Stagione teatrale 2015/16 al Teatro Civico 14
Caserta – dal 26 Settembre 2015 all'8 maggio 2016
Sintesi di Tonia Cestari
2 e 3 ottobre 2015, Open Days (leggi)
26 e
27 settembre, “Do Not Disturb” scritto da Claudio Finelli e Mario
Gelardi (nostro
articolo)
con Carlo Caracciolo, Irene Grasso, Roberto Solofria, Ilaria Delli
Paoli, Mario Di Fonzo, Gennaro Maresca in collaborazione con il Royal Hotel
Caserta una produzione Nts’ nuovo teatro Sanità in collaborazione con
Mutamenti/Teatro Civico 14
EVENTO (fuori abbonamento) – biglietto unico euro
15,00, repliche ore 19.00 e ore 21.00 / prenotazione obbligatoria
“Do not
disturb” è un format teatrale, ideato da Mario Gelardi, che trasforma le stanze
d’albergo in veri e propri palcoscenici. Le camere da letto faranno da
scenografia naturale a storie che si svolgono in tempo reale: solo 20 spettatori
a recita, penetrando direttamente nel post intimità delle coppie, assisteranno,
ascolteranno, quasi spieranno, i personaggi poco prima che lascino la stanza.
L’idea è quella di dar vita ad una specie di voyeurismo teatrale, laddove il
senso del guardare è nella radice stessa del termine teatro, portando alle
estreme conseguenze questa dimensione e facendone elemento di creazione
artistica e fruizione estetica. Il pubblico, sconfinando oltre la quarta parete
vivrà la storia ad un palmo dall’attore, costretto quasi a nascondersi e allo
stesso tempo costringendo l’attore ad una messinscena che abbatta, insieme alla
quarta parete, ogni finzione teatrale, andando così alla ricerca di una nuova
verità scenica. Sei episodi, scritti da Claudio Finelli e Mario Gelardi e
diretti dallo stesso Gelardi, animeranno le camere dell’albergo, rendendo
visibile quello che in genere accade solo a porte chiuse. Il filo conduttore
delle storie saranno le ossessioni, quelle dei protagonisti delle vicende e si
andrà così a scandagliare quella linea sottile, intima, nascosta, in cui esse
si sovrappongono e si confondono coi sentimenti. Ma l’ossessione sarà vissuta
anche dal pubblico, che farà da intruso nella stanze di sei coppie, con
l’intento di guardare quello che accade tra loro. È in quei discorsi che
vengono prima e dopo il sesso che si metteranno a nudo personaggi, dinamiche,
storie, a volte scabrose altre volte pericolose, avvolte dal buio della
segretezza, dal silenzio del cuore e dell’anima
9 ottobre,
ore 21,
“E primme vase tuoie l’aggio avute io”, di R. Viviani. Lalla Esposito,
accompagnata al pianoforte dal M. Mimmo Napolitano e al sax dal M. Peppe di
Colandrea, farà un viaggio tra le parole e la vita di Raffaele Viviani. Una
produzione Eventi Mediterranei.
Dedicare uno spettacolo all’arte di Viviani
non è cosa semplice. Può ingannare il fatto che i suoi testi e le sue musiche
sono un patrimonio immenso e “popolare”. Nel caso di Viviani popolare non deve
essere considerato un aggettivo che sminuisce la sua genialità, che sta proprio
nel trasformare “il popolare in una materia preziosa”. E' una materia che
Viviani conosce per appartenenza, e attraverso questa restituisce la dignità al
popolo. Proprio rispettando questa dignità, l’idea di rappresentazione dello
spettacolo sarà essenziale nella sua semplicità, predisposta ad evocare e
rivivere i personaggi-anime tratteggiati da Viviani. E così gli
scugnizzi-diavoli, i guappi-principi, le prostitute-angeli prenderanno vita.
L'attrice e cantante Lalla Esposito, accompagnata al pianoforte dal M. Mimmo
Napolitano e al sax dal M. Peppe di Colandrea, farà un viaggio tra le parole e
la vita di Raffaele Viviani. Attore, commediografo, compositore, poeta e
scrittore italiano, egli intendeva portare in scena la verità, la miseria,
l’ingiustizia, e marchiò le sue sceneggiature e le sue canzoni con una lingua
scarna, aspra e tagliente, ben lontana dallo stile che faceva del teatro colto
un’esclusiva delle classi più agiate, riuscendo perciò a coniugare contenuti
profondi ad una possibilità di fruibilità da parte di tutti
dal 16 al 18
ottobre, ”Birre e rivelazioni” atto unico in otto birre di Tony
Laudadio con Roberto De Francesco, Andrea Renzi. Collaborazione alle scene
Barbara Bessi, suono Daghi Rondanini, direzione tecnica Lello Becchimanzi.
(nostro
articolo)
L’atto unico, scandito dalla divisione del testo in otto birre, ha due
protagonisti, interpretati da Tony Laudario e Andrea Renzi, un professore di
italiano e il proprietario della birreria. Non è casuale la visita del
professore in birreria. Birre e rivelazioni è uno spettacolo che viaggia sul
confine sottile tra la riflessione seria e l'ironico delirio etilico, perché è
proprio su quel confine che si gioca, spesso, tutta la partita delle vite umane
e dei loro paradossi. Il testo vede due personaggi in scena e uno continuamente
evocato che non compare mai. Il protagonista è quest'ultimo. La sua assenza
sulla scena, illumina tutto il testo: il figlio, il giovane, la nuova
generazione, con i suoi problemi, i suoi turbamenti, le scelte da compiere, la
scoperta dei propri anfratti remoti. È per loro, d'altronde, per le nuove
generazioni, che gli adulti lavorano, si impegnano, esistono. Ma possono poi gli
adulti, i padri, i professori, gli uomini responsabili, avere anche una loro
autonomia, un'esistenza individuale, una vita sessuale? E i loro lati oscuri, il
pensiero torbido, il dubbio, quanto inficiano il ruolo funzionale? Queste le
domande che vengono poste nell'arco dello spettacolo, discorsi che alludono,
girano intorno, coprono l'oggetto vero del dialogo. Il lento e costante
svelamento dei pensieri più nascosti che ruotano attorno al vero centro dello
scambio, che birra dopo birra costituirà la trama di questa relazione umana, è
il vero obiettivo del testo.
24 ottobre, “Iago | crocuta crocuta” di e con Lorenzo Berti,
musiche e suoni gianluca misiti, luci e direzione tecnica max mugnai,
organizzazione nicole arbelli, produzione fortebraccio teatro.
Lo spettacolo
è una riscrittura dell’Otello di William Shakespeare, scritto e interpretato nel
2007 da Roberto Latini, viene oggi reinventato da Lorenzo Berti porta in scena
una sua versione. Pensato come un concerto, lo spettacolo non ha una rigida
forma drammaturgica, bensì una scaletta di brani interscambiabili. Si immagina
Iago in una gabbia circondato da altre iene, che aspettano soltanto che lui
muoia di fame per oltraggiarne il corpo. Egli rivendica la sua innocente e
crudele onestà fino alla fine, senza spiegare mai il reale movente delle sue
azioni ed assolvendosi, sacerdote di se stesso.
25 Ottobre, “Metamorfosi |
scatola nera” di e con Roberto Latini, musiche e suoni Gianluca Misiti, luci e
direzione tecnica Max Mugnai, organizzazione Nicole Arbelli, produzione
Fortebraccio teatro (nostro
articolo)
Lo spettacolo è uno spazio per la memoria, uno spazio
scenico abitato, un contenitore possibile solo con il disincanto della
non-drammaturgia, della non-regia e della non interpretazione. È un appuntamento
senza tempo, libero e del tutto autoreferenziale.
