drammaturgia Marilena Lucente, costumi Alina Lombardi, scene Antonio Buonocore,
collaborazione ai movimenti scenici Luigi Imperato, traduzione in napoletano
Roberto Solofria, foto di scena Marco Ghidelli
Da Omero in poi poeti e
romanzieri hanno tirato fuori mille Ulisse e mille Penelope, sempre diversi,
ciascuno con la propria singolarità, una scintilla che fa una nuova luce su
tutta la tradizione. I viaggi dell’eroe di Itaca, il suo amore per la
conoscenza, l’arguzia, la smania degli orizzonti, la nostalgia di casa,
esercitano un fascino e un interesse immutato nel tempo. Le emozioni di Ulisse
sono grondanti di contraddizioni. Ma anche Penelope, con la sua attesa astuta,
il coraggio della solitudine, l’inamovibilità della sua scelta, ha dato forma a
un modo di vivere l’amore. Sembra di conoscerli da sempre, questi due
personaggi. Viaggia ancora Ulisse, e Penelope è ancora sull’isola a indagare
quel mistero del tempo che è l’attesa. Lo spettacolo si domanda cosa accade
quando Ulisse raggiunge Itaca; cosa accade tra lui e la sua sposa. Il ritorno
dell’eroe sembra suggerire un nuovo inizio; quell’evento cambia Ulisse e
Penelope come non era accaduto in venti anni. Domande furiose che nascono solo
dall’amore. Quando si sta male per averlo perduto, quando si pensa di averlo
ritrovato, e si teme e si trema al pensiero del futuro. Chiunque abbia avuto
un’Itaca nella propria vita sa di cosa stanno parlando, quei due. Di un Ulisse,
di una Penelope racconta di quell’incontro, tra passato e presente, da un lato
umanizzando il mito e restituendo la storia di un uomo, con le sue debolezze e i
suoi errori, dall’altro ponendo una particolare attenzione all’universo
femminile.
8 ottobre, "Attodue.
L’emozione del pudore"
Conferenza- spettacolo a cura di Massimiliano Civica
Civica porta in scena una conferenza sul significato del pudore, che trasforma
da lezione a spettacolo, avvalendosi di tre significativi video, che mostrano
Orson Wells nel monologo di Shylock (Il mercante di Venezia, William
Shakespeare), Nina Simone che canta Ain’t Got No, I Got Life, Ettore Petrolini
in Gastone. Un invito a riflettere sul tipo di emozione che riceviamo a teatro.
Di che qualità, di che natura è l’emozione che
proviamo a teatro? È un’emozione temperata, dolce, struggente, diversa da quella
che possiamo provare nella nostra vita quotidiana. La conferenza spettacolo,
attraverso la proiezione di tre video, tenta di mostrare come i grandi attori ci
commuovono attraverso il pudore dei loro sentimenti, resistendo al torrente
delle emozioni che li agitano piuttosto che dandogli sfrenato sfogo. Un bimbo
che piange in maniera irrefrenabile e un bimbo che, soffrendo, cerca di non
piangere ci commuovono in maniera diversa. Una delle due è la commozione del
teatro.
14 e 15 ottobre, Vulìe Teatro in "Pig Bitch" di
Marina Cioppa (nostro
articolo) e 20 e 21 Gennaio 2024
con Marina Cioppa, Stefania Remino
scenografia Vincenzo
Leone, progetto sonoro Paky di Maio, disegno luci Alessandro Benedetti, regia
Michele Brasilio
Pig Bitch (trad. lett. Porca Puttana): in scena due
personaggi, una Porca e una Puttana. La Porca, interpretando il personaggio
affibbiatole dalla società per la sua fisicità abbondante, interpreta se stessa
e la sua vita come quella di un maiale. La Puttana interpreta la condizione di
sentirsi sporca di fronte alla società. La compagnia indaga il legame tra le due
osservando che il concetto di carne le accomuna, cercando di raccontare in modo
dissacrante e ironico queste due vite che solo all’apparenza sembrano diverse
La Porca mangia compulsivamente. È bastata una fisicità compromessa da una
cattiva alimentazione adottata a causa di un disturbo psicologico, per incidere
sulla sua crescita. Qui si aprono i temi del disturbo alimentare legati al
riempimento di vuoti affettivi. La porca neanche li assapora i cibi, ormai la
quantità è più importante della qualità. La puttana offre il suo corpo magro,
piacente di donna giovane giunta dall’est, cerca una vita migliore da quella
offertale nel suo Paese. La scelta è stata dura, ma necessaria, così sembrava
prima che di lei se ne sarebbe fatta una prostituta. La società come giudica un
personaggio così? Anche lei resta vittima di altri. Prova a slegare il suo corpo
da se stessa, quando riesce resta la mercificazione nell’accezione più cruda del
termine. .
20 ottobre, Compagnia Licia Lanera in "Con la carabina" di
Pauline Peyrade
con Danilo Giuva, Ermelinda Nasuto
regia e spazio Licia
Lanera, traduzione Paolo Bellomo, in coproduzione con POLIS Teatro Festival e
Angelo Mai
Una bambina di 11 anni che un tribunale francese ha riconosciuto
consenziente allo stupro che ha subito da parte di un amico del fratello
maggiore, decide, diventata donna, di farsi giustizia da sola. La storia è
continuamente divisa tra passato e presente: il primo ambientato in un luna
park, il secondo a casa della donna. In entrambi i luoghi si consuma una
violenza, ma i ruoli sono invertiti.
Con la carabina è un testo lucido e
imparziale, che fugge dall’idea di dividere categoricamente il mondo in buoni e
cattivi, ma analizza i meccanismi culturali e antropologici che fanno scaturire
alcuni comportamenti violenti.
21 e 22 ottobre, Casa del
Contemporaneo in "La città che incanta (Pasqualino e Alessiuccia)" reading
musicale – tributo a Pino Daniele
testo e regia Tony Laudadio
con Tony
Laudadio (voce e sax), Ferdinando Ghidelli (chitarra), Corrado Laudadio (basso),
Almerigo Pota (tromba)
Pasqualino vive immerso nella bellezza, ma la
esperisce solo con i sensi che gli sono rimasti e ne celebra la straordinarietà
attraverso la sua voce. Alessiuccia, invece, che non può cantarla perché non ha
la voce di Pasqualino, la guarda con più distacco e più rabbia. Entrambi hanno
un limite: non sono ancora consapevoli dell'incanto anche se è davanti a loro.
