Teatro Civico 14: Giorni perduti
Caserta – 22 ottobre 2011
Articolo di Clemente Tecchia
Sabato e domenica scorsi è andata in scena al Teatro Civico 14 di Caserta la
prima nazionale di “Giorni Perduti”, una produzione Teatro di Legno per la regia
di Luigi Imperato, co-diretto e interpretato da Silvana Pirone e con ideazione
scenica a cura di Domenico Santo. Ispirato dall’omonimo, brevissimo racconto di
Dino Buzzati, lo spettacolo si apre con il monologo di quella che sembra una
barbona, la quale in mezzo a mucchi di scatoloni -emblemi dell’instabilità e
della condizione di senza tetto- si lancia in una straniante dissertazione sui
mobili Ikea. La protagonista passa poi a introdurre nel racconto la vicenda di
una sua amica, Teresa Palumbo detta Teresella, già benestante vomerese, che
decide di intraprendere la via della recitazione teatrale incappando nelle
avances del regista, Enrico, cui finisce per accondiscendere pur amando
l’avveduto extracomunitario Amid. Travolta prima da questo cedimento e poi dalla
notizia della morte dell’amato, Teresa si rifugia per alcuni giorni nella vita
di strada, alla ricerca di un chiarimento che riguardi sé stessa. In questo
momento di sospensione la donna (io narrante e alter ego di Teresa stessa)
inizia a mettere ordine nei ricordi, nelle scatole che l’accompagnano e che
nelle sue mani diventano quasi prodigiosamente effimeri mobili, e insieme nella
propria confusa coscienza. Come visto, la trama non è particolarmente spessa
così come la protagonista non è un personaggio a tutto tondo, non è eroico né in
male né in bene. La qualità essenziale dell’opera sta infatti nel suo perfetto
intimismo, o se vogliamo individualismo: quello di una persona che si ferma un
momento, fa una pausa, riflettendo sia sui giorni perduti sia – e soprattutto –
sul perché le persone si lascino sfuggire i giorni dalla vita. La risposta
potrebbe essere nella ricerca di una maggiore consapevolezza, una consapevolezza
che inevitabilmente pone l’accento sulle occasioni perse o sfruttate male.
Teresa capisce che la crescita è dolorosa proprio perché il dolore è crescita -
o, perlomeno, cambiamento. Anche se all’inizio appariva ingenua, ignara, ora
capisce che trasformare la propria essenza di burattino di legno in carne
sanguinante fa male, perché avere dei fili che ti sorreggono e ti portano dove
vogliono gli altri è sì avvilente, ma al tempo stesso rassicurante. La
metamorfosi, lo sdoppiamento (personale e temporale) sulla scena è reso
esplicito anche dal cambio d’abito: in apertura vestita come una barbona, mano a
mano che rievoca i ricordi dell’esperienza di teatro (quella per la quale
avevano iniziato a chiamarla ‘la star’) la protagonista si spoglia mettendo le
vesti di una bellissima donna, per poi –dopo la delusione, e la perdita– tornare
a infagottarsi e a seppellirsi, si spera per poco, sotto la pila di scatoloni
dove l’avevamo trovata all’inizio. E così’ l’iniziazione umana di Teresa Palumbo
è riecheggiata dalle parole finali del racconto di Buzzati, dove le scatole che
le fanno compagnia sono le stesse che racchiudono “I tuoi giorni perduti. I
giorni che hai perso. Li aspettavi, vero? Sono venuti. Che ne hai fatto?
Guardali, intatti, ancora gonfi. E adesso?”.
Colpisce l’eccezionale bravura della Pirone, capace di tessere un monologo di
un’ora senza cali o sbavature, tra l’altro continuando a costruire e decostruire
la scenografia ‘mobile’ mentre intrattiene gli spettatori. Diciamo intrattiene,
poiché c’è anche comicità nelle parole, nell’accento e nel modo di pensare del
personaggio: una comicità che, come sottolinea il regista Imperato, è implicita,
è ignara di esserlo. Come quando di fronte alle -se vogliamo- buffe occupazioni
giornaliere dei tanti senza fissa dimora che si incontrano per strada
l’espressione del nostro animo è divisa tra la compassione e il riso. Allo
stesso modo non c’è neppure un dramma vero e proprio. Solo, il caso medio di una
persona come tante. Medio, ma forse appunto per questo universale.
Consulta: Stagione teatrale al
Teatro Civico 14