Teatro Caserta Città di Pace: “Il Vangelo visto da un cieco”
Puccianiello (CE) – 20 febbraio 2010
Articolo e foto di Salvatore Viggiano
Tre figure, un uomo con occhiali e due donne, a ben scrutare dalla platea,
percorrono il corridoio della sala regia, situato nella mini galleria del
Caserta Città di Pace. Quasi nessuno se ne accorge: il palcoscenico ora è già
offerto agli spettatori, nella sobrietà opacizzante dei teli sorretti da canne
di bambù.
Approdano in platea, percorrono le corsie verso la scaletta della scena. L'uomo
va a tentoni, si lascia guidare dal proprio bastone; ha un ripensamento, torna
indietro e convince un simpatico signore (con il gesso al braccio) ad
accompagnarlo sul palco. L'ilarità che si produce devia leggermente dalle
aspettative di incipit.
Nel titolo del lavoro proposto da "Teatro dell'Orsa" e "Compagnia Bella" a
Caserta si legge di un Vangelo visto da un cieco. Acutezza di lettura che magari
al lettore sprovveduto non risalta subito. L'ossimoro vale tanto ed è un
importante cardine della sceneggiatura.
Il luogo è l'anticamera del Sinedrio, dove sta per essere processato Gesù.
Bernardino Bonzani presta la vista e un ottimo taglio fulvo, infagottato nella
nappa che gli cinge la testa, al personaggio, decisamente umano ma simbolista,
del cieco nato. Da Gerico, viaggiando sulla memoria narrata e nota della caduta
delle mura di Gerico. Sferza con la verga le sedie a centro scena. Le abbatte
ricordando la disfatta. Poi, imprevedibile, richiede all'attore per una sera
(forse) di rialzare le mura di Gerico, "compatibilmente con il suo infortunio,
gentile Signore".
Il pubblico segue a ruota, tra risate e raptus di riflessione. Il cieco nato
altalena tra ricordi, aggressività represse, imprecazioni. Poi guida se stesso
e l'attenzione altrui sulla propria vicenda. Diventa quasi uno specchio della
propria persona. Assiste alla magnifica narrazione che riporta la Samaritana,
giunta là dipresso (un'ottima Monica Morini, a nostro giudizio): lo svilimento
di una donna passata tra cinque matrimoni e altrettanti letti, come ben si
apprende dalla Bibbia.
Succube degli insulti del villaggio, si reca al pozzo ad attingere l'acqua a
mezzogiorno, quando l'afa raffrena gli altri. Lei si gode la solitudine di chi
vuole redimersi. Poi un giorno giunge un Uomo che le chiede dell'acqua.
Cosà si dipana la storia del cieco nato, pressato dalla folla presso la fontana
e poi guarito dalla malattia inguaribile. Anche qui, Bonzani è eclettico:
"Ingredienti per un miracolo: acqua, terra, sputo, ma uno sputo gentile, e Gesù.
L'acqua, la terra e lo sputo potete trovarli ovunque, ma Gesù no." Ancora la
moglie di Zaccheo, il pubblicano, (Laura Aguzzoni, ruolo perfetto), il cui
marito si ciba del convito a due con Gesù, nella propria casa. Le
interpretazioni risuonano di meraviglia perduta nell'immensità del miracolo.
Merita sottolineatura la centralità dell'acqua, versata in un secchio, unico
oggetto mobile della scena, assieme ad una piccola ciotola. Non è soltanto
viatico per dissetarsi, ma strumento di salvezza. I personaggi vi immergono le
mani come su un Rosario. Questo è da ascrivere alle capacità di allestimento
degli autori. Le luci vengono "sussurrate" sulla consolle in regia dalle voci
degli attori: si trasmuta dai soffusi delle confessioni dei tre, ai limiti
anche della commozione, fino all'esilarante con trame più accese.
Gaetano Nenna sulla scena è il musico guardiano della sala. Con il proprio
clarinetto esprime la partecipazione agli eventi. E la chiave di qualità sta
anche nell'orientamento di coniugare avvenimenti millenari con l'occhio della
sensibilità contemporanea: si, proprio con l'occhio, nel senso imparato dai
quattro attori, di stupefatta apertura dell'animo ad accogliere il mistero di
Morte e Salvezza del Cristo.
consulta: Teatro “Caserta, Città di Pace”: rassegna "Eventi Teatrali 2009/2010"