Fortebraccio Teatro, che vive della collaborazione artistica di Roberto
Latini, Gianluca Misiti e Max Mugnai, si immerge nel percorso intitolato
“metamorfosi”: tre anni strutturati in "drammaturgie mobili” all’interno di un
programma in divenire a cui non si vogliono opporre resistenze e limiti. Da
Ovidio e altre possibilità contenute nella fase estiva del lavoro, sposta lo
sguardo verso un orizzonte conosciuto e prova ad aggiungersi al deja-vu dello
spazio della memoria. Prova una doppia alterazione attraverso due proposte
differenti e contigue: la prima intitolata Iago è la riedizione di uno
spettacolo fondamentale per la compagnia e viene dal progetto Radiovisioni e da
una precisa ricerca intorno alle possibilità dell’amplificazione. Il percorso
nella tragedia delle parole qual è l’Otello di shakespeare è affidato a un
giovane attore che ha reinventato quello spettacolo a modo suo e secondo la sua
sensibilità. La seconda proposta, affidata alla scena di Roberto Latini, ha per
titolo Metamorfosi/Scatola Nera. Modificano, cambia, reinventa scene che hanno
già attraverso il palco in altri contenitori e forme e prova a vedere che
possibilità hanno di susseguirsi e rimandarsi a vicenda. La compagnia cerca
l’evidenza del proprio stare, nel nucleo di alcune scene estrapolate dalle
drammaturgie originali per capire quali altre occasioni possano riservare.
dal 6 all' 8 Novembre, “Eternapoli” di Giuseppe Montesano e
Enrico Ianniello, con Enrico Ianniello, dal romanzo ”Di questa vita
menzognera”di Giuseppe Montesano, una produzione Teatri Uniti e Teatro Franco
Parenti. (nostro
articolo)
In una comica moltiplicazione di voci e personaggi, lungo un
interminabile pranzo di Pasqua e Natale colmo di capretti sanguinanti,
Bimbe-Salomé, vongole, purpetiélli, ostriche, Edgar Allan Poe, prosciutti del
Matese e minestra maritata, Turismo Totale e Bhāgāvādgitā, le sinfonie di Mahler
e l’elettronica di Deadmau5, Roberto – il giovane segretario/discepolo del dandy
Cardano – ci conduce nella villa settecentesca dei Negromonte, imprenditori
napoletani senza scrupoli,saldamente solidali al potere politico, pronti a
realizzare il loro progetto: trasformare Napoli, tutta Napoli, in Eternapoli.
Eternapoli è una città/parco tematico, dove la vita recitata sostituisce
definitivamente la vita reale. Un’utopia ferdinandea inacidita, una
Negromontopoli che prende corpo al grido di “liberté, egalité, io rubo a te e tu
rubi a me! E vualà e vualà, càvece ‘nculo ‘a libertà!” diffuso dagli
amplificatori nel crescendo di una nuova, terribile e untuosa controrivoluzione
lazzaresca, con temibili squadre di picchiatori che corrono nei vicoli vestiti
da Pulcinella, mentre la musica da discoteca ingoia tutto in una delirante
sarabanda del potere.
Bisognerà correre dietro a un archeologo ribelle
travestiti da Mandrake e Gentiluomo di Raffaello per tornare finalmente verso il
mare, per riprendere a respirare, per rivedere un pezzetto di cielo azzurro
libero dalle gru e dalle macerie. Ma di fronte “alle più scellerate celebrazioni
del Privilegio, e al vilipendio costante del Bello”, esisterà davvero una via di
fuga e di salvezza?
Ho deciso di affrontare questa traversata in solitaria,
accompagnato unicamente dalle possibilità offerte da un microfono e uno schermo
di luce, perché questo romanzo straordinario è un patinato delirio di modernità,
è il racconto di un pazzo nella cui testa urlano, si amano, riflettono, si
suicidano, predicano, muoiono o dominano questi personaggi.
Un delirio
patinato molto, molto simile alla realtà che viviamo. Enrico Ianniello
21 e 22 novembre, “Per obbedienza” Dell’incanto di frate
Giuseppe con Fabrizio Pugliese, drammaturgia Francesco Niccolini, Fabrizio
Pugliese. Regia Fabrizio Saccomanno e Fabrizio Pugliese, collaborazione
artistica Enrico Messina (Armamaxa) (nostro
articolo)
La grande storia di un piccolo uomo fuori
dall’ordinario: Giuseppe da Copertino, santo. Una storia picaresca, comica,
commovente e al tempo stesso raccapricciante: una vita complicata, un padre
sciocco e truffato dagli amici, quattro fratelli morti, una madre indurita dalla
fatica e da una fede arida. Una storia che si dipana dal primo Seicento, in
un’età sfarzosa e sudicia, dove trionfano malattie gravi, infezioni, una
giustizia ingiusta, una Chiesa onnipotente, ma – sopra a tutto – una vocazione
sublime, l’amore bellissimo e assoluto di un giovanetto al limite dell’autismo
che si innamora perdutamente de la mamma sua: la Madonna.
Nell’estasi, più
che vedere, il soggetto diventa lui stesso madonna, divinità, demone, a
seconda; così di San Giuseppe: è il divino che muove verso di lui, non il
contrario. Giuseppe va in estasi con una facilità incredibile: l’unica
differenza rispetto ad altre estasi, dove lo spirito abbandona un corpo
immobile, sta nel fatto che lui il corpo se lo porta con se, in volo; quel corpo
martoriato da digiuni e flagellazioni diventa una pagina dove è disegnato tutto
il suo amore verso la Madonna , tutta la sofferenza di quel mondo che lui non
comprende, non da sveglio, certo, e non secondo un pensare quotidiano, ma che
sente dentro di se; non basta lo spirito: Giuseppe ha bisogno di portare con se,
in volo, le prove di questa sofferenza.
Senza saperlo, quel santo “idiota”
mostra la nostra di inadeguatezza, il nostro bisogno di dare sempre un ordine
razionale alle cose, l’incapacità, o paura, di perderci magari davanti ad un
affresco, riconducendo alla “potenza simbolica del figurativo” le emozioni che
il racconto segreto di quelle immagini ci suscita…..
Tutto il lavoro di
ricerca, di fonti storiche, di leggende popolari porta nel nostro lavoro
all’elaborazione di un testo per attore unico; un narratore all’interno di una
struttura scenografica semplice, fatta di pochi segni e uno sgabello malfermo su
cui siede, in bilico anche lui, in procinto di cadere, o di volare, forse.
Fabrizio Pugliese
Venerdì 27 novembre, ore 21, sabato 28 novembre,
ore 10,30, la cooperativa Tam Tam presenta l'anteprima assoluta dello spettacolo
"Mio padre, un magistrato – storia di Rocco Chinnici raccontata dalla figlia"
scritto e interpretato da Clara Costanzo con Roberto Izzo
"Mio padre, un
magistrato – storia di Rocco Chinnici raccontata dalla figlia“ è il titolo del
lavoro che nasce dall'incontro di Clara Costanzo, autrice ed interprete, con
Caterina Chinnici, figlia del magistrato, in un caldo pomeriggio d'estate, in
Sicilia: poche parole di intesa, sguardi di stima reciproca e il desiderio
comune di narrare una vita.
Il violino di Roberto Izzo accompagna in scena
Clara che, come se fosse Caterina, racconta la storia del suo papà, Rocco
Chinnici: un magistrato, un eroe, un martire ma soprattutto un uomo, un marito,
un padre.
Rocco Chinnici fu il primo ad affermare che per combattere la mafia
bisognasse colpirla negli affari economici; fu il primo ad intuire l'unitarietà
e l'interdipendenza fra tutte le famiglie mafiose e, conseguentemente,
l'interconnessione dei grandi delitti di mafia; fu il primo a modificare
radicalmente il metodo di lavoro dei magistrati, cercando di affrontare
unitariamente l'esame del fenomeno; riunì sotto la propria guida Borsellino e
Falcone, istituendo così quello che, dopo la sua morte, prenderà il nome di POOL
ANTIMAFIA, pioniere di un metodo apprezzato e ripreso anche dall'FBI; fu il
primo a portare la sua testimonianza nelle scuole, a parlare direttamente ai
ragazzi convinto che educare le giovani generazioni ad una nuova coscienza,
fosse l'unica arma per un futuro migliore: anche per questo fu ucciso dalla
prima autobomba piazzata da Cosa Nostra, il 29 luglio 1983.
La sua storia
attraverso lo sguardo amorevole e addolorato della figlia, assume una forza
emotiva ed una autenticità eccezionali nella quotidianità dei grandi ideali, del
duro lavoro e dei gesti concreti della vita di ogni giorno.
Le note inedite
del violino e del canto, danno voce struggente a quanto non è possibile
esprimere a parole, evocando con partecipe emozione fatti storici, esistenze
umane e atmosfere musicali in una variazione di linguaggi che trasfigura la
biografia storica in una forma nuova.
