"Schifosi" al Teatro Civico 14
Caserta – 9 Marzo 2014
Articolo di Rossella Barsali
“La rivendicazione di potere indica un desiderio di sottomissione” - cit. Schifosi
Se “Schifosi” fosse andato in scena al Civico 14 nel mese di gennaio oppure
ad ottobre, molte delle perle – tra cui la citazione d’incipit - sgranate dal
collier di atrocità del buon Wallace - sarebbero cadute nel vuoto sgomento.
Invece questo è il weekend dell’8 Marzo, adatto al Memento Mori e a spingere
l’Universo Donna verso quella riflessione supplementare su chi essa sia e,
soprattutto, su come appaia e venga considerata. Non dallo Sconosciuto di turno,
che potrebbe trattarla come una “cosa”, come il classico “buco”, eventualità
detestabile ma non sorprendente. Inorridisce invece l’uso improprio della parola
Amore nei casi in cui si sfocia nella Violenza perpetrata dai propri cari.
(“Cerco solo di dire che bisogna stare attenti ad assumere un atteggiamento
stereotipato sulla violenza ed abbrutimento, anche nel caso delle donne: che
hanno le donne di tanto speciale?” cit. Schifosi)
Lo “schifoso” ha molteplici volti, tutti confessati con foga e candore
all’interlocutore di turno, tutti sostenuti da una parvenza di logica
autocompiacente e ingannevole, che cerca assenso e complicità. Soprattutto,
tutti senza dignitoso pudore. Si lacerano di volta in volta i veli che celano le
segrete radici dei sentimenti, si distruggono le certezze, si valutano nuovi e
terribili approcci. Tutto ruota intorno alla Famiglia che, a sua volta, è
ruotata fino alla scomposizione definitiva, fino all’autocombustione. Ogni suo
membro diventa nella finzione teatrale un Capitolo, un segno d’Amore e di Odio.
Nella riduzione teatrale di Bottega Bombardini, diretto da un sapiente Rosario
Sparno, Luca Iervolino incarna con maestria i prototipi in scena.
Primo capitolo, la Madre, sovrastante e vista anche da altre angolazioni, fino
all’epilogo. Le sue paure, dalle più viscerali a quelle corali e il suo errore,
l’amorevolezza. Contestata dallo stesso Figlio, che soffre le mancate punizioni
alle quali anelava, dal Padre de-privato della Ragazza che aveva sposato appena
questa è divenuta Madre. L’amorevolezza alla quale la Madre non rinuncia neppure
nell’estremo saluto al figlio, confessando il suo odio, con Amore. Perché “la
Verità ti renderà libero, ma solo quando avrà finito con te”. Eccola emergere la
Verità, allora, nel secondo Capitolo, attraverso la lunga confessione del Padre
morente, incapace di lasciare la propria “vita confiscata” dal Figlio, che
detesta ed invita a detestare. Nel terzo Capitolo tutta la latente “merda
psichica” viene alla ribalta proprio col Figlio, che suggella la propria Libertà
di essere razionalmente schifoso, destrutturando volutamente il concetto di
violenza e di stupro, demolendo gli stereotipi, suggerendo una odiosa ipotesi di
rinascita fortificata dopo uno violenza che culmina in un epilogo muto. Solo i
suoni e le note - opportune ed esplicative - di Massimo Cordovani sottolineano
senza ulteriori parole un annuncio che è un epitaffio.
Intensi i cambi di scena ottenuti con le luci. Godibile il commento musicale dal
vivo e apprezzabile la scelta e l’esecuzione dei brani e dei rumori realizzati
al momento.