Attorno a loro. Sono ragazzi e nella loro cruda purezza si stanno scoprendo. Non
si può costringere qualcuno a vedere se non può, e meno ancora se non vuole. Chi
è di fronte a loro però può vederli e seguirli: Pasqualino e Alessiuccia sono
due mondi che si abbracciano, due orbite che si intrecciano e che, nella danza
celeste, esplorano l'universo, la galassia, la città.
5 novembre, Scena Nuda in "Questioni di
famiglia" da Antonio e Cleopatra di William Shakespeare
regia Andrea
Collavino, con Filippo Gessi, Teresa Timpano
scene Anusc Castiglioni, costumi
Anusc Castiglioni, Micaela Sollecito, aiuto regia Roberta Colacino
Antonio e
Cleopatra è il punto di partenza di un viaggio verso il tema del desiderio. Un
testo con 34 personaggi, uno dei drammi storici di Shakespeare che contempla
scene corali, epiche, battaglie, lunghi e complessi dialoghi, viene ridotto ad
una messinscena con due soli attori, che sono al tempo stesso i protagonisti e i
narratori delle vicende. Il filo conduttore è l’incertezza e l’assurdità di ogni
vicenda umana. Antonio e Cleopatra scelgono, in ogni momento di questa vicenda,
e sembra sempre che scelgano la cosa sbagliata. È possibile desiderare ciò che
pensiamo sia meglio? È la domanda da cui partono gli artisti.
In un deserto
africano/calabrese, che le scene di Anusc Castiglioni rievocano in modo
essenziale, davanti ai nostri occhi compaiono, seduti davanti a un muretto che
li protegge e li incornicia, Cleopatra-Teresa e Antonio-Filippo vestiti in abiti
moderni, che si rifanno ai caratteri dei protagonisti. Ci raccontano una storia,
ogni volta in modo sorprendentemente diverso, perché la struttura del testo ha
degli appuntamenti fissi, ma permette all’attore di agire in base all’hic et
nunc. Lo spettatore non vedrà mai lo stesso spettacolo. La storia si contamina e
scorre passando dalla finzione del testo Shakesperiano alla realtà, alla
quotidianità di due persone che vivono i dubbi, le scelte, i combattimenti
amorosi, le lotte e i trattati di pace, le rinunce, le assenze, gli incontri le
gioie della fatica di vivere e di amare.
11
novembre, Attodue presenta "Nessun elenco di cose storte"
un
progetto drammaturgico di Oscar De Summa
regia Oscar De Summa, con Sandra
Garuglieri
luci Matteo Gozzi
Nessun elenco di
cose storte, riflessione ironica e tragica sulla morte vicina e lontana.
All’inizio dello spettacolo si ascolta un falso canovaccio di Pulcinella che
incontra la morte, ne ride, ma non la può evitare. Ed è con una risata che si
entra nella vicenda personale dell’attrice. A far da sfondo sul palco c’è una
barella da obitorio con un cadavere coperto da un telo bianco. Una leggera
musica strumentale di sottofondo accompagna il momento in cui l’interprete usa
il lettino per rivolgersi al padre defunto. Ma lo spettacolo non è quello che
sembra, non è il racconto della morte del padre. Nel momento in cui solleva il
telo verso di sé per guardare l’ultima volta il genitore, ecco compiersi un
cambio di registro totalmente inaspettato: il momento massimo del dramma e della
commozione viene rotto lasciando il pubblico incredulo e sulla soglia di un
altro viaggio. Il cadavere non è quello del padre. In una sorta di stand up
commedy l’attrice indossa un camice bianco, alla stregua di un medico legale per
analizzare il corpo, lo osserva nei dettagli, abbandonandosi all'immaginazione
di chi questa persona sia stata in vita. Che fare di quel corpo senza identità e
che non sappiamo a chi restituire? La scrittura e la scena sono una continua
fusione tra il reale e il poetico, tra il naturale e l'epico. Spostano il piano
di riferimento, sorprendono e trascinano in quella realtà violenta
dell'immaginario. «Il testo muove domande – spiega De Summa: che fare dei nomi
che non conosciamo? Esistiamo senza un nome? Quanto profonde sono le radici del
nome, quanto forte il peso di un corpo inanimato? Il testo diventa un gioco, un
giallo: chi ha ucciso la morte? Era importante capire cos’è la morte e tutte le
ritualità intorno al passaggio che servono a noi che viviamo, non certo ai
morti. Che diventa addirittura un ingombro. Non ci si può disfare dei corpi
impunemente, anche di quelli che tornano letteralmente a galla e non si sa a chi
restituire».
12 novembre, Attodue in "Rette parallele sono l’amore e la
morte"
di e con Oscar De Summa
progetto luci e scene Matteo Gozzi,
progetto sonoro Vladimiro Bentivogli
Un nuovo affondo nella morte e nei
ricordi dispersi dell’autore: «Questa storia forse sarebbe rimasta inerme su una
pagina, che probabilmente si sarebbe persa nel mio pc, proprio come fanno i
pensieri nella testa, se non fosse stato per un evento che ha cambiato tutto,
una luce dal presente che ha illuminato quegli eventi – spiega l’autore e
interprete dello spettacolo. Allora tutto è diventato importante, carico di
significato. Ricordare con precisione è diventato indispensabile. Cosa ha detto
lei. Cosa ha fatto lui. Chi c’era li intorno. Chi non ha parlato quando avrebbe
dovuto. Tutto, tutto ha acquistato un altro peso, un altro valore. Questo
contrappunto è sempre opera infinita e indiscutibile e certosina della morte. È
lei che ridà senso e gerarchia alle cose della vita. Senza di essa tutto si
sarebbe perso nell’oblio. Ed è forse questa la nostra paura più grande: vivere
senza lasciare traccia di noi nel mondo. Per questo ho voluto raccogliere e
raccontare questa storia. La storia di un amore mancato, come ce ne sono state e
continuano ad essercene. Penso anche a certi fatti di cronaca recente. Una
storia però che si intreccia al presente, che intreccia la mia vita con il
passato della protagonista, il suo presente con la mia idea di lei. Quindi non
una ma due storie che si tessono tra di loro, come le trame di un tappeto
antico, che lasciano affiorare un’immagine: l’immagine non di un volto ma di uno
sguardo, di una relazione tra due volti che si guardano dritti negli occhi a
distanza di tempo».
