OfficinaTeatro: "Risveglio di Primavera"
S. Leucio (CE) – 5 Febbraio gennaio 2012
Articolo di Rossella Barsali
L'adolescenza è il momento in cui bisogna scegliere tra vivere e morire. Hafid Aggoune, Quale notte siamo? 2005
Chissà se Wedekind, nel dare alle stampe il suo Risveglio di Primavera, in
quel 1891, fosse consapevole dell’impatto che l’opera avrebbe avuto sulle
generazioni successive e del suo innegabile successo, atteso per anni perché
censurato fino al 1906, epoca di prima rappresentazione teatrale.
E chissà se i ragazzi del laboratorio teatrale permanente “Ipotesi Espressive”,
andati in scena nei quattro giorni precedenti a Officina Teatro, diretti da
Michele Pagano, hanno la consapevolezza dell’impatto avuto sul pubblico adulto
accorso ad applaudirli, e di quanto siano stati coralmente bravi, armonici,
intensi, veri.
Il Risveglio di Primavera è un accorato omaggio all’adolescenza e ai suoi
drammi, che oscillano pericolosamente fra tragedia e commedia. E’ la zona
carnosa tra l’infanzia e la giovinezza, la più autentica, la più viscerale, la
meno compresa, quella ricca di esplosioni, di chiaroscuri, di esibizioni, di
segreti, di finzioni e di verità. E quella più rappresentata, dall’epoca dello
Sturm und Drang ad adesso.
Pagano sceglie un’effige rappresentativa, un albero con due sagome intrecciate,
un ragazzo e una ragazza, e, da buon Giardiniere, innesta la regia teatrale con
trovate cinematografiche, e il risultato è di sorprendente eleganza: quasi un
tuffo all’interno del dramma e poi un subitaneo distacco, ripetuto dall’inizio
alla fine.
Ricrea un’atmosfera da college anglosassone dickensiano, no, da musical anni
’50, no, da remake dei musical anni 50 degli anni ’70… e via via i ragazzi
incarnano, s’impastoiano, si immergono fin nelle proprie viscere, nei propri
boschi interiori. E lì, nell’affannosa ricerca di se stessi, incappano nel
dramma di una nascente identità, frutto del loro non-Essere piuttosto che
dell’Essere (“Non sono una puttana!- urla Elsa, una convincente Daniela
Quaranta). La gabbia dove volontariamente si chiudono gli adolescenti con i loro
drammi interiori non a caso è la rete di un letto, oggetto-luogo di tormenti ed
estasi (Giannino- ineguagliabile Michele Brasilio- in prove tecniche di amplesso
con il suo manichino preferito, le”lesbiche” Marta – Sara Mauro, che
s’impossessa progressivamente della scena - e Tea – Fabiana Fiorillo, un
contraltare delizioso- che rivelano la loro “diversa” condizione protette, anzi
prigioniere della rete).
E gli altri oggetti accumulati sul fondo della scena (lavatrice, tavolino e
sedie, un divano, il letto a castello) diventano per ognuno di loro quel
frammento di casa nido-cella, che li protegge e li imprigiona. Simulacri di
Famiglia, evocata ma assente (monologo finale del Suicida, Maurizio, un accorato
ed intenso Peppe Affinito), ridicolizzata dalla gag caricaturale che vede uno
scambio netto di ruoli tra Madre (impersonata da un trascinante e spassosissimo
Rino Rivetti, fantastico anche nel ruolo della prof molestata) e Padre (l’ottima
“spalla” Doriana Costanzo), intenti più agli screzi e ricatti di coppia che al
ruolo di educatori.
Meglio allora l’Assenza dei Genitori, mai accettata, edulcorata dalla finzione
di una Presenza, meglio il dramma degli Orfani? Emerge alla fioca luce della
candela il distacco tra i Fratelli Orfani, un Illuso (Ottone), l’altra Spietata
(Elsa).
Le molteplici forme del Desiderio, da quello negato (Ottone – Giuseppe Russo,
nei panni del prete mancato-) a quello non riconosciuto (Wendla, la già ammirata
Liliana Bottone), a quello non accettato (Marta e Tea) a quello eccessivo di
Giorgio (Giovanni Santonastaso, fortemente impattante), a quello consumato in
solitudine (Giannino), a quello provocato (Elsa verso Giorgio), hanno la
pericolosa gestione adolescenziale: cioè, non si fermano in tempo. Non si ferma
in tempo Maurizio (il Suicida), né Wendla (che resta incinta di Melchiorre,
Francesco Roviello, che in parte stravolge il personaggio, rendendolo
urticante), né Giorgio (che viene accusato di molestie sessuali ai danni di
un’insegnante), e neppure Marta e Tea, che però ridono sul loro “latte versato”
(durante il loro incontro, brindano con il latte nel bosco).
Provare qualcosa di” forte” è l’imperativo: finanche le bastonate, le espulsioni
dalla scuola, lo stupro, l’esibizione (i tre culi nudi maschili, un cliché
cinematografico).
Le conseguenze sono sempre la scelta: tra vivere e morire.
Consulta: Officina Teatro
stagione 2011/12