Teatro Civico 14: "Malammore"
Caserta – 12 Aprile 2012
Articolo di Clemente Tecchia
Crediamo che vivere in un mondo senza amore sia normale, accettabile: ci
guardiamo intorno ogni giorno e riteniamo che sia questo quello che vediamo. Ma
ritrovarsi faccia a faccia con un mondo in cui è davvero scomparsa ogni traccia
d’amore, di sentimento, di pietà, è un pugno allo stomaco che ti fa mancare
l’aria: anche se si tratta del mondo in miniatura rappresentato sulle tavole di
un palcoscenico.
“Malammore” significativamente è il titolo dello spettacolo andato in scena
venerdì scorso al Teatro Civico 14 di Caserta: una prima eccezionale per un
dramma scritto e diretto da Ilaria Cecere e interpretato dalla stessa Cecere e
da Annamaria Palomba. E’ la storia di una giovane donna (Ilaria Cecere)
appartenente a una famiglia camorristica, costretta a sposare il rampollo di un
clan rivale, Tonino, al fine di pacificare una faida sanguinosa in corso tra i
due gruppi; la madre di costui, ‘onna Amalia (Annamaria Palomba) ricalca la
storica figura della matriarca di clan, dura, determinata. Le due attrici
condividono sin dall’inizio il palco, ciascuna in una sorta di monologo
compresente, ma solo alla fine si incontreranno e scontreranno di persona -
anche se le scelte e le intenzioni che ciascuna incarna non hanno fatto altro
per tutta la durata dello spettacolo. La donna infatti odia e prova ripugnanza
per un marito che la maltratta, arrivando quasi a violentarla: ne resta anche
incinta, ma abortisce fingendo di aver perso il bambino per colpa delle botte da
lui ricevute. Lo tradisce, anche, e nel farlo prova una soddisfazione immensa.
Tanto viscerale il Malammore ch’essa nutre nei suoi confronti e in quelli del
perverso meccanismo che a lui l’ha irragionevolmente incatenata, che in un
momento assai significativo del dramma la giovane giungerà a rivolgersi alla
Madonna di Pompei (il cui altarino fa da sfondo alla scena): alla Madre Celeste
viene impetrata come grazia la morte di Tonino, senza pietà, anche se per
arrivare a lui dovesse passare prima su di lei, quasi ch’Essa sia un killer cui
rivolgersi per un regolamento di conti, un’assassina dotata di poteri
sovrannaturali, ma sempre integrata e presente nella vita di strada. E’ così a
Napoli: anche il sacro e il divino scendono dagli altari, per camminare fianco a
fianco degli uomini nello stesso fango, condividendone lo stesso dolore; devono
farlo affinché possano continuare a essere adorati, ma anche sfidati: come
quando onn’Amalia, dopo che Tonino è effettivamente morto –con voluta ambiguità,
la sceneggiatura non chiarisce se di un malore improvviso o perché avvelenato
dalla novella sposa- si rivolge alla Vergine rimproverandoLa di aver ascoltato
la supplica della pecorella sbagliata, e auspicando che “Ti si spengano tutti i
lumini da davanti alle immaginette”.
D’altro canto la giovane donna è un carattere affascinante, piena di
un’animalesca volontà vitale che la porterà alle estreme conseguenze: sa che non
avrà scampo, ma quello che fa lo fa per poter credere di avere ancora una scelta
(anche se sarà una scelta di morte), lo fa per vendicarsi, per infliggere il
supremo insulto a un mondo, quello della camorra, di cui si sente vittima e
complice allo stesso tempo. Inconsciamente cerca una possibile redenzione, pur
non credendovi. E dopo la morte di Tonino la vendetta, inevitabile come iscritta
nei geni, come una rettiliana reazione strisciata fuori dall’ipotalamo, non
tarderà a gratificare anche la madre.
La gestazione di questo spettacolo è stata lunga: la Cecere ha iniziato a dar
forma alla sua idea nel 2009 con una piéce di cinque minuti poi rimaneggiata e
espansa, e intanto girando per venire a contatto con questa realtà, incontrando
finanche alcune donne di camorra. Il risultato è un’eccellente sceneggiatura,
durissima ma vera e perciò non patetica, interpretata da due attrici eccezionali
in modo davvero ispirato e coinvolgente.
Consulta: Stagione
teatrale al Teatro Civico 14