dal 24 al 26 novembre, Electroshock Therapy (EST) in
"Disintegrazione 2.0" (nostro
articolo)
voce Ilaria Delli Paoli, progetto sonoro Paky Di Maio,
visual Francesco Zentwo Palladino
costumi Alina Lombardi, tecnico audio
Lorenzo de Gennaro, foto Marco Ghidelli
con il sostegno di Mutamenti/Teatro
Civico 14
Due volte finalisti a La Biennale di Venezia, il collettivo EST
porta sul palco un ‘concerto visivo’ che vede mescolarsi tra loro teatro, musica
e visual art in un’unica performance dal vivo. Un percorso di distruzione e
ricostruzione dei personaggi e delle loro parole in un unico viaggio onirico
fatto di voci, suoni e immagini, che portano lo spettatore che assiste alla
performance a vivere suggestioni e sensazioni contrastanti, di disaccordo e
comprensione, immedesimazione e rigetto. È una performance che non lascia
neutri, in costante evoluzione e crescita con i tre performers, anima del
progetto.
Electroshock therapy è un progetto che nasce per sperimentare i
confini del teatro e della musica, passando per le arti visive, attraverso una
performance ibrida non strettamente legata agli schemi dell'una e dell'altra
disciplina, coinvolgendo di volta in volta artisti diversi per indagare nuovi
linguaggi e possibilità di creazione collettiva. I tre artisti sono ingabbiati
in una struttura cubica di 4 metri e immersi nelle retroproiezioni sulle pareti
della stessa. I visual sono parte integrante della performance, pensati insieme
alla musica e alla voce, e la scena firmata da Antonio Buonocore e Nicola Bove
permette di avere un doppio livello di visione, godendo sia dello spettacolo dei
visual di Zentwo, sia della performance sonora di Ilaria Delli Paoli e Paky Di
Maio.
La possibilità di manipolare, conservare e generare suoni al di fuori
del contesto tradizionalmente musicale è al centro del percorso di ricerca
musicale della sound art di Paky Di Maio: una pratica a cavallo tra
sperimentazioni artistiche e produzione musicale, soprattutto elettronica. In
essa possono essere incluse tutte le produzioni nell’arte contemporanea che
introducono il suono come sua componente essenziale, come le registrazioni
ambientali. Dal punto di vista attoriale, Ilaria Delli Paoli esplora la propria
voce e i suoi margini di possibilità, con un impegno attento e un certo coraggio
emotivo e immaginativo. È un’avventura strabiliante nella sua libertà e
diversità, non solo confinabile ad escursioni folli o eroiche, esilaranti, come
questi viaggi potrebbero essere. L’esplorazione potrebbe essere lunare, lirica o
deliziosamente triste. Potrebbe far arrivare fantasmi inaspettati e ricordi,
incontri emozionanti. Il tutto è supportato dalla presenza live del visual
artist Francesco Zentwo Palladino, che riproduce con la tecnica del visual
mapping le sensazioni e le suggestioni sonore attraverso ombre, luci ed effetti
digitali sulle pareti del cubo nel quale i tre performer sono inseriti.
dal 15 al 17 e dal 25 al 30 dicembre,
Mutamenti/Teatro Civico 14 e Piccola Città Teatro in "Amore e altre bugie"
di Antimo Navarra
con Ilaria Delli Paoli, Viola Forestiero, Antimo Navarra,
Ettore Nigro, Roberto Solofria
regia Roberto Solofria, progetto sonoro Paky
Di Maio
aiuto regia Anna Bocchino, costumi Alina Lombardi
L’irresistibile
commedia esplora i complicati intrecci amorosi di un gruppo di amici, che
cercano di navigare tra le insidie delle relazioni sentimentali e gli intricati
legami familiari. Un dramma comico, in cui l'allegria delle feste si mescola
alle rivelazioni dei protagonisti: tra bugie, slealtà e doppiezze, i cinque
amici si confronteranno con la verità ma anche con la possibilità di redenzione.
Guido e Roberta, hanno una storia d'amore unica che dimostra come le
differenze possano essere la chiave per un matrimonio felice: Guido è un tipo
silenzioso e riservato, un po’ “orso”, che preferisce la tranquillità del suo
mondo interiore; Roberta è un'anima socievole e vivace. Le loro personalità,
apparentemente opposte, sono ciò che li attrae. Adele e Mario, invece, sono una
coppia che ha costruito una relazione solida e appagante nel corso degli anni:
Adele è una donna con una mente sempre attiva e la sua determinazione e
intelligenza sono evidenti in ogni aspetto della vita, dall'esterno, sembra una
donna forte e sicura di sé, ma è anche una compagna amorevole e premurosa; Mario
gestisce una fattoria didattica è un uomo tranquillo, sempre occupato a
prendersi cura degli animali e a insegnare ai bambini le gioie della vita in
campagna. Ma la vera sorpresa di Natale arriva con Andrea, il fratello di Adele:
spudorato, sfacciato e intraprendente, l’uomo con le sue interazioni insolenti
contribuirà a rendere disastrosa la cena della festa più importante dell’anno.
Adele, furiosa con il fratello; Roberta, sconvolta e arrabbiata con Guido per
aver scoperto lati del marito che ignorava; e Mario che rivela finalmente la sua
vera natura tutt’altro che docile: sono i nuclei sorprendenti ed esplosivi di
questa vicenda.
Tra segreti, risate, litigi e riconciliazioni, i cinque amici
scopriranno che le relazioni sentimentali possono essere più complicate e
imprevedibili di quanto si pensi. Amore e altre bugie è un viaggio esilarante
attraverso le gioie e le sfide dell'amore, dell'amicizia e di tutto ciò che
rende la vita così imprevedibile e divertente.