Lo spettacolo fa parte del progetto
“COSTELLAZIONI – percorsi turistici e culturali dal mare al cielo” Progetto PAC
III - Promozione e Valorizzazione del patrimonio culturale della Campania
5 e 6 dicembre, "Diritto al martedi'"
liberamente ispirato a ”Il giunco mormorante” di Nina Berberova, drammaturgia e
regia Linda Dalisi, con Valentina Vacca, aiuto regia Francesca Giolivo, foto di
scena Brunella Giolivo
Sullo sfondo della guerra e dei regimi che cancellano
le identità degli uomini comuni e le inutili lotte dei poeti, si svolge la
storia della protagonista del lavoro i Linda Dalisi e Valentina Acca, esule in
attesa che il suo amore ritorni e vittima di un totalitarismo privato e
quotidiano: quello che, quasi a suggerire un gioco di specchi, schiaccia l’uomo
e ne impedisce le scelte e la felicità. La letteratura russa è stata una grande
fonte di ispirazione e tra gli altri le due hanno scelto di lavorare in
particolare sulla poetica di Nina Berberova perché nelle sue parole il peso
della memoria, l’esilio, le storie d’amore, l’autobiografia, si intrecciano
sempre con la lotta al totalitarismo schiacciante. “Esiste, per ciascuno di noi,
una “No man’s land” – dice la Berberova - in cui ognuno è totale padrone di se
stesso. C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a
noi, di cui nessuno sa nulla. Ciò non significa affatto che, dal punto di vista
dell’etica, una sia morale e l’altra sia immorale, o, dal punto di vista della
polizia, l’una lecita e l’altra illecita. Semplicemente, l’uomo di tanto in
tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o
in compagnia di qualcuno, anche soltanto un’ora al giorno”. Nel rispetto della
poetica della Berberova, Dalisi e Acca si sono interrogate su diverse pagine dei
grandi poeti russi, proiettando la ricerca sul lavoro d’attore solo in scena,
cercando di comporre un apologo sul rapporto tra amore e libertà. Da un lato le
ha spinte la ricerca sulla parola della memoria, su come renderla viva a teatro
quando il ricordo viene mosso, dall’altro il tentativo di dare corpo e respiro
ai sentimenti che di volta in volta traboccano nell’anima di questa donna. La
chiave è stata cercare un ponte di comunicazione attraverso dei disegni con cui
far viaggiare il racconto della protagonista. Partire da un addio. Perché con
ogni addio puoi imparare a piantare il tuo giardino e a decorare la tua anima.
Una riflessione su come l’amore abbia a che fare con l’insensato e il venir
meno, su come dire addio a qualcuno che amiamo significhi certamente dire addio
a una parte di noi, e su come imparare a ricostruire la propria identità
comporti il difendere la propria libertà e il proprio mistero che è anche quello
dell’altro. Scoprire questo, anzi ricordarselo, per non dimenticarlo più, sembra
essere oggi, nell’era del controllo, una Possibilità. L’attrice in scena danza
con le immagini create dal suo stesso gioco di equilibrio sul confine tra
presente e passato, ricordo vissuto e futuro inventato, memoria presente e vita
sparita nel nulla. Le immagini disegnate, quindi, diventano una chiave, motore,
strumento; come parti del corpo stesso dell’attore, e quindi perfettamente in
grado di aiutarlo a comunicare la sua ribellione. La protesta inizia col primo
gesto, la prima parola, il primo mormorio della scena.
19, 20, 26 e 27 dicembre 2015 e 2
(ore 19 e 21), 3 (ore 17 e 19) e 6 gennaio (ore 17) 2016, "Cenere’ ovvero la mirabolante storia di una
scarpina dimenticata". Dai F.lli Grimm, da Perrault e da Basile, drammaturgia e
regia Rosario Lerro e Luigi Imperato, scene Antonio Buonocore, costumi Alina
Lombardi, musiche originali Paky Di Maio. una produzione Mutamenti /Teatro
Civico 14 (nostro
articolo)
La pièce, ispirata alla Cenerentola dei Fratelli Grimm, a quella di
Perrault e a La gatta Cenerentola di Basile, è scritta da Luigi Imperato e
diretta insieme a Rosario Lerro. In scena gli attori Roberto Solofria, Ilaria
Delli Paoli, Claudia Gilardi e Valeria Impagliazzo, le scene sono di Antonio
Buonocore con Francesco Petriccione, i costumi di Alina Lombardi, le musiche
originali di Paky Di Maio, le luci e le fotografie di scena di Marco Ghidelli e
le maschere utilizzate di Vesna Sansone.
Fermamente convinti che il teatro
sia uno strumento importantissimo per l’educazione e la crescita delle nuove
generazioni, gli artisti della compagnia Mutamenti / Teatro Civico 14 si sono
spesso avvicinati, nei loro spettacoli, alle favole e al mondo dei bambini. Dopo
I vestiti nuovi dell'imperatore del 2010 e Il sogno di Rosaspina del 2013,
quest'anno arriva la terza produzione di teatro ragazzi, Cenerè, che prenderà
vita sul palco del teatro casertano nei giorni 19, 20, 26 e 27 dicembre 2015 e 2
e 3 gennaio 2016.
La storia raccontata trova ispirazione nella fiaba La Gatta
Cenerentola (Trattenimiento siesto de la jornata primma) contenuta in Lo cunto
de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, raccolta di cinquanta fiabe
in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile, edite fra il 1634 e il 1636
a Napoli. La Gatta Cenerentola è la versione italiana di una storia
antichissima, che ebbe grande diffusione a partire dal IX secolo avanti Cristo,
periodo in cui la si trova, in forma arcaica, per la prima volta in una novella
cinese. La Cenerentola moderna arriva sino ai nostri tempi grazie ai successivi
rimaneggiamenti di Perrault e dei fratelli Grimm. Con il cartone animato di Walt
Disney del 1949, ispirato alla versione di Perrault, la storia di Cenerentola
prende la sua forma definitiva nell’immaginario collettivo, si spoglia del suo
spessore originario e si cristallizza nella fiaba che celebra la vittoria dei
buoni sentimenti e il trionfo sull’ingiustizia.
Di quanto aiuto ha bisogno
Cenerentola? Dove può arrivare con le sue forze, con la sua caparbietà e
grazie alla costanza dei suoi desideri? Ha veramente bisogno della fatina o deve
imparare a credere in se stessa? Sono queste le domande che ci si è posti
pensando alla riscrittura di questo classico della narrazione fiabesca. La
Cenerentola della compagnia Mutamenti / Teatro Civico 14 è sì succube del trio
sorellastre/matrigna, ma non si sottrae alla sfida che rappresenta per lei
continuare a sognare nonostante tutto appaia grigio, color cenere appunto. I
colori sono ancora là, basta impegnarsi a fondo, crederci e spazzare via tutta
quella cenere. Pur tra pasticci, errori e momenti di paura o indecisione, la
nostra sguattera riesce a farsi carico del suo destino, salire tutti i gradini
del castello e conoscere il figlio del re. Quando poi sarà costretta a
scappare, lascerà qualcosa alle sue spalle.
Il contrasto tra verità e
apparenza che domina l’intera vicenda è qui indagato dando voce ai pensieri e
alle fantasie dei bambini riguardo al valore della verità e agli inganni delle
apparenze, provando ad andare più a fondo nell’universo dei valori infantile.
16 gennaio 2016, “Inside The Project: Nirvana” a
cura di Paky Di Maio e Luigi Iacono, al Teatro Izzo di
Caserta, ore 21
Un evento curato da Paky di Maio e Luigi Iacono in
collaborazione con Mutamenti/Teatro Civico 14.
A rendere omaggio, nel più
intimo e personale dei modi, alla più grande band degli anni '90 saranno
fotografi, musicisti, attori, danzatori, pittori, street artist, acrobati.
Ospiti di Inside Nirvana saranno: 7 Parsec, l'Associazione Fotografica Bresson,
Calatia, DDR, Domenico Tirino a.k.a NAF-MK, Ykap, Passe Partout, Psychopathic
Romantics, Teatro Civico 14, The Event Dance Company, Gianluca Vanità, Morks.
Inside the project è un evento unico che coinvolge totalmente lo spettatore
immergendolo in un incontro di arti e personali ricerche espressive che prendono
spunto dalla musica dei Nirvana per poi viaggiare attraverso mondi sorprendenti
e nuovi.
A reinterpretare la musica della band di Kurt Cobain il chitarrista
classico Gianluca Vanità; la band post-rock con ambientazioni sognanti ed
esplosive 7 Parsec; la band folk rock dalle radici italo-americane Psycopathic
Romantics; il progetto DDR o Disturbo Di Relazione, nato dall’incontro tra Fabio
Sorrentino (Psicoparty; Narcolexia; Low-FI) e Giandomenico Caniello (Katap;
Mundu Rua); Passe Partout progetto di ricerca musicale attraverso le tante
sfaccettature del cantautorato folk e rock di Andrea Chiariello, Pasquale
Maltempo ed Antonio Caddeo; la band Calatia che porta sul palco l'etno prog di
Terra di Lavoro; YKAP progetto del produttore e compositore Paky Di Maio.
