Teatro Civico 14: “Frat’’e sanghe”
Caserta – 17Aprile 2010
Articolo di Dario Salvelli
Questa sera al Teatro Civico 14 torna il cartellone teatrale delle compagnie
napoletane con la pièce “Frat’’e sanghe” scritta e diretta da Giovanni Meola e
con Luigi Credendino, Pio Del Prete e Enrico Ottaviano. Il pubblico è abbastanza
nutrito, ci accomodiamo e notiamo tre giacche piegate sistemate sul palcoscenico
e basta. Quando si accendono le luci sono seduti su due parallelepipedi tre
uomini, vestiti in canottiera, dormono l’uno appoggiato all’altro, forse sognano
e in questo continuo sonno citano e cantano classici della canzone napoletana
finchè il primo non si sveglia. E’ il 31 Dicembre del 1999, i personaggi che
abbiamo davanti sono tre fratelli che non si vedono da cinque anni: si sono
ritrovati dopo tanto tempo per festeggiare il capodanno del 2000, quando capita
di vedere con i proprio occhi l’arrivo di un nuovo millennio?
E così dal colera, al terremoto, al culto di San Gennaro, alle puntate de “La
Smorfia” con Troisi, dal primo scudetto di Napoli passando per il G7 dei grandi
della terra, attraverso le vicissitudini di Napoli ripercorrono i proprio
ricordi scoprendosi diversi e lontanissimi. Il primo, Salvatore o anche Sasà, è
il più grande dei tre, quello che non ha studiato e che vive arraggiandosi,
sporcandosi le mani nella 'monnezza' con la brillante idee di scaricare rifiuti
speciali per fare più soldi. Il secondo è Giovanni o anche Giannino, così l’ha
sempre chiamato Sasà: è quello dei tre che ha sempre studiato e che ora vive
facendo il giornalista raccontando i mali di Napoli e che da tempo cerca uno
scoop sugli stessi intrighi dell’immondizia che danno da mangiare a Sasà. “Alla
fine la monnezza è speciale per tutte e due” dirà Sasà a Giannino.
Il terzo fratello, Giuseppe, il più piccolo, ha 25 anni ed è secchissimo, come
tanti ragazzi del Sud si arruola nell’esercito italiano ed è appena tornato da
una lunga missione in Kosovo dove seppure ha guadagnato molti soldi ha trovato
un’amarissima certezza, quella di essere malato a causa dell’uranio impoverito e
di avere pochi giorni ancora da vivere. I tre fratelli sono nettamente diversi e
questa differenza esce fuori non solo dalle loro storie personali ma anche dai
ricordi: non c’è memoria condivisa, ognuno di loro è legato all’altro da un
vincolo di sangue e poco altro, hanno caratteri diversi, ripercorrono gli stessi
ricordi in maniera completamente opposta eppure sono tutti fratelli, solo
Giuseppe dà ragione a turno all’uno all’altro. Sasà e Giannino sono in contrasto
ed in lite per tutto lo spettacolo, rappresentano le contraddizione di Napoli e
due facce di una stessa famiglia vissuta in un contesto misero, dove il massimo
per un bambino era tirare le pietre contro le persone o giocare a calcio tra i
rifiuti. Giuseppe cerca di mettere la pace tra i due, è il più piccolo della
famiglia e per questo viene sbeffeggiato di continuo: come quando viene
“scherzosamente” picchiato dai due con la “cucchiarella”, affresco tipico di un
educazione caratterizzata dalla violenza e dal poco rispetto per il prossimo. Lo
spettacolo è duro, i tre attori sono bravi a non cadere in stereotipi che
caratterizzano Napoli e quella napoletanità della pizza e del mandolino se così
possiamo chiamarla e disegnano personaggi intensi e verosimili, Sasà gioca i
numeri a lotto mentre Giannino lavora anche l’ultimo dell’anno. Ci sono momenti
dello spettacolo ironici e divertenti: la gara per chi riuscirà a prendere la
cioccolata che tanto piaceva al loro babbo ma che non sempre potevano
permettersi soprattutto dopo la sua prematura morte che costringe Sasà a portare
avanti la famiglia. Oppure il momento in cui, quando piazza del Plebiscito era
ancora un mega parcheggio, Salvatore ricorda che con quelle automobili portava
il pane a casa e sfamava tutta la famiglia. E ancora quando Giuseppe prima di
partire per il Kosovo, proprio in piazza del Plebiscito sfida i suoi fratelli a
cavalcare la tradizione provando a percorrere la piazza bendati cercando di
arrivare tra i due cavalli: chi di noi non l’ha mai fatto?
Quando Sasà e Giannino vengono a sapere della malattia di Giuseppe la scena si
fa inizialmente tragica poi sfocia nella speranza: Sasà accende qualche lume a
San Gennaro, Giannino pensa a scrivere un articolo di denuncia su ciò che è
accaduto a Giuseppe. “Frat’e’sanghe” è anche questo, uno spettacolo interessante
sulla famiglia, sui contrasti, sugli stereotipi di una città e dei suoi
abitanti. Chi ha dei fratelli potrà riconoscersi anche se minimamente in alcune
alterne dinamiche dei rapporti tra fratelli.
Perché “simm frate’e’sanghe” un po’ tutti noi anche se a causa delle nostre
diversità non vogliamo riconoscerlo.
consulta: Teatro Civico 14:
programma 2010