Al Teatro Civico 14: Di un Ulisse, di una Penelope

Caserta - 2 ottobre 2024

Articolo di R. Barsali

“Cosa sarebbe il nostro mondo senza i viaggi di Ulisse? Cosa saremmo noi, senza la sua inquietudine, le sue avventure, il suo cessante errare?” (L’autrice, Marilena Lucente)
Accettare di ripercorrere il mito, di confrontarsi con tutti i suoi corollari (il Viaggio, l’Approdo, l’Amore Coniugale, l’Assenza, il Silenzio, l’Inganno, il Tradimento, la Fedeltà, la Vendetta, e poi l’Amore Filiale e Paterno, l’Amore di Argo, la Memoria, l’Erotismo, Itaca e la Reggia); con il riconoscersi senza più conoscersi; con il desiderio. Questa è la sfida, non solo l’invito che si raccoglie nello spettacolo di apertura della stagione teatrale del Teatro Civico 14.
Una sfida che rimbalza: dal Mito a Lucente, che, nel suo testo teatrale, collega tante suggestioni letterarie, da Brodskij a Foscolo, fino all’Erri De Luca dei nostri giorni; da C. Pavese, a K. Blixen, Shakespeare e Altri: ognuno partecipa, offre spunti, frasi che segnano le tappe della storia, come in un simposio atemporale, di cui l'autrice è acuta direttrice. Da Lucente alla sapiente regia di Roberto Solofria, che ci regala una drammaturgia quasi liturgica, fatta di acqua - il mare, perché "nell’acqua salata (il sudore, le lacrime e il mare) si trova la cura per ogni cosa" (K. Blixen) - di luci, e di suoni.
Di un Ulisse. Restituire al pubblico un Ulisse meno eroe e più uomo, rendendolo più verosimile, avvicinarlo ad oggi, è il risultato teatrale così riuscito che è andato in scena: un Ulisse scosso da un’emotività che Omero maschera dietro la sua insaziabile curiosità ed astuzia, che Joyce alimenta con il flusso di pensiero. Un Ulisse che si esprime in vernacolo partenopeo, che enfatizza gli stati d’animo, che sottolinea il turpiloquio perché è sacrosanto, che si confida, che commuove e si commuove, che ama, che odia, che trama. Un Ulisse che, a furia di andar per mare, 'ha fatto gli occhi azzurri pur isso'. Un Ulisse posto di fronte ad una scelta, un Ulisse che deve prendersi una responsabilità grande, da adulto: quella della famiglia, che è già un regno. Quella di un luogo dove vivere, dove cambiare e da cambiare. Cosa deciderà non lo anticipo, però.
Di una Penelope. Dignitosa, ferma, dolente, è la Penelope di Ilaria Delli Paoli. E bellissima, nel gesto scenico, nella voce che narra, che predispone, che invita, che lusinga, che sentenzia; la Bellezza delle sembianze si estende dal corpo dell’attrice a tutta la scienza, la riempie, e la qualifica. È una Penelope indisponibile, che predice la prossima partenza del marito, che non cede a nessuna lusinga, allenata com’è da decenni di opposizione ai Proci. È una Penelope che ha finalmente smesso l’attesa, e si trova a fronteggiare non Ulisse l’eroe, ma il marito che l’ha abbandonata per vent'anni, partendo da Itaca e lasciandola con un figlio neonato. E lo smaschera, senza pietà. Una Penelope sfidante, che conosce e riconosce il proprio uomo, e sa come affrontarlo.
Itaca. Mi piace pensare che Itaca sia materialmente la scenografia scelta da Antonio Buonocore, le suggestioni sonore di Paky Di Maio, e l’ambientazione, liberamente adattata alla drammaturgia di Marilena Lucente. E che il lavoro corale sostenuto da Alina Lombardi (costumi) e Luigi Imperato (movimenti scenici) sia parte di quella sfida che rimbalza dal Mito a Lucente, da Lucente a Solofria e Delli Paoli, da loro a Paky, Alina, Luigi, Antonio, Antimo e Rosario, fino a Noi Spettatori. E da Noi sparpagliato, in azioni ed omissioni, al resto del mondo, che resta sulla "riva del mare ad ascoltare ancora gli addii" (M. Lucente).

Consulta: Teatro Civico 14: stagione 2023/24

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