Roberto Solofria e Sergio Del Prete

  

Al Teatro Civico 14: Chiromantica Ode Telefonica Agli Abbandonati Amori

Caserta – 19 marzo 2016

Articolo di Marilena Lucente

C’è rabbia, amore e passione in questa città che sembra un carcere e obbliga tutti a vivere in una gabbia. C’è rabbia, amore e mai un poco di compassione in questa Napoli violenta e crudele raccontata nella Chiromantica. Ode telefonica agli abbandonati amori di e con Sergio del Prete e Roberto Solofria, in scena al teatro Civico dal 19 al 20 marzo. Si vede tutta Napoli, dalla gabbia in cui i due attori abitano, entrano, escono, ridono, piangono, vivono e pretendono la vita. Perché Napoli può tutto, tranne che strapparti il cuore. Anche se riesce a farlo a pezzi. In Chiromantica si raccontano molte storie, di quelle che sbranano l’anima e ti obbligano al corpo a corpo con il dolore. E il corpo, i corpi, sono i protagonisti principali dello spettacolo, quelli dei due attori, vestiti e svestiti di parole, insieme ai volti truccati, appena, quel tanto che basta per trasformarsi e diventare dieci, venti, forse di più, donne e uomini che mentre aspettano - perché l’amore questo è, saper aspettare come nessuno ha mai aspettato - si trasformano, cambiano nome, forma, identità. Corpi che passano da una telefonata al silenzio, da una tenerezza all’orrore, saltano il baratro, sfidano il destino, gli sputano in faccia, lo provocano con la voce che si fa ora suadente, ora piena di spavento come quella di un orco, lo seducono con i corpi che si fanno piccoli dentro le sbarre, si contorcono, diventano immensi, anche se sono solo ombre. E’ come assistere al racconto della solitudine, e a quella ancora peggiore di quando si sta in due. Sui loro corpi, sulla complementarietà dei loro corpi, i due attori, hanno cucito un testo fatto di molti testi, recuperando quelli degli autori più noti della drammaturgia partenopea degli anni Ottanta: Annibale Rucello, Enzo Moscato, Francesco Silvestri, Giuseppe Patroni Griffi. Loro erano stati capaci di rovesciare Napoli e di buttarla in scena così, con le sue oscenità, nuda, senza alcuna bellezza. Una vera e propria ribellione, a tutti gli stereotipi che sino ad allora avevano affondato la città. Molti anni dopo, Del Prete e Solofria riprendono quei pezzi, sembrano scritti ieri, altri sono lontanissimi, e ne fanno un unico mordace racconto che poi è viaggio dentro la crudeltà che ha la fame d’amore. Anche per amare bisogna ribellarsi, sbarazzarsi di tutti gli stereotipi. Complice narrativa una scenografia inquieta, inquietante, che irretisce e libera lo spettatore, con le luci che tagliano il buio e trasformano senza pace anche lo spazio, ora abitato dalla disperazione ora dall’ironia, sino alle soglie dell’allucinazione e della visionarietà. Tanta da far venir voglia di vederne ancora e ancora, di quelle storie che hanno dentro gli addii e sono piene di incontri.

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