Ancora offriranno la loro personalissima visione della musica dei Nirvana lo
street artist Domenico Tirino a.k.a. NAF-MK; la compagnia di danzatori The Event
Dance Company; Sara Scarpati e Vesna Sansone del gruppo di performers Morks;
l'Associazione Fotografica Bresson che presenterà una mostra realizzata per
l'occasione; il Teatro Civico 14 di Caserta che presenterà una performance
teatrale cura di Ilaria Delli Paoli e Rosario Lerro con gli attori del
Laboratorio 14, progetto di formazione avanzata del Teatro Civico 14.
PREVENDITA APERTA Biglietto unico € 10,00
Info e prenotazioni:
0823.441399 | 339.1873346, info@teatrocivico14.it |
info@insideproject.org,
www.insideproject.org | www.teatrocivico14.org
30 e 31 gennaio, “Nero e bianco” accabbai e
matrici: due riti:
Accabbai – un rito di e con Alessandra Asuni
collaborazione allo studio e alla drammaturgia Marina Rippa, Massimo Staich
Matrici – un rito di Alessandra Asuni e Marina Rippa con Alessandra
Asuni,elementi scenici Massimo Staich
Con “Accabbai”un rito è iniziato un
percorso artistico che vede Alessandra Asuni e Marina Rippa, impegnate in un
progetto che esplora il ciclo vita morte e rinascita attraverso il mondo
femminile.
Dopo Accabbai (Premio Landieri 2013), si rafforza con il secondo
rito Matrici, un percorso che richiama come forma la performance teatrale
rituale in cui nel corso della ‘esecuzione’ si può generare sempre qualcosa di
nuovo. Ognuno dei riti contiene l’altro, sono nella stessa misura per lo
spettatore-partecipante divisibili e indivisibili . Questo tipo di lavoro ha un
carattere sperimentale e nello stesso tempo critico: attraverso l’agire è
possibile vivere e portare a compimento un’esperienza e riflettere
sull’esperienza stessa.
13 e 14 febbraio, "Sueño #4"
drammaturgia e regia di Sara Sole Notarbartolo
con Cristina Donadio,
Valentina Curatoli, Raffaele Balzano, aiuto regia Riccardo Pisani, musiche
originali Massimo Cordovani, costumi Gina Oliva, disegno luci Paco Summonte,
foto di scena Gilda K. Notarbartolo, progetto a cura di Taverna Est Teatro,
coproduzione Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia,
produzione esecutiva Magazzini di Fine Millennio, organizzazione Paola
Boccanfuso.
In un luogo quasi irreale, che potrebbe essere una città del sud
Italia o del sud America, Ninetta è pronta a partire. Ha portato tutto con sé:
sembra più in procinto di traslocare che di intraprendere un semplice viaggio.
Salita sul treno che la porterà via, nell’esatto istante in cui chiude gli
occhi, viene svegliata da sua madre Morgana che, come un miraggio, cercherà di
farle ricordare il vero motivo per cui lei è lì. Assieme a Morgana,
madre-matrigna da cui non c’è scampo, ripercorre i momenti cardine della sua
breve storia, si perde, non capisce, si confonde, ha paura di guardare, si
abbandona, resta ingabbiata, senza scampo, fino a che, con doloroso sollievo,
riesce, forse, a ricordare. Cristina Donadio, Valentina Curatoli e Raffaele
Balzano, ci accompagneranno in questo percorso onirico, che Sara Sole
Notarbartolo ha costruito per raccontare il modo oscuro e profondissimo mediante
il quale i sogni ci comunicano quello che non vogliamo sapere di noi stessi. A
trasmetterci quel senso di bilico tra dubbio e reale che sperimentiamo nelle
nostre visioni notturne contribuirà la struttura narrativa frammentata – che si
apre con un piccolo, inevitabile omaggio a Calderón de la Barca e alla
riscrittura che ne fece Pasolini in Calderon – che si compone per svelamenti,
contraddizioni e conferme.
Le musiche di Massimo Cordovani intessono col
racconto sospensioni e ritorni, momenti paradossali e attese, si fanno gabbia da
cui Ninetta non scappa, ricordo divertito, dolore senza ristoro.
27 e
28 febbraio, "Love Bombing" scritto e diretto da Giuseppe Miale di
Mauro con Gennaro Di Colandrea. / L’Ergastolano, Giuseppe Gaudino / Il Falco, Stefano Jotti
/ L’Avvocato, Adriano Pantaleo / ‘O Guaglione, Giampiero Schiano / Il
Mujahideen, Andrea Vellotti / Il Pediatra, una produzione Nest Napoli Est Teatro
(nostro
articolo)
Perché Love Bombing? Perché parlare di Stato Islamico, di jihad, di
resistenza, di sopravvivenza? Partiamo col dire che il collettivo Nest ha nel
suo dna utilizzare il teatro come mezzo artistico per denunciare con feroce
concretezza le malattie di cui è affetta la nostra società, con un occhio
sempre vigile sulle problematiche universali di un mondo, geograficamente
parlando, sempre più in difficoltà. Tenta di esprimere attraverso il
linguaggio teatrale, un deciso dissenso verso chi cova il desiderio di
lobotomizzare la massa per indurla più facilmente al proprio tornaconto
personale. L’attenzione all’attualità, alla cronaca, alle problematiche che
attanagliano il nostro spazio vitale e creativo, sono da sempre spunto di
riflessione per il collettivo Nest, e molto spesso diventano gli argomenti degli
spettacoli che si decide di portare in scena. Sottoporli all’attenzione di un
pubblico che ha voglia di sapere, di scoprire, di riflettere, di accendere la
luce su quello che troppo spesso è volontariamente tenuto al buio da altri
mezzi di comunicazione, diventa per noi una mission cui tendiamo, linfa vitale
che ci fa sentire in grado di toccare l’animo umano troppo spesso costretto ad
assopirsi difronte al “niente” proposto.
Ecco, la messa in scena di LOVE
BOMBING va esattamente e precisamente in questa direzione, un progetto che punta
il faro su quella che è la minaccia dello Stato Islamico, ma soprattutto
immagina quello che potrebbe essere in futuro. Utilizzando il teatro come luogo
di ragionamento e approfondimento, immaginando quello che non c’è ma che
potrebbe esserci. Sperando di aver francamente toppato qualsiasi tipo di
previsione.Collettivo Nest (Napoli est Teatro).
6 marzo,
"Adulto" ispirato dai testi finali di Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Dario
Bellezza, uno spettacolo di Giuseppe Isgrò con Dario Muratore, voci Ferdinando
Bruni, Ida Marinelli, dramaturg Francesca Marianna Consonni, suono Giovanni
Isgrò, assistente ai costumi e alla scena Vito Bartucca, tecnico attrezzista
Gilles Ielo, immagine Sally Cellophane, grafica Alessandro Tonoli, in
collaborazione con Voci Erranti, Racconigi (CN) e TMO Teatro Mediterraneo
Occupato, Palermo
Adulto è una ricerca sulla parte maledetta della crescita,
quella che non matura, che non si dichiara, che non si esprime e che non si
arresta: un’energia sotterranea e magmatica, devastante quanto generatrice. Lo
sguardo del pubblico è affacciato alla scena come alla rete da cantiere di uno
scavo immaginale. Qui sono insabbiati gli oggetti ludici, erotici, i feticci e i
travestimenti di un individuo abnorme e delicatissimo, che produce i suoi riti
scabrosi in questo che sembra un luogo periferico, sospeso, tutto autogenerato,
autonomo rispetto al resto del mondo. Linee di led e radio analogiche sono i
confini visivi e sonori della scena, un luogo della mente che restituisce suoni,
bagliori, presenze: è un buco dall’attività frenetica, una fossa abitata da un
unico personaggio, costantemente antagonista. Tuttavia questa non è la storia
dell’ostilità alla vita o di un arroccamento, ma quella al contrario di una
totale resa, di una spesa oscena di sé, di un’estasi fatale, unita carnalmente
al fallimento. Invece di crescere e divenire solido, l’io si disperde, si
sparge, decresce, torna all’origine, fino all’utero materno. Le trasformazioni a
cui è sottoposto il personaggio trascendono il genere sessuale, la morale, il
ruolo sociale, la direzione ordinaria della vita. Tutto il processo è però
attraversato da desiderio, amore, bisogno estremo e abominevole di tenerezza. Si
tratta di una bestemmia recitata con il rapimento di una preghiera, di un
sublime sprofondare. Le parole che compongono questa contro oratoria sono tratte
dalle opere finali di Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante e Dario Bellezza,
accomunate dall’essere liriche filosofiche, opere pericolose e azzardate, crolli
monumentali che prefigurano la morte e sono assieme capaci di un pensiero
visionario e rigenerativo sul divenire. Da questi testi controversi emerge la
possibilità di un procedere diverso, interno alla vita, contrario all’essere
unitari, finiti, coerenti, pienamente adulti. Adulto è infatti una dedica allo
spirito che è capace di osare strumenti di conoscenza impervi e non
convenienti, quali il regresso, il percorso a ritroso, l’involuzione, il ricorso
all’infanzia, uscire dal genere e degenerare.
