Questo articolo è in due parti: [prima parte]
- [seconda parte]
Prima parte
Papà aveva tante grosse virtù umane (ad esempio: non c'era Natale o Pasqua che non avessimo come ospite, a tavola, qualcuno che chiedeva l'elemosina nelle
vicine chiese di sant'Anna o di san Vitaliano, perché, diceva, così avevamo con noi i nostri nonni, ormai nei Cieli), ma era del tutto negato per qualunque lavoretto di piccola manutenzione domestica. Se doveva riparare una sedia, la finiva con la scure; se doveva sostituire una lampadina, ne "fulminava" altre due; se doveva fare il Presepe, dopo un poco questo, non so perché, prendeva fuoco (per illuminarlo usava, come tanti, una grossa candela posta tra gli "alberi", rami di lucine dell'antistante piazza Ospedale) o crollava malamente perché tutto era in equilibrio instabile.
Comunque, per noi bambini, il Natale era una grossa festa: non gravati da impegni scolastici -allora la scuola era tenuta in gran conto- gli zampognari, le tombolate, qualche mano a "sette e mezzo"con pochi centesimi di "posta", frutta secca ma non troppo (erano tempi di austerità, quelli della guerra '39-'45), qualcosa di più a tavola a Natale pur nella difficoltà degli scarsi approvvigionamento tramite le tessere annonarie ed al di là di
esse.
Per chi non lo sapesse, le "tessere annonarie" erano delle schede strettamente personali contenenti un certo numero di "bollini" prestampati. Ogni tessera era valida per un determinato gruppo di generi alimentari, ogni bollino aveva un determinato valore, che era fissato di volta in volta
dall'Annona, secondo quanto arrivava nei suoi magazzini e veniva distribuito presso i singoli commercianti a cui tu eri iscritto. Insomma una via di mezzo tra i bollini-premio oggi in uso, ma all'incontrario, e il medico di famiglia. Quando circolava la voce che il n° 30 della tessera rosa valeva 100 grammi di zucchero, ad esempio, correvi dal tuo salumiere, stringendo tra le mani la tessera, a fare la fila per ricevere quanto ti spettava, con la speranza che lo zucchero non finisse prima del tuo turno. A volte anche questo capitava! Se ti andava bene, il salumiere ( qualcuno detto " 'o stagnariello") tagliava con una forbici il bollino 30 della tessera rosa e ti consegnava, dietro pagamento del dovuto, i 100 grammi di zucchero che ti spettavano. E vi assicuro che nessuno faceva perdere un solo granellino di zucchero: nessuno poteva sapere se e quando ci sarebbe stata un'altra distribuzione di zucchero. E c'era anche chi si toglieva dalla bocca anche quei pochi grammi di zucchero per venderli di contrabbando, se altre necessità da soddisfare urgevano.
Ma noi piccoli capivamo la fame, non la "tessera", e quindi mangiavamo tutto ciò che fosse commestibile, senza guardare in faccia niente e nessuno. Solo più tardi la nostra memoria ci ha restituito i grandi sacrifici della mamma, che riservava per se solo le briciole di pane che erano rimaste nel piatto dove lei tagliava le nostre scarse fette di pane (nei periodi di magra, 100 g a testa giornalieri).
Con l'arrivo degli americani non è che le cose cambiassero molto, ma con la "polvere di piselli"-di provenienza incerta e varia : alle volte comperata da qualche piccolo contrabbandiere, altre ricevuta dalla nostra caritatevole "zia suora" previo assenso della "Superiora"- mia madre faceva di tutto: una polentina disgustosa, gli gnocchi se mescolata con incolpevoli patate, pizzette maleodoranti, frittelle varie. Finanche i tagliolini, se riusciva ad avere un poco di farina che facesse da collante e ne mitigasse il sapore. L'odore di quella polvere verde ce l'ho ancora nelle narici, ma la fame era tacitata.
E il Natale del 1946 fu il trionfo della "polvere di pisello": con essa mia madre non fece solo il cappone, ma ci satollammo ben bene!
Poi le cose migliorarono, anche se lentamente. E noi, ormai giovincelli, sottraemmo a nostro padre il "privilegio" di fare il Presepe, senza alcuna sua opposizione, naturalmente.
Ma questa è un'altra storia.
Nella foto in alto: la mia
famiglia nel 1947. Al centro i miei genitori, mentre io sono il terzo da
sinistra.
Lorenzo Di Donato, 25 Dicembre
2000
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