Teatro Civico 14 presenta: “Gli Ebrei sono matti”
Caserta, 16 Febbraio 2013
Articolo di Benedetta De Rosa
Il teatro come un baule, una “cassa del corredo”, di quelle che possedevano
le nostre nonne, un baule che non apri tutti i giorni come un cassetto
dell’armadio, ma "una tantum" con la precisa intenzione di riprenderti qualcosa
di particolarmente prezioso. Una volta aperto, però, si viene sommersi dai
ricordi e dalle emozioni per quello che vi è conservato, tanto da non ricordarti
neppure cosa stavi cercando inizialmente.
Lo spettacolo presentato lo scorso fine settimana, sabato 16 e domenica 17
febbraio, dal Teatro Civico 14, “Gli Ebrei sono matti”, lascia all’uscita
proprio questo senso di smarrimento, come quando non ricordi più perché mai
abbia aperto il baule; e contemporaneamente di appagamento, forse non troppo
convinto, per tutto ciò che il baule ti ha fatto riscoprire, nonostante tu non
ne avessi l’ intenzione.
Ci sono moltissimi spunti nella storia di Ferruccio (Angelo Tantillo), giovane
ebreo romano, che con il nome di Angelo, durante la seconda guerra mondiale
viene ospitato in una casa di cura per malattie mentali in Piemonte e sistemato
in stanza con Enrico (Dario Aggioli), un innocuo paziente presentato come
paranoico, da cui Ferruccio dovrà prendere spunto per sembrare matto a sua volta
e salvarsi.
Innanzi tutto la storia, come tutte le storie più assurde, è tratta da
avvenimenti realmente accaduti: numerose sono le vicende di “eroi silenziosi”
che durante la seconda guerra mondiale hanno messo a rischio la propria vita per
salvarne molte altre, e l’eroe in questione è il direttore della casa di cura
“Villa Turina Amione” Carlo Angela, padre del celeberrimo giornalista e
divulgatore scientifico Piero, il quale ospitò molti ebrei ed antifascisti nella
sua clinica torinese, rischiando la fucilazione in una rappresaglia.
Il secondo spunto è che lo spettacolo è dedicato alla memoria del dottor
Ferruccio Cori, psichiatra e insegnante di un seminario sul teatro delle
emozioni all’Università di Roma fino alla morte, nel 2008, costretto ad emigrare
negli Stati Uniti durante le persecuzioni nazifasciste, a cui Dario Aggioli ha
dato il nome al suo compagno di stanza, Ferruccio (Angelo per i degenti).
Sono loro, Enrico e Ferruccio, gli unici attori, presenti sul palco già
dall’arrivo del pubblico; la scenografia è essenziale: due sedie, sulle quali
gli attori da seduti accolgono il pubblico che arriva, e una valigia di pelle,
contenente delle maschere “terapeutiche” per Enrico, le quali sono state
realizzate in gioventù da Julie Taymor, regista statunitense di teatro e cinema,
gentilmente prestate alla compagnia Teatro Forsennato per questa
rappresentazione. Con le maschere e con il suo mondo fatto di rituali, come il
bacio sulla fronte dell’infermiera Luciana per cui ha un debole, e ricordi, come
i discorsi di Mussolini, Enrico trascorre le sue giornate confondendo ciò che è
reale e ciò che reale non è, spiazzando la razionalità di Ferruccio ed
esasperando la condizione già disperata di “clandestino” in cui vive
quest’ultimo, in un mondo che non è il suo e che non riesce ad emulare e
comprendere, ma solo compatire .
Il pubblico, la “folla” che Enrico vede nella sua stanza e Ferruccio non riesce
a scorgere, è coinvolto fisicamente ed emotivamente durante la rappresentazione,
durata meno di un’ora ma dal forte impatto anche grazie al finale, in cui si
cita, rendendole omaggio, “Roma città aperta” di Rossellini.
Il baule per questa volta si richiude, intanto noi abbiamo trovato quello per è
stato aperto e molto altro che credevamo smarrito o di cui non conoscevamo
l’esistenza.
Sceneggiatura e regia di Dario Aggioli, con Dario Aggioli e Angelo Tantillo;
Costumi e scene Arianna Pioppi, Medea Labate ;
Maschere realizzate in gioventù da Julie Taymor.
Premio Giovani Realtà del Teatro 2011 Premio Festival Anteprima 89 - edizione
2012 Menzione Speciale al Premio TUTTOTEATRO.COM alle arti sceniche “Dante
Cappelletti” 2010.