dal 18 al 20
marzo, Chiromantica Ode Telefonica Agli Abbandonati Amori (nostro
articolo)
da Enzo
Moscato, Giuseppe Patroni Griffi, Annibale Ruccello, Francesco Silvestri
uno
spettacolo di e con Roberto Solofria e Sergio Del Prete
una coproduzione
Mutamenti/Teatro Civico 14 e Murìcena Teatro
Musiche originali Paky Di Maio
Costumi Alina Lombardi
estratti da: Ragazze sole con qualche esperienza, di
Enzo Moscato; Scende giù per Toledo, di Giuseppe Patroni Griffi; Le cinque rose
di Jennifer, di Annibale Ruccello; Streghe da Marciapiede, di Francesco
Silvestri e da Schiume (in Partitura) di Enzo Moscato, Orfani veleni, di Enzo
Moscato
Angoli di camera da letto, angoli di sogni, angoli di abbandoni,
angoli di amori e di illusorie telefonate. Un luogo unico e disunito che unisce
le anime stracciate di “Chiromantica ode telefonica agli abbandonati amori”.
Enzo Moscato, Giuseppe Patroni Griffi, Annibale Ruccello e Francesco Silvestri,
sono gli autori che creano il fil rouge, (in)consapevolmente tra le loro anime
dannate riportate su carta negli anni ’80, anni di grande fervore culturale.
Rosalinda Sprint, Jennifer, Gina, Tuna, Bolero e Grand Hotel, sono le
protagoniste di questo viaggio oniricochiromantico en travestì. Protagoniste
figlie di questi autori, di quegli anni, del tempo infinito.
“Chiromantica
ode telefonica agli abbandonati amori” attraversa le viscere ammalate di una
brutta, sporca, lurida, chiavica città.
Venerdì 25 marzo,
ore 21, Sabato 26 marzo, ore 21, Parastasi Kitsch
scritto da
Fabiana Fazio, liberamente ispirato a “la morte della Pizia” di F. Durrenmatt,
diretto e interpretato da Fabiana Fazio e Irene Grasso
musiche originali
Lucio Aquilina, scenografia Antonella Di Martino, costumi Barbara Veloce,
disegno luci Paco Summonte, assistente alla regia Roberta De Pasquale
Istruzioni per dissacrare un Mito: prendiamo un sacro oracolo come la Pizia e un
Gran sacerdote di Apollo. Immaginiamoli ancora lì, in un non luogo tra passato e
presente, chiusi, dalla notte dei tempi nel proprio tempio decadente,
deteriorato, dove da secoli, giorno dopo giorno, continuano a mettere in scena
il solito “teatrino” fatto di gesti rituali, versi scomposti, scenografia, luci,
odori, fumo, atmosfera, “lustrini incartapecoriti e paillettes ossidate”… a cui
loro stessi non credono più, né mai forse hanno creduto. “Ma i clienti vogliono
questo. E il cliente si sa, ha sempre ragione“. Che si tratti di un cliente
facoltoso o meno… poco importa! Eccoli denudati di ogni sacralità, alle prese
con stupide scaramucce e infantili capricci. Vendono una merce che non hanno.
Messi lì a inventare un futuro e una verità, di cui non sanno nulla. Messi lì
per mostrare il volere divino. Messi lì (e lì dimenticati) da qualcun altro, per
recitare il proprio ruolo in questo spettacolo… “così schifosamente kitsch”!Il
volere divino deve compiersi. L’insensata fede negli dei va pur sfruttata… e la
verità? A chi interessa in fondo?”
E se i due miti greci, supremi detentori
della verità, entrassero in crisi? Se i vaticini fossero in realtà solo visioni
nate dalla loro fervida fantasia? Cosa accadrebbe ai personaggi che, timorosi ed
impauriti, si alternano al loro cospetto in cerca di certezze e rassicurazione?
Due archetipi ridotti afarsesche caricature, si fanno beffa degli uomini e delle
proprie debolezze, scoprendo la vacuità ma al contempo l’importanza del loro
mistificatorio commercio di verità Burattinai e burattini, vittime e carnefici
al contempo di un gioco a cui sono stanchi di giocare (?), ma al di fuori del
quale forse neanche esisterebbero… Un gioco di cui conoscono le regole, talvolta
ignorano lo scopo e il cui esito finale non dipende solo da loro…Un gioco antico
a cui tutti i grandi giocano. Il gioco eterno, o meglio fuori dal tempo, delle
parti.Il “teatrino” resta in piedi. Il gioco continua… (finché ci sono
giocatori…)
2 e 3 aprile,
"Risorgimento Pop" con Daniele Timpano, Valerio Malorni, drammaturgia e regia
Daniele Timpano, Marco Andreoli, disegno luci Marco Fumarola, cadavere di
“Giuseppe Mazzini” realizzato da Francesco Givone, musiche aggiuntive di Marco
Maurizi
collaborazione artistica di Elvira Frosini, produzione Frosini /
Timpano, amnesiA vivacE, Circo Bordeaux, RialtoSantambrogio, Voci di Fonte, Con
il sostegno di “Scenari Indipendenti”, Provincia di Roma, in collaborazione con
Ozu, Area 06, Centro di Documentazione Teatro Civile, Consorzio Ubusettete,
selezione Face à face 2011.
L’Italia non risorge. L’Italia non c’è. La
Storia non c’è. Perché è sempre inattendibile, la Storia. Nella ricostruzione
dello storico, come nei ricordi dei testimoni, nelle fiction, come nei romanzi,
negli spettacoli dei Baliani e dei Paolini, dei Timpano, degli Enia e dei
Celestini, così come nella Tv di Alberto Angela. E allora bisogna prendere
tutto con le pinze perché tutto, ahinoi, dev’essere interpretato, aggiornato e
discusso. Le cinque giornate di Milano, l’impresa dei Mille, Porta Pia e Pio IX,
Garibaldi e Mazzini: altrettanti momenti e figure che propaganda, vulgata e
retorica hanno appiattito, sbiadito e incastrato in quel mito di fondazione
forzato, immaginario e falsamente concorde che chiamano Risorgimento. Con almeno
un risultato di rilievo: che la parola Risorgimento, con buona pace di leghisti,
neoborbonici e papisti, ci piace tanto. Come ci piace la pizza Margherita, tanto
per restare in tema, e Garibaldi che comanda, e il panorama del Gianicolo, e le
due chiacchiere a Teano, e Nino Bixio, uno dei mille, e persino l’inno di
Mameli.
Perché tutto questo è pop. Non semplicemente popolare. Popolare è
Pippo Baudo, popolari sono Albano e Miss Italia, Gigi D’Alessio e la Tatangelo,
popolare è il partito di Casini. Ma Sergio Leone, cavolo, è pop; il Bacio
Perugina è pop; Madonna, Battisti, Caparezza e Rey Mysterio sono pop. E Britney
Spears: anche lei è pop. Anzi; la sua giovinezza è quasi neogaribaldina, così
come le sue resurrezioni, i suoi rutti post-glamour, la sua retorica virginale.
E l’Italia? Con tutte le sue recrudescenze, con lo splendore millantato, con le
mafierie del quotidiano, che cos’è oggi l’Italia? Risorgimento pop è uno
spettacolo sull’Italia che non c’è, sull’Italia che non sorge, che se è
risorta, è rimorta, uno spettacolo sul Risorgimento, sui quattro padri della
patria, Mazzini, Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele, e sul suo antipapà, Pio
IX. Due attori, risorti e rimorti, immortali cadaveri, soli in scena, in
mancanza di Italia. Per un risorgimento pop.
15 aprile,
"Sentieri un racconto in musica" di e con Francesca Zanni, musiche eseguite
dal vivo da Valerio Piccolo (fuori abbonamento)
“Sentieri” è stata la soap opera più longeva della
storia della tv, con 72 anni di messa in onda, dal 1937 al 2009. Il primo
protagonista era un predicatore. Poi sono arrivati medici senza scrupoli,
avvocati traditori, trapianti di cuore e figli segreti, come nella migliore
tradizione delle soap! Anche nel nostro spettacolo il protagonista è un prete,
con una storia degna di una soap opera.
Sembra proprio la puntata di una
soap, infatti, quella che va in scena il 27 maggio del 2001 all’Hotel Hilton di
New York, quando il vescovo cattolico Emmanuel Milingo sposa Maria Sung, in un
matrimonio di massa officiato dal reverendo Moon. Lui è un ex esorcista
africano, già richiamato dal Papa a causa dei suoi metodi “non convenzionali” di
guarigione.