6 e 7 gennaio 2024, ore
18, Mutamenti/Teatro Civico 14 in "Antuono e i doni dell’orco"
da Lo cunto de
li cunti di Giambattista Basile, drammaturgia Luigi Imperato, Roberto Solofria
con Marina Cioppa, Giuseppe Cioffi, Antimo Navarra, Umberto Orlando, regia
Roberto Solofria
musiche originali Paky Di Maio, costumi Alina Lombardi,
illustrazioni di scena Arianna Delfino, Mariella Tescione
È un ingenuo il
primo protagonista dei cunti di Basile, Antuono, sfaccendato e senza grandi doti
intellettive ma che, grazie alla sua semplicità, riesce a farsi condurre dalla
cieca dea Fortuna sulla via della ricchezza. D’altronde è risaputo che un
giudizio troppo affrettato spesso inganna e se è vero che l’Orco “aveva una
brutta faccia, ma un bel cuore”, è vero anche che una persona sprovveduta come
Antuono può imparare dai propri errori, magari dopo aver subito una bella
lezione.
13 e 14 gennaio, Collettivo LunAzione in "Il
colloquio"
progetto e regia Eduardo Di Pietro, con Renato Bisogni, Alessandro
Errico, Marco Montecatino
aiuto regia Cecilia Lupoli, costumi Federica Del
Gaudio, organizzazione Martina Di Leva
Il Colloquio prende ispirazione dal
sistema di ammissione ai colloqui periodici con i detenuti presso il carcere di
Poggioreale, Napoli. Tre donne, tra tanti altri in coda, attendono stancamente
l’inizio degli incontri con i detenuti. Portano oggetti da recapitare
all’interno, una di loro è incinta: in maniera differente, desiderano l’accesso
al luogo che per ognuna custodisce un legame. In qualche modo la reclusione
viene condivisa all’esterno dai condannati e per le tre donne, che se ne fanno
carico, coincide con la stessa esistenza: i ruoli maschili si sovrappongono alle
vite di ciascuna, ripercuotendosi fisicamente sul corpo, sui comportamenti,
sulle attività, sulla psiche.
20 e 21 Gennaio, (replica)
Vulìe Teatro in "Pig Bitch" di Marina Cioppa
27 e 28 gennaio, I Due della
Città del Sole in "Lampedusa Beach" di Lina Prosa
regia Marcello Manzella,
con Valentina Elia
musiche originali Antonio Della Ragione, scene Raffaele Di
Florio, light designer Maurizio Morra, costumi Maria Grazia Di Lillo
Sul
palco, la storia di un barcone carico di settecento profughi in fuga dall’Africa
che affonda nello specchio di mare di fronte a Lampedusa. Lampedusa Beach è il
primo dei tre testi che compongono la Trilogia del naufragio di Lina Prosa
(insieme a Lampedusa Snow e Lampedusa Way). Scritto a Palermo nel 2003 è stato
prodotto e messo in scena nel 2013, a Parigi, dalla Comédie-Française.
Nell’oscurità incombente della notte, settecento corpi di profughi si agitano e
si dibattono nell’acqua. Molti annegano, muoiono, tra questi corpi sventurati
c’è quello di una giovane donna, Shauba, che riesce ad aggrapparsi agli occhiali
da sole che le sono caduti in acqua. Per alcuni istanti riesce a stare a galla
come se gli occhiali fossero un salvagente, il suo l’ultimo legame con la vita.
Cerca di resistere al mare, finché inghiotte il fiato nello stomaco per
l’eternità. Un’eternità immensa che finisce per inghiottirla per sempre. È
nell’implacabile discesa infernale sul fondo del Mediterraneo che Shauba,
lasciandosi andare ai ricordi, compie il suo vero viaggio verso Lampedusa Beach,
la parte sottomarina di Lampedusa, la spiaggia dove finiscono i sogni infranti.
E in questo viaggio racconta e rivive, un’ultima volta, la sua esperienza e
tutto quello che la porterà, in fin di vita, a maturare come donna: il rapporto
con la zia Mahama, il sogno di una vita migliore, il suo rapporto primordiale
con l’acqua, l’ingiustizia del mondo, l’Africa, i Capitalisti, il naufragio e la
morte.
3 e 4 febbraio, Lab 48 in
"Della storia di G. G." dal racconto di Mariagrazia Rispoli
drammaturgia Gea
Martire, regia di Mariano Lamberti, con Gea Martire
black comedy che vede
protagonista una donna alle prese con la dolorosa perdita del padre che prova
un’irrefrenabile attrazione per l’uomo che ha il compito di sotterrarlo. Un
lavoro che si presta bene ad una buona dose di humour nero, tratto dal racconto
di Mariagrazia Rispoli, con la drammaturgia di Gea Martire e la regia di Mariano
Lamberti.
Per il taglio grottesco e ironico che lo contraddistingue, il
monologo de Della storia di G.G. si può facilmente ascrivere nel registro della
black comedy. L’idea è quella di rendere, attraverso due personaggi distinti,
due contrastanti emozioni all’interno della stessa persona (dolore e piacere,
lutto ed Eros), rappresentando questa sorta di sdoppiamento psichico con due
diverse personalità.
Dalla rimozione del dolore della perdita si genera un
doppio sé che agisce sente e vive in maniera diametralmente opposta: tanto l’uno
è fragile, luttuoso e si esprime con toni veri e dolorosi, tanto l’altro è
perfido, beffardo e usa toni da femme fatale di provincia. I due personaggi si
alternano, si danno la mano, altre volte si fanno la guerra, in una sorta di
girandola schizofrenica che si fa via via sempre più grottesca e divertente.
10 e 11 febbraio,
Teatri 35 in "La Direttissima Napoli - Milano"
Azione rapido comica in tre
atti, otto quadri ed un’apoteosi
testi dall’opera di E. Scarpetta e E.
