Teatro Civico 14: "Barbarella ed altre lontananze"
Caserta – 10 Gennaio 2010
Articolo di Dario Salvelli
Non solo produzioni di compagnie casertane ma anche tanta Napoli nel
cartellone teatrale del Teatro Civico 14. Apre la rassegna napoletana Sabato
9 e Domenica 10 Gennaio lo spettacolo “Barbarella ed altre lontananze”,
regia di Peppe Lanzetta e con Beatrice Baino. La pièce è un adattamento tetrale
del libro “Figli di un Bronx minore” scritto da Peppe Lanzetta ed edito da
Feltrinelli di qualche anno fa: Lanzetta afferma che anni fa ricevette la
segnalazione di una giovane attrice, la Baino, che aveva pensato ad uno
spettacolo teatrale ispirato proprio al suo libro. E così, quel mare che era di
Lanzetta ha travolto la Baino che l’ha fatto suo, portando in scena in circa
un’ora “Barbarella”.
E’ un peccato che questa sera la sala non sia completamente piena, è raro
assistere a basso costo ad ideazioni sceniche senz’altro genuine ed interessanti
che a pochi passi dal pubblico trasmettono tensioni ed emozioni vive, sincere,
difficili da trovare se non nella vita quotidiana. “Barbarella ed altre
lontananze” racconta una Napoli tormentata, quella dei quartieri e delle
periferie degradate ricche di sogni e desideri contrastanti frutto di un mal di
vivere comune a molte metropoli. La scena è scarna e semplice, quasi a disegnare
realtà umile di una casa povera e modesta ma pronta a diventare vicolo, strada,
basso: una sedia a dondolo di legno con a fianco una scatola di cucito, un
televisore appoggiato su di un mobiletto al centro e sulla destra due sedie ed
un tavolo con sopra trucchi, una bacinella, una maglia ed alcune cianfrusaglie.
E’ il regno dove la Baino racconta le sue donne che potrebbero abitare tutte lì,
con il peso delle loro ansie ed un vissuto fatto di rabbia, delusioni, amore.
Colpisce subito l’immagine dell’inizio dello spettacolo: mentre il pubblico
ancora si accomoda la Baino è già in scena, ha un camice da lavoro ed appoggiata
su di un fianco vicino all’entrata dei camerini, fuma con calma una lunga
sigaretta. Questa massaia è una donna abituata alla fatica ed alla solitudine
dei suoi pensieri e dei suoi sogni che appartengono al mondo dorato dei divi
francesi (divertente lo strascichio di nomi con pronuncia franco-napoletana che
vanno da Alain Delon a Fanny Ardant ed interessante l’idea registica di coprire
con la luce solo una parte del volto, gli occhi e la bocca). E dalla delusione
per una vita misera al dolore di una madre disperata che ha perso il proprio
giovane figlio strappato dalla droga. La Baino cambia personaggi senza nessuna
uscita di scena, si aiuta con la scenografia ed il costume che ora diventa un
abito nero che sottolinea il lutto di una mamma che ancora non crede alla morte
del figlio, che lo rivede in scene quotidiane drammatiche. “Ma la droga che
sapore ha? Morto per un overdose, così c’era scritto sul giornale. Da piccolo
appena vedeva un ago fuggiva, scappava…” E qui c’è l’altra idea scenica
interessante: l’entrata in scena del televisore, che una volta acceso trasmette
una delle più classiche trasmissioni televisive con cartomanti al seguito,
racconta una realtà ignorante, dove ci si aggrappa a qualsiasi cosa pur di
andare avanti.
Le donne della Baino hanno in comune dolori, speranze, certo, ma anche un
linguaggio, quello del dialetto di Napoli che rende i personaggi più intensi,
con l’uso di espressioni ormai sempre più in uso e paradossalmente in disuso.
Quella della Baino e di Lanzetta è una madre che sente ancora addosso il respiro
del figlio, che lo vede ancora girare per casa e che lo rimprovera ancora
dolcemente come ogni mamma apprensiva. Da chi ha perso precocemente un figlio
alla spavalda ed estrosa “Barbara Guadagno”, 20 anni, da tutti noti come
“Barbarella”, che il figlio in grembo (il padre è un rozzo meccanico di
periferia) ce l’aveva ma che l’ha dovuto abortire per l’ingnoranza e per un
amore grezzo. L’abito di Barbarella è cortissimo, tacchi a spillo, giubotto di
pelle, calze nere, un “culo su cui molti hanno sognato” di metterci le mani
sopra. E’ ingenua Barbarella che attraversa le strade del rione 167 di Napoli
tra nuvole di commenti maschili e che si dona a Marcello con passione: quando
questi, seguendo le voci del quartiere, crede che il figlio non fosse il suo,
Barbarella resta sola e con l’aiuto di un’amica è costretta ad abortire. La
vendetta è dietro l’angolo e si consuma ai Camaldoli, in una zona fuori mano
Barbarella dopo aver fatto sesso orale con il suo fidanzato si vendica e con
delle forbici “taglia le palle ad un uomo che non le ha mai avute”. Un gesto di
rabbia eccessivo e tragico che dimostra le incomprensioni di una donna che non è
solo apparenza e fisicità come tutti la disegnano.
Forse lo studio della Baino e di Lanzetta sui movimenti e sui personaggi è
troppo legato a stereotipi e non è approfondito restando più letterario che
teatrale ma quelle rappresentate sono tutte donne vere che la Baino interpreta
comunque con intensità, verità ed un tono viscerale che, tranne nell’ultimo
personaggio, non stanca troppo. Sono storie rappresentate con alcuni clichè e
convenzioni consumate ma restano pezzi e brandelli di vita che noi tutti
conosciamo, verità dimenticate ricordate dalle voci e dalle azioni di queste
donne.
Per questo è importante che vengano ancora fuori, perché da qualche parte c’è
una Barbarella innamorata o una madre che aspetta ancora invano il figlio
tornare da scuola.
consulta: Teatro Civico 14: programma 2010