Lei è un ex agopunturista coreana. L’altro è un elettricista
napoletano, Salvatore, primo marito di Maria. Ed è raccontata come una soap
questa incredibile storia: tra fughe e riappacificazioni, rapimenti e
scomuniche, gelosie e tradimenti, sempre al limite tra dramma e commedia.
Milingo passa dal matrimonio alla segregazione in un convento, mente Maria fa lo
sciopero della fame e Salvatore si rifiuta di parlare coi giornalisti,
aspettando il ritorno della moglie da cui, dice, non ha mai divorziato. Un
viaggio da Napoli a New York a Seoul, passando per lo Zambia, dove Milingo, come
nelle migliori telenovele, perde tutti i suoi possedimenti e diventa povero in
canna.
Oggi Milingo, dopo la revoca del passaporto, non è più cittadino del
Vaticano, e quindi, come extracomunitario, per tornare in Itala avrebbe bisogno
del permesso di soggiorno.
Non si sa se sia ancora sposato con Maria Sung che
a sua volta non si sa se sia ancora sposata con Salvatore. Una soap a tutti gli
effetti… ma se invece fosse vero amore? Perché i SENTIERI del Signore sono
infiniti…
16 e 17 aprile, "Prometheus #2" da Eschilo a
Robert Lowell, ideazione, adattamento e regia Raffaele Di Florio, con Antonello
Cossia, Paolo Cresta, Valentina Gaudini musica Salvio Vassallo, sound e visual
design Francesco Albano, musica Salvio Vassallo
ingegnere del Suono Corrado
Taglialatela, make up Chiara Pepe. PROMETHEUS #2 è una produzione di Giusi
Langella per Altrosguardo, una produzione Altrosguardo
“Portare” in scena un
testo della tragedia greca nel terzo millennio, significa interrogarsi ancora
una volta con nuovi strumenti di conoscenza e sapere. Prometeo, figura della
mitologia greca, ha rappresentano nella storia della cultura occidentale il
simbolo di ribellione e sfida alle autorità e alle imposizioni; ma soprattutto,
Prometeo è eletto come metafora del pensiero (Promethéus, colui che comprende in
anticipo, che prevede), archetipo di un sapere sciolto dai vincoli del mito,
della falsificazione e dell’ideologia.
L’Argomento Spinto dal suo grande
amore per gli uomini, volendo migliorare le loro misere sorti, “Prometeo” ruba
il fuoco agli dei e ne fa dono ai mortali. Zeus allora, ostile alla stirpe
umana, interviene punendolo, senza tener in alcun conto l’aiuto datogli da
Prometeo nella lotta contro il padre Chronos. Il titano viene incatenato su una
rupe deserta della Scizia dove, ogni giorno, l’aquila di Zeus si pasce del suo
fegato, che sempre si riforma. Questo ingiusto tormento fa nascere una grande
collera nell’animo di Prometeo, che diviene così l’irriducibile ribelle,
scagliando contro Zeus oscure parole, nelle quali, fra l’altro, fa menzione di
un segreto noto a lui solo, riguardante una non lontana caduta ignominiosa del
padre celeste. Zeus allora, durante un tremendo cataclisma lo scaraventa
sottoterra, ricoprendolo di enormi macigni. Passeranno molti millenni prima che
Prometeo possa venire liberato.
Da Eschilo a Heiner Muller, da Gabriel Fauré
a Luigi Nono, da Jan Cossiers a Dirck van Baburen, la letteratura, la musica e
le arti figurative ne hanno esaltato e consacrato il mito. Proporre oggi il
“nostro” Promethéus non è solo un nuovo confronto della sua modernità con la
nostra contemporaneità, ma è per noi, soprattutto, un dialogo mai interrotto con
i “classici”, interrogarli per poi, usando i linguaggi multimediali in simbiosi
con l’artigianato della scena teatrale, far risuonare nello spettatore le
domande che in noi, a volte, non trovano risposte adeguate.
Nella nostra
pratica teatrale ogni lavoro ha un “suo metodo”, dettato ovviamente dalla
tematica, ma soprattutto dalla collaborazione degli “attori” coinvolti nel
progetto. Un comune denominatore che denota “l’estetica” del nostro lavoro è il
valore che si attribuisce in egual misura al testo, al suono ed allo spazio. In
#Prometheus#1 si manifesta in due aspetti tra loro interconnessi: φωνή (voce) e
φως (luce). La composizione musicale si focalizza intorno alla Parola:
significato ed significante sono potenziati dal canto e dal suono. Lo spazio
scenico, indicato come luogo “statico”, rivela la sua dinamicità attraverso
l’amplificazione visiva (luci e videoproiezioni), trasfigurando l’officiante in
scena. La “presenza/assenza” del Titano si manifesta scenicamente nell’unica
forma, a nostro parere, che possa avvicinarsi alla rappresentazione del divino
secondo la cultura occidentale. Raffaele Di Florio.
29 e 30 aprile, "Sette Minuti" liberamente ispirato al romanzo UOMINI Sotto
Il Sole di Gassan Kanafani, prodotto da Osservatorio Palestina, adattamento e
regia di Luisa Guarro, con Rosario Giglio, Luca Gallone, Ettore Nigro, Ivano
Russo, Omar Suleiman, disegno luci Paco Summonte
Il racconto di Gassan
Kanafani “Uomini sotto il sole” termina con una domanda aperta, che qui non
riveliamo. Anche altri racconti di kanafani lasciano in sospeso domande simili e
tutte sembrano simboleggiarne una: perché il popolo palestinese, semplice popolo
di pastori e pescatori, non ha reagito adeguatamente contro la soverchiante
potenza militare israeliana e la disfatta totale? perché il piccolo e inerme
popolo non ha battuto il gigante nemico?
Le risposte possibili, suggerite da
episodi apparentemente distanti, sono chiare e semplici e rivelano
“l’irragionevolezza” di quelle domande: la reazione del popolo palestinese, dove
c’è stata, è stata vana e inadeguata per l’eccessiva disparità delle forze
contrapposte.
Eppure kanafani lascia che i suoi personaggi gridino quelle
domande a voce alta e disperata, come a voler lasciare che la rabbia e la forza
dell’irrazionale accusa ai padri (non aver battuto il nemico, essere
sopravvissuti al sopruso) diventi forza attiva nei figli, perché nessuno di essi
si faccia nuovamente sorprendere debole e inerme dalle avversità e dal nemico
pronto ad inferire la morte.
Così il poetico e umano Gassan Kanafani rivela
il suo spirito di promotore della resistenza palestinese anche nei suoi
racconti, mostrandosi tanto più incisivo e pericoloso quanto più poetico e
umano. Fu ucciso dal Mossad nel 1972 a soli 36 anni.
Gli “Uomini sotto il
sole” di Gassan Kanafani sono, dunque, Abu Qais, Asad e Marwàn, i protagonisti
del suo racconto, che da Bassora tentano di arrivare in Kuwait clandestinamente.
Ma “Uomini sotto il sole” sono anche gli uomini in quanto tali, abitanti della
terra su cui picchia il sole, ad essi sembra rivolto un monito universale: che
nessun sia debole e inerme di fronte al pericolo, di fronte alla morte!
E
ancora “Uomini sotto il sole” sono tutti gli uomini disperati che, sotto il
sole, alla sua luce, ovvero al cospetto della consapevolezza e della
responsabilità di tutti, affrontano la morte per non morire.
Dal magnifico
racconto di Gassan Kanafani nasce uno spettacolo nel quale lo sguardo rivolto
all’uomo non si complica con analisi sofisticate, tutta la riflessione è
rimandata all’osservatore, spettatore di una vicenda narrata e agita senza
anteporre commento. Posto di fronte a scelte estreme ed obbligate, in condizioni
nelle quali la morte è questione di un tempo breve, sette minuti, l’uomo è nudo
e semplicemente uomo: ha sete, ha fame, di cibo e di aria, ha speranza e paura e
la sua fragilità è quella di ciascuno. Luisa Guarro
8 maggio,
"Labirinto" spettacolo vincitore dell’edizione 2013 de “I Teatri Del Sacro” con
Gaetano Coccia, Francesco O. De Santis, Antonella Parrella disegno luci Davide
Scognamiglio, disegni di scena Caroline Peyron e Simonetta Capecchi, messa in
scena Teatri 35, produzione Teatri 35 – coproduzione Federgat
Nello
spettacolo “Labirinto” la compagnia realizza dal vivo opere di pittori celebri
raffiguranti icone sacre, proponendo così un “Cammino”. Adoperando una traccia
musicale come partitura, il corpo degli attori è strumento e con una metodologia
rigorosa il lavoro si costruisce “montando” le tele sulla musica, mirando ad una
sempre crescente sincronia tra gesto e musica e all’aderenza iconografica. Le
tele tridimensionali, costruite sotto gli occhi degli spettatori, si
immobilizzano completamente, restituendo l’emozione del dipinto, per poi
smontarsi e comporsi nel quadro successivo. Il gesto e la parola prendono corpo
all’interno di un tessuto musicale che accompagnerà l’intero spettacolo.