Ferravilla, drammaturgia Gaetano Coccia, Davide Ferrari, con Gaetano Coccia,
Davide Ferrari
regia e luci Francesco Ottavio De Santis, scene, costumi e
movimento scenico Antonella Parrella,
musiche eseguite dal vivo da Davide
Ferrari
Eduardo ed Edoardo, rispettivamente Scarpetta e Ferravilla, nascono a
metà ‘800 a 800 km di distanza. Milano e Napoli, Napoli e Milano, due grandi
tradizioni teatrali, due metropoli, due palcoscenici e due pubblici esigenti,
stanchi delle vecchie farse e maschere della tradizione. Nello spettacolo
raccontiamo la loro amicizia, le loro collaborazioni e rimettiamo in scena
frammenti di successi come La class di Asen, Na Santarella, Miseria e Nobiltà.
24 e 25 febbraio, La Fabbrica dell’Attore e Cadmo Associazione
Culturale in "Come un animale senza nome" da Pier Paolo Pasolini
(nostro
articolo)
un progetto
di e con Lino Musella, musiche dal vivo Luca Canciello, drammaturgia Igor
Esposito
Opera-concerto originale su testi di Pier Paolo Pasolini. Il poema
autobiografico Poeta delle ceneri diventa la colonna vertebrale del corpus
pasoliniano, trasformato in drammaturgia poetica da Igor Esposito, che la voce
di Musella rende in forma di costellazione sonora, nuova e vibrante,
accompagnata dalle sonorità musicali del Maestro Luca Canciello.
La
straordinaria e misteriosa potenza del fantasma pasoliniano torna a interrogare
il nostro presente a più di cento anni dalla nascita del poeta. Un nuovo lavoro,
quello portato in scena da Musella, attore italiano tra i più talentuosi, in cui
l’anima di Pasolini suona e risuona. La poesia regalata al mondo
dall’intellettuale friulano emerge dalla denuncia delle diseguaglianze sociali
come da quella operata contro i fantasmi del perbenismo morale. Una voce
rigorosa, che si leva più in alto di quella dei suoi contemporanei, regalando
bellezza e splendore anche alle parole degli amici, a quelle di colore che gli
furono vicini, che nel lavoro teatrale prendono la parola, per restituire un
ritratto del Poeta pieno di grazia e vigore.
Musella si fa corpo e voce di un
assolo fatto di musica e incanto della parola, che gli permettono di rievocare
l’universo pasoliniano attraverso episodi della sua vita. Tra poesie,
narrazione, articoli e film, emerge un Pasolini innocente, spirituale e
vibrante. Una sorta di preghiera laica conduce il pubblico dentro il mistero
della forza espressiva del Poeta, dove, un ardente desiderio tiene avvinte vita
e morte.
2 e 3 marzo, Fondazione
Teatro di Napoli - Teatro Nazionale del Mediterraneo - Nuova Commedia in
"Napucalisse" (oratorio in lettura)
di e con Mimmo Borrelli, musiche dal vivo
Antonio Della Ragione
Napucalisse è un racconto dolente e arrabbiato
dell’uomo napoletano messo in condizioni di inferiorità e ghettizzazione
sociale, che non sentendosi parte dello stato e della sua famiglia, è destinato
a esplodere, bomba che cammina, come il Vesuvio. Un complesso congegno teatrale,
che avvolge in un magma indistinto Napoli con l’apocalisse, che è sempre sul
punto di manifestarsi. Un monologo e un’invettiva che Borrelli tratteggia in
forma di oratorio, con il ritmo della musica che è protagonista materica di una
continua escandescenza, creatrice e distruttrice, senza speranza e, proprio per
questo, inversa dichiarazione d’amore.
venerdì 8 marzo
(ore 20.30) e in doppia replica sabato 9 e domenica 10 marzo
(ore 19:00 e ore 20:30) presso l’Hotel dei Cavalieri (Piazza Luigi Vanvitelli
12, Caserta), Do not disturb – Il teatro si fa in albergo: Check-out: l'amore
non ha età
Il format a Napoli è consolidato e di successo e va avanti dal
2014: ideato da Mario Gelardi e Claudio Finelli, ha anche una versione casertana
firmata da Mutamenti/Teatro Civico 14, nata dalla collaborazione con il Nuovo
Teatro Sanità di Napoli.
Nella rielaborazione firmata da Antimo Navarra,
un’unica storia si dipana in tre diverse stanze teatrali: ad interpretarla
saranno Ilaria Delli Paoli, Antimo Navarra e Roberto Solofria.
Pochi
spettatori avranno la possibilità di entrare nell’intimità di una storia
familiare ricca di segreti che non si ha il coraggio di confessare nemmeno a se
stessi. Un faccia a faccia tra pubblico e attori, ma anche un modo per guardare
da molto vicino verità inconfessabili che possono riguardare davvero tutti.
Do not disturb trasforma le stanze d’albergo in veri e propri palcoscenici. Solo
venti spettatori a recita, penetrando direttamente nel post intimità dei
protagonisti, assisteranno, ascolteranno, quasi spieranno, i personaggi poco
prima che lascino la stanza. L’idea è quella di dar vita ad una specie di
voyeurismo teatrale, laddove il senso del guardare è nella radice stessa del
termine teatro, portando alle estreme conseguenze questa dimensione e facendone
elemento di creazione artistica e fruizione estetica. Il pubblico vivrà la
storia ad un palmo dagli attori, costretti quasi a nascondersi e allo stesso
tempo ad abbattere insieme alla quarta parete, ogni finzione teatrale, andando
così alla ricerca di una nuova verità scenica.
Cosa andranno a spiare i
pochi, fortunati, spettatori che avranno accesso alle stanze teatrali? La storia
ha per protagonista Paola, che organizza un incontro familiare in hotel. E in
questa speciale quanto strana riunione di famiglia non mancheranno le sorprese:
Armando ignora il divorzio dei due anziani genitori. Tra ricordi d'infanzia e
rivelazioni imbarazzanti, scopriremo che i segreti di famiglia sono come bolle
di sapone, pronti a scoppiare al minimo svolazzo del vento.
