Officina teatro: "Peppino mani dell'angelo" apre la stagione teatrale
S. Leucio (CE) – 18 ottobre 2008
Articolo di Federica Roano
Sabato 18 ottobre. E' stata inaugurata la rassegna teatrale di "Officina
teatro" con lo spettacolo "Peppino mani d'angelo", ideato e diretto da Michele
Pagano e recitato da "monologhista" da Ilaria delli Paoli.
La storia narra di una bambina, figlia di contadini, alle prese con la sua
femminilità rinnegata e di come ancora oggi, nell'Italia dei paesini, il
giudizio degli altri possa marchiare a fuoco il destino delle persone e possa
manovrarne subdolamente le decisioni, con risvolti quasi sempre dal forte sapore
amaro.
Regina della scena, Ilaria delli Paoli che, con movenze studiate al dettaglio,
con toni di voce che si fondono perfettamente con l'ambientazione e la storia e
con espressioni del viso e del corpo meravigliosamente armoniose, ha rapito il
pubblico dell'intera sala, mantenendo l'attenzione su di lei perennemente alta,
riducendo il pubblico in lacrime nei momenti più drammatici e facendolo
sorridere in quelli più teneri.
La maestria della storia invece, risiede nella sua incredibile semplicità e
purezza d'animo che traspare da ogni sguardo ed ogni sospiro di "Peppino"
(Ilaria delli Paoli). Nonostante la difficoltà della tematica affrontata, questo
dramma si svolge con una dolcezza davvero rara ed una sensibilità pari solo a
quella che avvolge i pensieri di un bambino.
Un racconto eccezionale, come eccezionale è la scenografia che si fonde ed
interagisce attivamente con i momenti della storia, quasi diventando anch'essa
un prolungamento di Peppino. Assolutamente da non perdere.
Consulta: Officina teatro:
programma 2008/09
Intervista Michele Pagano
Federica Roano: La prima cosa che volevo chiederti è come ti è venuta in
mente questa idea
Michele Pagano: Io vengo da un paesino dove, nei miei tempi, si dava
molto peso ai pregiudizi, ai modi di pensare, al modo di vedere, questa
mentalità un po' stretta che non si riesce ad andare avanti. Mi piaceva l'idea
di vedere il tutto con gli occhi di un bambino, un bambino/bambina, che usa
uno/una e mantenere questa confusione mentale e soprattutto l'ingenuità. La sua
ingenuità si manifesta nel chiedersi perché, ci sono tanti perché, perché
questo, perché quello… lei arriva a conoscenza della risposta solo alla fine
quando fuma la sigaretta della Principessa, che lei dice – nonostante l'avesse
fumata prima lei -. Non ho voluto specificare oltre. Non ho mai usato la parola
"omosessuale" o simili, quindi molta delicatezza, poteva starci anche un bambino
a vedere lo spettacolo, quindi non arrivavano messaggi forti. Poi quello che
volevo trasmettere soprattutto è che in questa storia non c'è odio. In genere si
odia l'altra parte e invece qui, innanzitutto non volevo far odiare nessuno,
contro o a favore che sia, volevo solamente che il pubblico si schierasse, come
tifosi, di Peppino. Ci sono delle scene abbastanza corali di festa di lei che ce
l'ha fatta, quindi sono una liberazione anche per il pubblico, volevo questo
tifo, questo tifo continuo delle persone che stavano con Peppino. E poi un'altra
idea è comunque il racconto viene fuori da un'accezione molto cinematografica,
il racconto funziona molto per immagini, c'è un'attenzione ai dettagli: volevo
far vedere come realmente sono le sedie di casa sua, la cucina, com'è il salone
del barbiere, e lei piano piano vi ci porta, prima vedere e poi ve lo dice.
Volevo che lo spettacolo fosse visto più che ascoltato.
F.R.: La storia l'hai fatta svolgere in pochi anni. La cosa che mi ha
sorpreso è che non hai mai fatto comparire una figura femminile, a parte la
Principessa che è di contorno più che un ruolo principale. Non hai mai fatto
comparire l'amore. È stata una scelta voluta o scaturita da un flusso di
pensieri?
M.P.: No, è stato voluto proprio. A parte che lo spettacolo verte su
tutt'altro, raccontare il tutto come una storia d'amore non mi piaceva, tant'è
vero che nasce qualcosa con questa Principessa, ma è un qualcosa di così
delicato, così elegante che devi dedurlo tu se è vero o non è vero. Quella
conoscenza è bastata per capire qualcosa della sua personalità
F.R.: Quanto ha contribuito Ilaria alla creazione di questo personaggio?
Quanta Ilaria c'è in Peppino?
M.P.: Beh, di Ilaria c'è tantissimo, Ilaria c'è dall'inizio, e non da
durante le prove, c'è proprio da sempre, io l'ho scritto per lei. L'ho scritto
per lei perché Ilaria, conoscendola da alcune prove per alcuni spettacoli, da
alcuni travestimenti diciamo così, mi trasmetteva un ingenuità a volte negli
occhi, sa essere così chiara e allo stesso tempo così forte in alcuni ruoli. Lei
quando entra in scena ha un volto ed un corpo bianco, che richiama molto un
bambino. È bastata veramente una coppola e lei è riuscita ad essere un bambino.
Se avessi fatto al cinema un film, non avrei scelto un'altra attrice. Ilaria ha
questa posa un po' a burattino, molto Pinocchio, questa figura per dire, molto
finta… Riesce a comunicare molto con il corpo. La recitazione di Ilaria è una
recitazione naturalissima, sembra che una persona stia spontaneamente
raccontando una storia ed è alternata con delle azioni che sono prettamente
teatrali, sono caricati, ogni gesto è teatrale ed enfatico. Tu stai ascoltando
Peppino e spesso riconosci Ilaria, e per un attimo vedi Ilaria.
Per la scenografia ho voluto mobili vecchi, gli abat-jour e questi specchi per
mantenere il volto sempre in penombra, quest'identità nascosta, mai dichiarata.
E poi c'è questo fatto degli specchi,e quindi l'immagine riflessa, si vedono le
mani, si vedono gli oggetti, si vedono dei dettagli che possiamo notare al
cinema ma che è difficile vedere al teatro. Quindi gli specchi sono posizionati,
soprattutto quello centrale, per far vedere la mano, la schiuma, il rasoio… e
poi la cosa bellissima è che quando si mette in dopobarba si sparge quest'odore
di menta per la sala. È come sentire la storia.
R.F.: Certo, si aggiunge un ulteriore senso alla vista. È una cosa,
volendo, abbastanza innovativa nel teatro. In genere si rimane sempre nel campo
visivo o uditivo ma mai nel campo dell'olfatto
M.P.: Infatti c'era un qualcosa anche do sperimentale.
R.F. Ti faccio l'ultima domanda: hai usato moltissimi simbolismi: le
fasce che lei ha addosso, le fasce che delimitano la stanza, il rasoio,
iconografia maschile e quant'altro. I tuoi erano messaggi abbastanza diretti…
M.P.: Si, c'è un momento di regia precedente ed uno successivo. Lei come
limite aveva le bende e io volevo riportarlo in tutti gli ambienti. Quando lei
si traveste da Peppino (uso questo termine anche se non lo preferisco), lei non
si traveste, lei è "Peppino mani d'angelo". Il fatto di andare in una cella, e
raccontare all'inizio che lei si chiude in questo mondo e crea la cella con le
bende, noi riscopriamo dopo ch le bende sono la sua, tra virgolette, cella, cioè
le bende sono la cosa che le impedisce di essere a tutti gli effetti un uomo.