In
un crescendo emotivo il lavoro Labirinto vuole portare lo spettatore a
partecipare a quel Cammino interiore suggerito dalle Opere pittoriche scelte e
sottolineato dalla musica e dalla forza espressiva del volto e dei corpi degli
attori.
Il desiderio di trovare, la curiosità di percorrere una strada, è
insito in ogni viaggio; ma il Cammino è un viaggio particolare in cui ci si
mette alla ricerca di tutto ciò che è fuori, partendo dal sé.
Come
nell’esperienza del Labirinto, che nella simbologia cristiana rappresenta l’iter
sacro, il Camminante si trova in una dimensione difficile e faticosa ma definita
e con un centro al quale tendere. Il suo incedere, segnato da errori e dubbi, lo
porta a ricercare e conquistare quel centro che lui sa esistere e che nelle
spire del labirinto sembra a volte essere vicino e prossimo al raggiungimento
per poi scomparire dietro un’altra piega. Il pellegrinaggio è una visione del
mondo, è una dimensione di vita che ha attraversato e attraversa le generazioni.
È connaturato all’uomo perché fa parte dell’essere uomo mettersi in cammino per
trovare, verificare, toccare l’Infinito.
Il Labirinto è la fortezza, è il
cammino della virtù in fuga dal vizio. Le sue spirali rappresentano la via che
simbolicamente porta dal regno visibile dell’umano alla dimensione invisibile
del divino. Il labirinto è il cerchio e la linea, il semplice ed il complesso, è
la storia ed il transitorio. Trovandosi al suo interno tutto appare confuso e
limitato ma guardato dall’alto ogni cosa si rischiara e prevale l’ordine e
l’armonia. Al suo centro conduce la croce, simbolo della morte e della
resurrezione di Cristo, luogo in cui avviene lo scontro tra le due nature
dell’uomo, quella divina e quella bestiale. L’elemento femminile, la Purissima,
in un continuo tessere e filare, è la guida che unisce con il filo della purezza
questo mondo e l’altro mondo e tutti gli esseri: è con il filo donato da Arianna
che Teseo, dopo aver ucciso il Minotauro, riuscì a trovare la strada per tornare
in dietro. È la Purissima, la madre di tutte le madri, che sceglie le anime da
salvare.
Tableaux rappresentati
Primo tableau vivant – Quadro di riferimento
Compianto sul Cristo Morto
(1604-1670) – particolare – Andrea Vaccaro
Olio su tela Museo Diocesano,
Napoli
Secondo tableau vivant – Quadro di riferimento
Gesù nell’orto
(1730) – Sebastiano Ricci
Olio su tela 76×95 cm Kunsthistorisches Museum,
Vienna
Terzo tableau vivant – Quadro di riferimento
Il bacio di Giuda
(1602) – Michelangelo Merisi Da Caravaggio
Olio su tela 133,5×169,5 cm Museo
di Arte Occidentale e Orientale, Odessa
Quarto tableau vivant – Quadri di
riferimento
Negazione di Pietro (1610) – Michelangelo Merisi Da Caravaggio
Olio su tela 94×1125,5 cm Metropolitan Museum of Art, New York
Resurrezione
di Lazzaro (1609) – particolare – Michelangelo Merisi Da Caravaggio
Olio su
tela Museo Regionale, Messina
Quinto tableau vivant – Quadro di riferimento
Cristo alla colonna (1625 ca) – Battistello Caracciolo
Olio su tela 183×129
cm Museo di Capodimonte, Napoli
Sesto tableau vivant – Quadro di riferimento
Incoronazione di spine (1603) – Michelangelo Merisi Da Caravaggio
Olio su
tela 127×165 cm Kunsthistorisches Museum, Vienna
Settimo tableau vivant –
Quadri di riferimento
Crocifissione (1426) – Masaccio
Tavola 83×63 cm
Museo di Capodimonte, Napoli
Cristo crocifisso (1631) – Diego Velasquez
Olio su tela 248×169 cm Museo del Prado, Madrid
Ottavo tableau vivant –
Quadro di riferimento
Compianto sul Cristo Morto (1604-1670) – Andrea Vaccaro
Olio su tela Museo Diocesano, Napoli
Nono tableau vivant – Quadro di
riferimento
Resurrezione (1450-1463) – Piero Della Francesca
Affresco
225×200 cm Museo Civico, San Sepolcro
Decimo Tableau Vivant – Quadro di
riferimento
Cristo al Limbo (1516) – Sebastiano Del Piombo
Olio su tela
226×114 cm Museo del Prado, Madrid
Undicesimo Tableau Vivant – Quadro di
riferimento
Noli me tangere (1835) – Alexander Ivanov
Olio su Tela Russian
Museum, San Pietroburgo
Dodicesimo Tableau Vivant – Quadro di riferimento
Incredulità di San Tommaso (1600-1601) – Michelangelo Merisi Da Caravaggio
Olio su tela 107×146 cm Bildergalerie, Potsdam
Tredicesimo Tableau Vivant –
Quadri di riferimento
Cena di Emmaus (1601-1602) – particolare – Michelangelo
Merisi Da Caravaggio
Olio su tela National Gallery, Londra
Cena di Emmaus
(1606) – particolare – Michelangelo Merisi Da Caravaggio
Olio su tela
Pinacoteca, Brera
Quattordicesimo Tableau Vivant – Quadro di riferimento
Morte della Vergine (1614) – Alessandro Tiarini
Olio su tela
Quindicesimo
Tableau Vivant
Quadro di riferimento
Madonna dei pellegrini (1604-1606) –
Michelangelo Merisi Da Caravaggio
Olio su tela 260×150 cm Basilica di
Sant’Agostino in Campo Marzio, Roma
sabato 28 e domenica 29
maggio, Hotel Royal Caserta, Teatro Civico 14 e Nts' Nuovo Teatro
Sanità, “Do Not Disturb” scritto da Claudio Finelli e Mario Gelardi (nostro
articolo)
con Ilaria Delli Paoli, Roberto Solofria, Antimo
Navarra, Carlo Caracciolo, Riccardo Ciccarelli, Irene Grasso, Carlo Geltrude,
Gennaro Maresca, Simone Fiorillo
regia Mario Gelardi e Roberto Solofria
Biglietto Unico: € 15,00
Prenotazione OBBLIGATORIA
::: repliche ore 18:00
e ore 20:00 :::
Dopo essere stato ospite in numerosi festival e dopo il
successo dell’edizione settembrina, torna al Royal Hotel di Caserta “Do not
disturb” con tre nuove storie. Una coppia che deve rivitalizzare una relazione
ormai assopita, un giovane politico e la sua storia clandestina e un uomo che
finalmente vuole liberarsi della sua più grande ossessione. Le storie avvengono
in tempo reale, creando un vero e proprio gioco vuaglieristico. Gli attori e gli
spettatori devono reggere il limite tra realtà oggettiva e finzione, reso ormai
impercettibile, devono essere disposti a lasciarsi attraversare dal vibrare
sottile di questa difficile demarcazione. Il format è creato da Mario Gelardi,
scritto con Claudio Finelli.
altri eventi
30 Ottobre, ore 21, La Pietra e l’arco, uno spettacolo
evocativo in cui la parola incontra la musica per raccontare Le Città invisibili
Enzo Salomone (Kublai Khan) Paolo Cresta (Marco Polo) voci
Ciro Longobardi
pianoforte digitale ed elettronica
Musiche a cura di Ciro Longobardi
Drammaturgia di Enzo Salomone
Ingresso gratuito
Dissonanzen, in
collaborazione con Progetto Sonora, presenta La Pietra e L’Arco, liberamente
tratto da Le Città invisibili di Italo Calvino, una lettura drammatizzata in cui
Enzo Salomone dà voce a Kublai Khan e Paolo Cresta a Marco Polo, accompagnati al
pianoforte digitale ed elettronica da Ciro Longobardi.
