"La belle joyeuse" al Teatro Civico 14
Caserta – 16 Marzo 2014
Articolo di Benedetta De Rosa
Lo scorso fine settimana, sabato 15 e domenica 16, il Teatro Civico 14 in vicolo della Ratta, Caserta, ci ha regalato un piccolo tassello di storia con lo spettacolo “La belle joyeuse”, di Gianfranco Fiore, con Anna Bonaiuto nei panni di Cristina Trivulzio, principessa di Belgiojoso. Un personaggio sconosciuto ai più, sottovalutata dai libri di scuola, come ha accennato, introducendo lo spettacolo, la stessa Anna Bonaiuto, prima del suo monologo, di circa un'ora, in cui ha condensato quarant'anni di storia d'Italia, narrata dal punto di vista di chi, più di tanti, aveva investito tempo, denaro, energia, anima, senza aver ricevuto un solo riconoscimento, anzi, per lo più calunnie.
Davvero impossibile non rimanere incantati dalla storia di Cristina: nata nel 1808 dai marchesi Gerolamo Trivulzio e Vittoria Gheraldini, orfana di padre a quattro anni, malata di epilessia, gracile, per i medici destinata a non aver figli e a morire presto, nel 1824 sposa, a soli 16 anni il libertino Emilio Barbiano di Belgiojoso e si separa da lui a 20 anni, ricostruendo da zero, in piena autonomia, la sua vita. È da questo punto in poi che incomincia lo spettacolo: l'esilio in Francia perché troppo vicina ai movimenti di liberazione milanesi, la frequentazione dei circoli di intellettuali, musicisti francesi ed esuli italiani; la nascita della sua unica figlia, Maria; il ritorno in Italia e la partecipazione ai movimenti rivoluzionari del '48 e '49; l'istituzione di un servizio infermieristico a Roma, durante le giornate della Repubblica Romana, dove prestò cure, durante l'assedio, anche al morente Goffredo Mameli; di nuovo lontano dall'Italia, in Turchia; tornare, definitivamente nella sua amata Italia, nel 1857, per seguire la formazione del Parlamento Italiano; e morire, il 5 Luglio 1871.
Anna Bonaiuto, ritorna nei panni della nobildonna milanese dopo l'interpretazione di questa nel film del 2010, sul Risorgimento Italiano, “Noi credevamo” di Mario Martone, conducendo lo spettatore a fare luce nei meandri più oscuri dell'animo di questa donna, tanto sfortunata quanto combattente, inquieta ma mai arresa di fronte alle numerose sfide che la vita le ha destinato.
La scenografia è essenziale: un leggio e due poltrone, così come i costumi, la Bonaiuto è in nero, l'unico elemento di colore è un grande scialle ocra dietro cui nascondersi ed essere ragazza, sposa, amante, patriota, madre. Si rimane affascinati, è indubbio, dalle grandi capacità attoriali dell'attrice friulana ma di origini napoletane, conosciuta al pubblico per ruoli sul grande schermo che, probabilmente, non l'hanno fatta brillare di quella luce che, nel suo elemento naturale, il teatro, emerge ed incanta.
Per chi ha avuto la fortuna di assistere agli spettacoli, la principessa di Belgiojoso rimarrà un esempio da seguire, dovrebbe essere una figura da studiare obbligatoriamente, nelle scuole e non solo, un' intellettuale a tutto tondo, una proto femminista, che rivendicava la propria libertà, benedicendo quasi quel marito fedifrago che, con la separazione, le ha dato la possibilità di vivere differentemente dalle sue coetanee.
Una figura piena di contraddizioni: dalla parte del popolo pur provenendo dall' élite lombarda, “la prima donna d'Italia”, definita così da Cattaneo, troppo avanti per il suo tempo, per essere compresa all'epoca. Si spera che lo sia ora, in questi tempi, definiti “bui” per la condizione femminile dal bombardamento mediatico, perché anche grazie a figure simili si acquisti più consapevolezza delle proprie possibilità, non solo di donna, ma di persona: essere pensante e agente a prescindere dal proprio genere. Cristina Trivulzio di Belgiojoso ci lascia con queste parole: “non temo la morte, bensì l'oblio”, che potrebbero essere interpretate anche, e forse soprattutto, come un invito a vivere appieno, senza paure, purché si lasci un segno positivo del proprio passaggio.