Caserta, Auditorium Provinciale. Alle ore 21,30 di venerdì 4 giugno, nella
concitata ed elettrica atmosfera di debutto, il pubblico ha salutato
la prima delle tre serate del 1° Caserta Blues festival, patrocinato dall’Amministrazione
Provinciale e dall’Agenzia Giovani della Provincia. Onore e merito
vanno a Gianni Vescovo che è stato capace di organizzare la
manifestazione in due settimane. Forse ha pagato lo scotto della
prima esperienza, ma gli errori - se d’errori si può parlare -
sono giustificati, essendosi fatto carico di tutto, non solamente
della direzione artistica, ma anche di tutti gli aspetti
organizzativi, compresi quelli meno nobili come mettere la catena al
cancello dell’Auditorium Provinciale alla fine d’ogni serata.
Aprono il Festival gli Officina Blues,
gruppo emergente di Capua che si esibisce in due strumentali di
Robben Ford ed un brano inedito. Il combo, pur tecnicamente molto
preparato, poco aggiunge alle sue fonti d’ispirazione.
La prima band in cartellone è Angelo Feola
Blues Machine, terzetto acustico che mette in scena uno show in
ogni caso molto energetico. Angelo Feola si compiace - a ragione -
di suonare poco per dare maggiore sfogo alle sue doti di cantante,
non particolarmente scuro ma dotato di feeling. Quando, poi, mette
le mani sulla chitarra acustica, sfodera un fraseggio secco,
fantasioso e vitaminizzato da loops, creati sempre con la chitarra,
che arricchiscono di colore il sound generale. Giampaolo Feola,
fratello minore del leader, interpreta un batterismo preciso e
contenuto mentre Mino Berlano, con estremo relax, riesce ad essere
protagonista vero nell’inedita veste di contrabbassista.
Seconda esibizione ancora per un trio, Carmine
Migliore Blues Band. Carmine Migliore è un chitarrista
pirotecnico e virtuoso, testimonianza vivente dell’enorme eredità
che il blues ha lasciato a tutta la musica moderna. Insieme alla sua
band ha dato vita ad un live act molto tirato, esternando tutte le
sue qualità: presenza scenica non comune, iperboli vocali e
fraseggi assassini di chitarra. Interpretando anche brani di sua
composizione in italiano, è partito dal blues più ortodosso,
passando - senza soluzione di continuità - al rock’n’roll, al
funk ed al prog rock. Ha terminato, quindi, la sua esibizione con un
brano hard che ha lasciato tutta la platea impietrita.
L’ultimo spazio della serata è per Carpediem
Blues Connection. Qui mi fermo. Spetta, infatti, ad altri
commentarne la performance, giacché ne sono il bassista. Mi
limiterò a chiudere i resoconti dal Festival, stigmatizzando che
una manifestazione del genere debba essere organizzata da un
musicista.
Dare spazi al blues prodotto in città e provincia non è
la specialità di chi spende diverse centinaia di migliaia d’euro
per organizzare “eventi”. Non ritenevo così complicato proporre
opening act con artisti locali nei concerti di Joe Cocker o Bill
Wyman’s Rhythm Kings, per citare solo due star transitate da
Caserta e vicine, per stile musicale, al blues. Sembra, invece,
paradossale che i musicisti locali ricevano offerte di questo tipo
in altre città della penisola, ottenendo solo “riserve di
sussistenza” nei luoghi d’origine. Aspetto di essere smentito
nel confermare il turpe luogo comune secondo cui per crescere e
confrontarsi anche come artisti bisogna emigrare altrove.
Forse il
bello del blues è proprio questo, vagolare nel sottosuolo e
riemergere, ogni tanto, per dimostrare la sua prorompente forza
magnetica. Tuttavia non è concesso a nessuno nascondersi dietro un’ipotesi
oleografica che rischia di diventare anch’essa un luogo comune. |
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