Sfruttando la cornice
dialogica e narrativa di Calvino, Salomone riduce Le Città invisibili in una
drammatizzazione agile e teatrale. La capacità evocativa della parola calviniana
sarà sottolineata dalle musiche originali, che si ritaglieranno anche momenti
autonomi per sottolineare le differenti sezioni in cui si articolerà il dialogo,
onirico e estremamente poetico, tra Marco Polo e Kublai Khan.
Lo spettacolo,
ad ingresso gratuito, si inserisce nel Progetto “Campania: dal Barocco al
Contemporaneo” organizzato dall’Associazione Dissonanzen.
Domenica 10 aprile alle 18.30 e alle 20.30, Caserta Film Lab e
Teatro Civico 14 presentano: ‘Alfredo Bini, ospite inatteso’
il documentario
di Simone Isola vincitore del Nastro d’Argento per il miglior documentario sul
Cinema.
Storia e opere dell’uomo che scoprì il Pasolini regista (e non solo)
Nella lunga scia di omaggi e riflessioni del quarantesimo anniversario della
morte di Pier Paolo Pasolini, si presenta come una visione piuttosto imperdibile
Alfredo Bini, ospite inatteso, il documentario di Simone Isola applaudito
all’ultimo Festival di Venezia e recente vincitore del Nastro d’Argento 2016 per
il Miglior documentario sul Cinema. Alfredo Bini, ospite inatteso racconta
l’avventura umana e professionale di un produttore mitico del nostro cinema:
quel Bini che scoprì e lanciò il Pasolini regista, dall’esordio folgorante di
Accattone nel 1960 per tutti i film fino all’Edipo re del ’67; l’uomo che aveva
esordito ‘col botto’ con Il bell’Antonio, e che credette nel talento – oltre che
nello scandalo - di uno dei nostri più grandi registi, e di altri importanti
autori; che negli anni ’70 virò verso un cinema ‘erotico ed esotico’ mentre
lavorava con autori del calibro di Bresson e Chabrol; che dopo una stagione di
successi, processi, lotte contro la censura, pagine di grande cinema (e di
rotocalchi scandalistici) nell’ultima parte della sua parabola si ritrovò ad
eclissarsi, senza lavoro, senza più casa, e senza chiedere aiuto al mondo del
cinema. Fino a chiedere ospitalità per pochi giorni alla porta di un albergo.
Dove sarebbe rimasto 10 anni. In un finale di solitudine, ma anche
misteriosamente magico, che è il punto di partenza di questo documentario. Un
racconto che rivive nelle testimonianza di amici e ‘collaboratori’ come Bernardo
Bertolucci, Claudia Cardinale, Ugo Gregoretti, Piero Tosi, Giuliano Montaldo e
altri ancora, e attraverso immagini di repertorio, film, foto e memorie
autobiografiche ‘rilette’ da Valerio Mastandrea, regalando il ritratto di un
uomo affascinante, scomodo, coraggioso; e una storia inaspettata e trascinante
di una stagione irripetibile del nostro cinema.
Sciapò
Lo scopo della rassegna è fare in modo che compagnie che meritano una
visibilità, ma che non sono nei circuiti ufficiali, possano avere una rete, e
ridare al pubblico un ruolo centrale, riportando a teatro i meccanismi della
Commedia dell’Arte, per scegliere se e quanto pagare per uno spettacolo.
Fare
cappello, infatti, significa non pagare prima, ma dopo, e solo in base al
gradimento dello spettacolo proposto.
Per la nuova stagione, oltre al Nostos
Teatro di Aversa, Sciapò sarà qui al Teatro Civico 14 con 3 spettacoli:
22 gennaio, "Come una bestia!" testo liberamente tratto da “Sei
una bestia, Viskovitz!” Di Alessandro Boffa
con Antonio Perna, regia Orazio
de Rosa, scene e costumi Francesco Rivista, una produzione Baracca dei Buffoni
Uno scarafaggio arrampicatore sociale, uno scorpione killer, una spugna che
vuole smettere di bere, un pappagallo che parla d’amore … Viskovitz è ognuna di
queste bestie e molte altre ancora, alle prese con le loro bizzarrie, nevrosi,
vanità. Ma è la condizione umana, in tutta la sua dignità e scostumatezza, a
essere rappresentata attraverso queste esilaranti metamorfosi. Come una bestia!
è un tour de force di comicità e intelligenza, dove il gergo scientifico diventa
invenzione linguistica, la battuta aforisma. Attacchi folgoranti danno vita a
intrecci pieni di sorprese, che spaziano dalla gag comica al western,
dall’assurdo al blues. Sono favole ironiche che illuminano un mondo in cui si
fatica a essere animali e si finisce per diventare bestie.
19
febbraio, "A una signorina a Parigi" Con Emilio Barone
Scene
Domenico Latronico, ambientazioni sonore Alessandra Chieli e Carlo Sperduti,
regia Alessandra Chieli e Massimiliano Ferrari, realizzato con il sostegno di
Fanfulla Teatro – Roma/ Rialto Sant’Ambrogio – Roma/Teatri Sospesi – Salerno,
una produzione compagnia Barone Chieli Ferrari
“A una signorina a Parigi”
nasce da un lungo studio dell’opera di Julio Cortázar che la Compagnia ha
iniziato nel 2011 con la messa in scena del primo lavoro “La salute degli
infermi” e dall’esplorazione dei territori del fantastico e del perturbante. Il
fantastico non è inteso come evasione, ma come mezzo per indagare la realtà a
distanza. In “A una signorina a Parigi” il fantastico entra nella realtà senza
sovvertirne le regole, senza prendere il posto delle strutture ordinarie della
vita, ma proprio per questo ne interroga il senso. Qual è il confine tra amare
un’abitudine e soccombervi?
Ciò che vediamo è un uomo chiuso in una stanza
che registra dei messaggi da inviare a una misteriosa signorina a Parigi. Cerca
di confessarle la sua strana sindrome: da un momento all’altro si è messo a
vomitare coniglietti. Fuori dalla stanza c’è il mondo, l’inesorabilità della
vita, l’Altro. Dentro la stanza ci sono un uomo e i suoi coniglietti. È un uomo
libero? La libertà è la perdita del controllo? La creazione è dannazione? “A
una signorina a Parigi” ci ha portato altrove, è un viaggio nei territori
dell’inconscio come del conscio, è un invito a guardare il mondo da un’altra
prospettiva, l’ineffabile seduzione per “l’altro lato delle cose”.
“Lettera a
una signorina a Parigi” è una confessione. Nella messa in scena il pubblico
entra in una sfera privata, fatta di parole sussurrate e luci soffuse. Il
pubblico spia il processo di registrazione di un messaggio audio con un vecchio
mangiacassette, continuamente interrotto da esitazioni, da improvvisi slanci di
entusiasmo, dalla ricerca delle giuste parole, da momenti di sconforto; la
destinataria del messaggio è una signorina a Parigi. I suoni e le musiche si
intrecciano al discorso per creare una fitta partitura che conduce il pubblico
in una narrazione intima, inquietante e ironicamente spiazzante.
11
marzo, Batman Blues, Season Two de Il Nano Egidio
Compagnia Il
Misterioso Collettivo del Nano Egidio, da un’idea di Marco Ceccotti e Simona
Oppedisano. Drammaturgia: Marco Ceccotti
Attori e Burattinai: Marco Ceccotti,
Simona Oppedisano, Francesco Picciotti
Pupazzi: Francesco Picciotti
Scenografia: Gianni Ceccotti e Francesco Picciotti
Costumi: Marina Oppedisano
e Giuliana Salvatori
Grafica: Federica Ceccotti
Fotografie: Elena Consoli
Uno spettacolo comico con attori, pupazzi, giocattoli e nani da giardino.
Nella grande città grande, la criminalità è ad altissimi livelli: violenza,
rapine, politici corrotti che fanno il brutto e il pessimo tempo, lavori in
corso finti e il ritorno delle famigerate e misteriose scritte “Dio c’è”. Come
se non bastasse uno spietato killer uccide il tenero medico legale Cookie, il
beffardo gioco del destino beffardo vuole che esattamente 2 anni, 2 mesi e 15
giorni prima, veniva uccisa Elisabetta The, l’unico e vero amore dell’ispettore
Batman.
Il tenebroso detective, per indagare dovrà combattere contro la veste
dei fantasmi del passato, quella che cadendo lascia il quadro immacolato, al suo
fianco ci sarà il suo migliore amico Nano Egidio e tutta l’allegra combriccola
composta da Dotto, Assistente Gerardo e la sperimentale Dottoressa Nuda.
Consulta anche: Progetto DOCampania: Proiezioni, incontri e workshop di cinema documentario
Teatro Civico 14, Vicolo F. della Ratta (via Vico), Caserta
+39
0823.441399, email: info(at)teatrocivico14.it