16 marzo, Teatro
Stabile d’Abruzzo in "Stefano" di Armando Discépolo
regia Stefano Angelucci
Marino, con Vito Signorile, Tina Tempesta, Rossella Gesini, Paolo Del Peschio,
Stefano Angelucci Marino
maschere BRAT Teatro, scenografia Tibò Gilbert, in
collaborazione con Teatro del Sangro e Teatro Abeliano di Bari
Stéfano è
considerato un classico del teatro argentino. Il suo protagonista è un musicista
diplomato al Conservatorio di Napoli che arriva in Argentina, come tanti
immigrati di inizio Novecento, con la speranza di “trovare l’America”. Il suo
desiderio è diventare un musicista famoso, scrivere una grande opera e far
piovere sterline. Niente di tutto ciò accade. Otto maschere antropomorfe
permettono la trasfigurazione. Un particolare codice espressivo nato dalle
suggestioni create dai murales e dai “bamboloni” della Boca, il celebre barrio
porteño contraddistinto da una forte impronta italiana.
23 e 24 marzo,
Piccola Città Teatro / Teen Theatre in "I fiori di Aldo Moro" di Chianelli e
Conforti
con Ettore Nigro, musiche dal vivo Francesco Capriello, scene
Giancarlo Minniti
aiuto regia Giovanni Sbarra, regia Mario Autore
A
parlare è Antonio Spiriticchio, il fioraio di stanza a via Fani che il giorno
del sequestro di Aldo Moro non si trovò sul luogo di lavoro perché i terroristi
la notte precedente avevano provveduto a forare le ruote del suo furgoncino, da
cui ogni giorno vendeva i fiori, per impedirgli di essere presente nel luogo del
rapimento, sbarazzandosi così di uno scomodo testimone. Spiriticchio è quindi il
simbolo di chi doveva esserci, e non c’è stato, a osservare da vicino uno degli
episodi cruciali e più controversi della recente storia d’Italia; come ogni
abitante, come tutto il paese. E così quel dover esserci e non esserci stato
diventa la metafora di una verità sepolta, di una realtà che sfugge e sfugge
ancora a chi aveva il diritto di sapere.
Conservato in una scatola nera mai
più ritrovata, il sequestro Moro assume i contorni mitici di un giorno che
resterà per sempre nella mente di chi viveva e arriverà ai posteri soffuso da un
alone misterioso e inquietante, scontornato dal fatto storico, per entrare nella
leggenda del “tu dov’eri, quel giorno?”. Si stratificheranno idee, ipotesi,
complotti, versioni impressionistiche, come quella che esce dalle parole in
romanesco di un lavoratore candido e dal carattere mite: “Uno che si chiama
Spiriticchio che destino ha? Certo non quello di uno de fegato”. Circondato dai
colori che gli fanno compagnia ogni giorno, l’uomo del popolo conosce il
linguaggio dei fiori e intanto che racconta il suo mestiere, fatto di routine
dura e poco redditizia, a contatto con le persone normali, spiegando cosa
significhi davvero un crisantemo o un narciso, incrocia, praticamente senza
volerlo, la vicenda del celebre politico della Democrazia Cristiana.
La
storia con la "s" minuscola entra in contatto con la grande Storia senza
soluzioni di continuità. Un contrasto impossibile, riscattato dalla dolcezza del
fiore, che Spiriticchio intravede come trait d’union, in controluce, della
sequenza micidiale che portò al rapimento: il cognome di uno dei brigatisti, il
segnale del passaggio delle auto dato appunto con un mazzo di fiori, fino ai
petali ritrovati sul cadavere di Moro. Segno dell’unica possibile partecipazione
del paese messo all’oscuro: l’innocenza senza voce, la partecipazione passiva
delle piccole storie alla storia grande, che si mette in moto inesorabile,
calpestando tutti come schiacciasasse su un prato fiorito.
6 e 7 aprile, Solot
Compagnia Stabile di Benevento in "I Duellanti" dal racconto di Joseph Conrad
scritto da Francesco Niccolini, con Carlo Di Maro, Antonio Turco, regia Mario
Gelardi
aiuto regia Mario Ascione, costumi Rachele Nuzzo
L'opera è
incentrata interamente sul conflitto tra le due figure, l'una l'opposto
dell'altra. D'Hubert è un uomo sostanzialmente razionale, "privo di
immaginazione che aiuta al ragionamento", pacato, serio e ligio al dovere;
Feraud è descritto come una bestia sanguigna, che ama la violenza in tutte le
sue forme e che comprende esclusivamente la forza come ragion d'essere, come
istituzione stessa della vita. Una figura rappresenta la violenza mentre l'altra
il buon senso. La tenacia ossessiva con cui Feraud costringe D'Hubert a battersi
sembra trascendere la ragionevolezza per meglio rimarcare, appunto, il fatto che
gli eventi drammatici della vita siano dolorosi e privi di alcun senso, di
alcuna giustificazione. Ogni qual volta che D'Hubert sembra al sicuro, ecco che
Feraud lo insegue, proponendogli l'eterna sfida mortale. Il fatto stesso che
D'Hubert viva con Feraud alle costole è il sintomo stesso della vita che si
sforza per essere indipendente dalla sfortuna e che, proprio per questo, finisce
ancora più legata ai rivolgimenti della sorte. In questo adattamento di
Francesco Niccolini, i due attori che interpretano i duellanti, danno voce a
tutte le figure del racconto di Conrad, disegnando un mondo passato che è il
riflesso dell'eterno conflitto tra gli uomini.
12 aprile,
ore 21, 13, ore 20 e 14, ore 18, debutta sul
palco del Teatro Civico 14 "Alfonsina - Non puoi fermare il vento con le mani",
primo studio di uno spettacolo che vedrà la sua forma definitiva nella prossima
stagione del teatro casertano.
interpretato da Anna Bocchino con la regia di
Roberto Solofria (nostro
articolo)
La storia, scritta da Marilena Lucente, è quella della prima
e unica donna che, esattamente cento anni fa, riuscì a partecipare al Giro
d’Italia. Non era mai accaduto prima, tanto che per farla stare nell’elenco dei
corridori le tolsero l’ultima vocale del nome: Alfonsina divenne Alfonsin.
