Questo articolo è in due parti: [prima parte]
- [seconda parte]
Seconda parte
Alla fine degli anni '40 noi, figliuoli più grandi, conquistammo il privilegio di "fare" il Presepe, strappandolo a nostro padre che fece un timido tentativo di resistenza anche se, in effetti, non vedeva l'ora di cedercelo.
Festeggiammo l'evento non solo costruendo finalmente il "nostro" Presepe, ma anche facendo sparire dal tavolo, per tutto il periodo natalizio, cartelle e cartellone della tombola non appena le due sorelline più piccole andavano a dormire. Così noi tre fratelli e la sorella Imma, che era più maschiaccio di noi dovendo sopravvivere tra tre maschi, facevamo le ore tarde -quelle "piccole" non ci erano consentite- per accanite e variamente discusse partite a
"stoppa" ed a "sette e mezzo", nonostante che le "puntate" fossero da noi tenute rigorosamente basse. Spero che chi legge queste note conosca la "stoppa" e il "sette e mezzo", perché mi riuscirebbe difficile spiegarne le regole in questa sede. A chi proprio non conosce questi giuochi, posso solo dire che entrambi questi giuochi, pur molto differenti tra loro, sono … un poker napoletano.
Per il nostro primo Presepe ci industriammo a costruirne i pastori, tranne la Sacra Famiglia, con tutti i materiali possibili, purché non ci costassero neppure poche
A.M.Lire (le "A.M.Lire" erano le monete cartacee che l'Amministrazione Militare americana aveva stampato nel nostro paese dopo la "liberazione"). Modellammo la cera che il nostro parroco,
mons.Vitaliano Rossetti , ci consentì di grattare dai candelieri sporchi di cera; intagliammo blocchetti di gesso formati con quel poco di polvere rimasta attaccata ai sacchetti gettati da Luigi detto
"Cardalana", buon pittore di appartamenti quando
riusciva a stare lontano da un bicchiere di vino. Anche un poco di cemento servì per avere uno strano pescatore: doveva essere posizionato sul Presepe in modo da essere visto solo di fronte perché la sua parte posteriore, su cui era stato tenuto ad essiccare, era …piatta! Ma io -che l'avevo costruito e dipinto e, quasi ogni anno amorevolmente restaurato, perché il cemento non "manteneva"- ero particolarmente affezionato a quel pescatore tanto da fargli fare ancora la sua bella figura nel primo Presepe che feci allorché mi sposai.
Così quel nostro primo Presepe ebbe pastori che, nei loro confronti, l'Armata Brancaleone appariva formata dai baldi
Cavalieri della Tavola rotonda. Ed una sola lampadina riuscì, con uno studio irripetibile di alta ingegneria ed un uso di fondali di carta velina di tre colori differenti, ad illuminare contemporaneamente la santa Grotta, quella di Benino e quella dell'osteria e, con un fiotto di luce che usciva da una fenditura sapientemente ricavata nella "montagna", finanche le rovine della reggia del perfido Erode. Io, considerato l'artista della famiglia, dipinsi il fondale in modo da armonizzarlo all'andamento delle rocce e delle grotte e far sembrare il Presepe più profondo e più largo.
E da allora il nostro Presepe fu annoverato tra quelli che doveva essere "visitato" dagli amici e dai conoscenti, con un rito che riprendeva, in piccolo, molto piccolo, per carità, l'usanza napoletana del Settecento che vedeva il Viceré, prima, ed il Re, dopo, andare a visitare i Presepi dei nobili napoletani, che impegnavano tempo e denaro per allestirli al meglio.
Ma noi questo l'avremmo saputo molto più tardi.
Da allora, ogni anno, anche per tener fede alla piccola fama che ci eravamo conquistati, ci preoccupavamo di migliorarci nelle invenzioni sceniche e di migliorare soprattutto i pastori. Dopo aver aggiustato braccia, gambe e teste dei pastori che avevamo trovato rotti quando li avevamo tirati fuori dal ripostiglio, provvedevamo a sostituire, pochi per volta, quelli non restaurabili con quelli di terracotta, a seconda delle nostre possibilità e dei risultati delle … ricerche di mercato e del passaparola. Se venivamo a sapere che a
Casagiove per 10 lire potevamo comprare tre pastori, mentre in via Tanucci ne riuscivamo a comprare due, andavamo appena possibile a
Casagiove, a piedi, a fare la spesa compatibile con le nostre magre risorse.
Naturalmente eravamo così legati al nostro tradizionalissimo Presepio che l'idea di piegarci alla nuova moda di festeggiare il Natale con un
abete addobbato a festa non ci sfiorava neppure: "San Francesco ce lo diede, guai a chi ce lo tocca" fu il nostro motto in quegli anni 50.
Lorenzo Di Donato, 31
Dicembre 2000
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