Alfonsin Strada avrebbe corso la gara più dura e difficile di sempre - oltre
tremila chilometri – in dodici giorni, insieme a un centinaio di uomini. Nessuno
riusciva a credere in questa impresa impossibile. Quel sogno, però, ne aveva
fatto di strada. Alfonsina aveva appena dieci anni quando vide per la prima
volta una bicicletta. Naturalmente non poteva avvicinarsi, perché era una
bambina. Aspettò la notte per salirci sopra. Le strade bianche sembravano
disegnate con il gesso che usava la maestra per scrivere alla lavagna. In verità
Alfonsina smise presto di studiare: era brava, ma troppo povera per la scuola di
quegli anni. Solo il desiderio di correre in bicicletta non ci fu verso di
toglierglielo dalla testa e dal piccolo paese dove era nata raggiunse il mondo:
corse su strada, velodromi, piste. E con la stessa determinazione con cui ha
vissuto il ciclismo ha affrontato i drammi, e sono stati tanti, che hanno
segnato la sua esistenza. Alfonsina non vinse il Giro d’Italia, ma riuscì a
completarlo, con una corsa epica e faticosa. Un risultato straordinario.
Alfonsina, donna combattiva e visionaria, che ha vissuto sulla pelle tante
trasformazioni del nostro Paese, è stata artefice in prima persona di un grande
cambiamento. Qualcuno l’ha definita una “suffragette a pedali”, protagonista
dell’emancipazione femminile grazie allo sport. Negli ultimi anni della sua
vita, il suo nome sembrava non dire più niente a nessuno, ma ha continuato a
correre in bicicletta sotto i tendoni del circo, ancora a sfidare se stessa e il
mondo. Ancora e sempre con la sua passione, perché “non si può fermare il vento
con le mani”.
19 aprile,
Tedacà e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale in "Fine pena ora" di Elvio
Fassone
adattamento e regia Simone Schinocca, con Salvatore D’Onofrio,
Costanza Maria Frola, Giuseppe Nitti
in collaborazione con Festival delle
Colline Torinesi
FAl centro dell’adattamento c’è l’incontro umano tra il
Presidente e Salvatore. Due mondi apparentemente inconciliabili, opposti e
contrapposti, anche se i due uomini, in 34 anni di corrispondenza, diventano
punto di riferimento l’uno per l’altro. Le parole del libro di Fassone sono sono
state arricchite da un’intervista, in cui il magistrato racconta cosa è accaduto
nei dieci anni successivi alla pubblicazione del testo, come il suo rapporto con
salvatore si è trasformato e quanto ancora oggi, questa storia, faccia fatica a
trovare una soluzione. Da questa lunga intervista, nasce l’incipit dello
spettacolo: è la notte insonne prima dell’ennesima udienza per la libertà
condizionale di Salvatore. 38 anni di attesa, che si condensano in un sogno, nel
quale Salvatore ripercorre lettera dopo lettera il rapporto con il Presidente.
Salvatore e il presidente si scrivono da 34 anni, ma non si sono mai più
incontrati. Salvatore ha mandato qualche foto di sé al presidente, Fassone non
lo ha fatto. In questo sogno, il Presidente appare giovane come 38 anni fa, al
momento del processo. Salvatore non potrebbe immaginarselo diversamente, e lo
spettatore, invece, vede un Salvatore sessantenne, tormentato dall’ennesima
speranza che quel “fine pena mai” possa diventare un “fine pena ora”.
27 e 28 aprile, Giglio / Prosperi in "Interno
camera"
drammaturgia Paola Giglio, con Paola Giglio, Matteo Prosperi
regia
e ideazione scenica Marcella Favilla, con il supporto di ARTEFICI Residenze
Creative FVG/Artisti Associati Gorizia
foto di scena Giovanni Chiarot
I protagonisti, Marta e Pietro, sono due trentenni che vivono in un minuscolo
monolocale. Lei è una scrittrice alle prese col primo romanzo che per vivere
scrive contenuti trash su internet; Pietro lavorava come pony bike, ma si è
licenziato quando ha rischiato di finire sotto un camion e aveva iniziato ad
andare pianissimo e a guadagnare pochissimo. Il testo di Paola Giglio analizza
una società in cui lo sfinimento è un valore che impone lo sfiancamento come
prova che si è fatto il proprio dovere.
Marta cede alla stanchezza mentre fa
il cambio di stagione; è distesa a terra e non riesce a muovere un muscolo,
intanto il telefono non smette di squillare. Pietro non riesce a dormire da
quando si è licenziato. Dottorando in filosofia, scrive da anni una tesi sulla
‘lentezza come valore nella vita frenetica di inizio millennio’, ma non riesce a
finirla. E se alla fine della giornata, ormai sfiniti, ci si rendesse conto che
la corsa non ha prodotto niente? I due sono bloccati in un piccolo monolocale,
in cui il passaggio del tempo è scandito dallo spostare mobili, come se la
ricerca di comodità corrispondesse alla ricerca di stabilità. Due personaggi che
sembrano sospesi tra depressione e paura di non andare da nessuna parte, ma che
con fatica si stanno costruendo il proprio futuro. «Ho pensato di raccontare la
loro storia – spiega Marcella Favilla – come un flashback dove tutto è già
successo tranne l'ultima scena che rappresenta il qui e ora, lo scioglimento
della loro condizione, con un finale aperto in pieno stile seriale. Da qui
l'idea di un taglio cinematografico in cui i personaggi sono protagonisti ma
anche narratori, personaggi che danno corpo alle emozioni attraverso un ballo o
un playback in un turbine di ironia e gioco serio. Ad aiutarli c'è la musica, la
musica come valvola di sfogo, musica come rifugio, musica come evasione. Il
tutto in piena autonomia attraverso un giradischi che come un metronomo,
scandisce i loro stati d'animo».
4 e 5 maggio, Teatro di Napoli – Teatro
Nazionale in "Opera didascalica"
un progetto di Ctrl+Alt+Canc, testo e regia
Alessandro Paschitto
con Raimonda Maraviglia, Alessandro Paschitto, Francesco
Roccasecca
Uno spazio vuoto, disallestito, nudo. Le luci di sala sono accese.
Le casse spente, non c’è audio riprodotto. Né costumi: si va in scena con gli
abiti del giorno. Si resta lì, buttati, davanti agli occhi degli spettatori. In
scena, la ricerca di un’azione sensata diviene vorticosa e ha il nulla di fatto
come destinazione inevitabile. «Dopotutto come possiamo rappresentare la vita se
delle cose più semplici e quotidiane scopriamo di sapere nulla o quasi? Quale
potrebbe essere l’azione di cui si dica: eccola, è questa. Quali le parole? – si
chiede Alessandro Paschitto nelle note di regia. Eppure di tentativo in
tentativo, fallimento in fallimento, qualcosa sembra rimanere. Un’eco, un
sedimento che si cumula, un’impressione sempre più presente nel vuoto dello
spazio. Le ripetizioni scavano come dei solchi, divaricano parentesi ancora non
riempite. Se qualcosa appare – infine – lo fa solo in quanto proiettato da un di
dentro di chi osserva. Il luogo della rappresentazione si sposta dalla scena
vuota al retro dei suoi occhi. Come quando si aspetta un ceffone e non arriva.
Dov’è finito? Dentro di noi».
Il lavoro teatrale è vincitore di numerosi
premi, tra cui quello dedicato allo straordinario Leo De Berardinis, nella cui
motivazione si legge: «Per la ricerca di un linguaggio scenico capace di portare
allo scoperto il paradosso della rappresentazione e il suo limite intrinseco,
attraverso la sottrazione di trama, personaggi, luoghi, tempo e azione, e in cui
anche le parole finiscono con non alludere ad altro che a se stesse. Per aver
voluto riflettere sulla difficoltà del rappresentare come sineddoche
dell’incapacità di vivere».
domenica 12 maggio, ore
18.30, nell’ambito della rassegna “Off Call for Contemporary Experimental
Dance”, l’Associazione Arabesque – ARB Dance Company, con la direzione artistica
di Annamaria Di Maio, porta in scena “StraVaganza”, spettacolo del coreografo
venezuelano Fernando Suels Mendoza (per diversi anni membro stabile della
compagnia del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, attualmente insegnante ospite e
coreografo al Tampa City Ballet, USA).
Debutto nazionale al Teatro Civico 14
, la cui programmazione prevede anche la coreografia intitolata “Sustraiak”, di
Alessandro Esposito, per la compagnia Borderline di Claudio Malangone.
La
performance “StraVaganza”, interpretata da Roberta De Rosa, celebra il diritto
alla stravaganza, esplorando la diversità della vita e l'unicità di ogni
individuo. Il movimento è presentato come espressione di identità libera ed
esuberante. La danza esplora l'eccentricità, l'abbondanza e la prodigalità,
superando i limiti ragionevoli e celebrando la diversità. Ispirata anche alla
geometria, la coreografia rappresenta l'unità nella varietà. La performance
intera è un atto di resistenza alla normalità, invitando a entrare nel mondo del
libero movimento e celebrando la libertà di espressione, l'autonomia individuale
e il valore della stravaganza.
Altri appuntamenti
27 ottobre, 3 e 17 novembre 2023, "Corde
nuove - Festival di musica emergente"
un evento APS Urbe Santa Maria
Capua Vetere
Corde Nuove si propone come un festival coraggioso, nato per
diventare il punto di riferimento nel promuovere la musica emergente del nostro
territorio. Ha uno stile urban, curioso e inclusivo.
Tre serate, tre venerdì,
tre occasioni di incontro dove il pubblico sarà accompagnato nella scoperta di
band, musicisti e rapper attraverso inedite produzioni musicali. Insieme alla
musica, una tematica attuale sarà oggetto di riflessione durante ognuno dei tre
eventi.
Partecipazione, ascolto e condivisione. “Ci sono corde che lasci
vibrare da una vita. Talvolta c’è bisogno di pizzicare Corde Nuove”.
29 ottobre, 19 novembre e 3 dicembre 2023, Associazione ARABESQUE: Off
call for contemporary experimental dance
Dal 2017 l’Associazione ARABESQUE è
organizzatrice e promotrice della 1° Rassegna di danza contemporanea Off Call
For Contemporary Experimental Dance, presso il Teatro Civico 14, che ha visto la
messa in scena di più di 40 spettacoli e ospiti molte compagnie del panorama
campano e nazionale. La rassegna di quest’anno vedrà impegnate compagnie di
danza nazionali tutte sostenute dal MIC: Borderline danza, Movimento danza,
Atacama, Mandala Dance company, Resextensa, Arb dance company.
dall'8 al 10 marzo, Do Not Disturb - Il teatro si fa in
albergon**presso Hotel dei Cavalieri - Caserta
un progetto di Mario Gelardi,
Claudio Finelli in collaborazione con il NTS’ Nuovo Teatro Sanità
Il format
trasforma le stanze d’albergo in veri e propri palcoscenici. Solo venti
spettatori a recita, penetrando direttamente nel post intimità dei protagonisti,
spieranno i personaggi poco prima che lascino la stanza. L’idea è quella di dar
vita ad una specie di voyeurismo teatrale, laddove il senso del guardare è nella
radice stessa del termine teatro, portando alle estreme conseguenze questa
dimensione e facendone elemento di creazione artistica e fruizione estetica. Il
pubblico vivrà la storia ad un palmo dagli attori, costretti quasi a nascondersi
e allo stesso tempo ad abbattere insieme alla quarta parete, andando così alla
ricerca di una nuova verità scenica.
13 aprile, Inside the
project: Inside Pink Floyd “The Wall”
un progetto di Paky Di Maio, Luigi
Iacono
in collaborazione con Mutamenti/Teatro Civico 14
*evento fuori sede
Il principio fondante dell’INSIDE è sostenere una nuova idea musicale,
realizzare un appuntamento stagionale dove gli artisti coinvolti rendono
omaggio, con nuove chiavi di interpretazione, a una band o un artista che ha
segnato la storia della musica. Quest’anno, il 2024, è dedicato interamente ai
Pink Floyd e al loro capolavoro “The Wall”. Attraverso un’immersione totale
nella musica, nell’arte e nella storia di questa band visionaria, The Wall
prenderà vita in tutta la sua grandezza. Sarà una celebrazione straordinaria con
performance live di musica, teatro, danza e mostre, per immergersi completamente
nell’universo dei Pink Floyd.
20 Aprile, presentazione
del nuovo singolo "Gabbia di Faraday" degli Sha' Dong
info
Teatro
Civico 14, Via F. Petrarca (Parco dei Pini) c/o Spazio X, Caserta
t.
(+39)0823.441399
organizzazione@teatrocivico14.org