Aspettando "Kintsugi" al Teatro Civico 14 il 1 e 2 Dicembre

Intervista a tutto tondo con Brillante Massaro, autrice, attrice e regista

Intervista di Pia Di Donato


C'è grande attesa per la nuova produzione di Matutae Teatro tanto che il primi due appuntamenti sono già sold out. Ci è sembrato quindi giusto intervistare colei che è il "motore" della compagnia: Brillante Massaro

D: Questa nuova produzione ha una tematica femminile come la precedente, è una scelta precisa?
Sì, il femminile è il tema portante delle nostre produzioni anche perché ci sembra che non se ne parli mai abbastanza.

D: Anche in questo spettacolo ci sono storie di donne negate, abusate, è un remake di Stazione di servizio N° 23?
Abbiamo fatto tanta strada da Stazione di servizio n° 23, questa volta volevamo puntare l’attenzione sulle donne che nonostante tutto ce l’hanno fatta, donne che hanno subito umiliazioni, torture ma che non hanno rinunciato ai propri sogni e sono riuscite a essere quello che volevano essere.

D: La drammaturgia è tua?
Sì, durante il lockdown lavorare su questi testi ha alleviato la tensione e mi ha dato la possibilità di proiettarmi in un futuro più roseo.

D: Anche la regia è tua?
Regia è una parola grossa, grossissima, diciamo che ho curato l’organizzazione di questo spettacolo. Diciamo che sono stata facilitata nel compito perché tra noi c’è una lunga e consolidata amicizia per cui dal punto di vista relazionale, con le mie compagne di scena, non c’è stato nessun tipo di problema, anche quando si è trattato di intensificare le prove o di sacrificare qualche sabato, c’è sempre stata collaborazione.

D: Quante siete in scena?
Siamo in 5: io, Federica Crovella, Virginia Crovella, e Mina Mastantuoni, Mimì Trapani e Peppe Zappia.

D: Cos’hanno in comune i personaggi che rappresentate: Dora Maar, Fiorella, Franca Viola, Ipazia di Alessandria, Artemisia Gentileschi?
La resilienza, la capacità di resistere agli urti senza spezzarsi, non a caso lo spettacolo si chiama Kinsugi come l’antica tecnica giapponese che non nasconde le crepe ma le evidenzia riparandole con l’oro, perché sono proprio quelle fratture a renderci ciò che siamo. Epoche diverse, lingue diverse, storie diverse, voci diverse accomunate dalla stessa capacità di resilienza. Donne "strappate" che non si sono arrese ma hanno imparato a ricucire gli strappi.

D:  Artemisia Gentileschi mi spieghi cosa ci fa una donna del seicento nel tuo lavoro?
Mi piaceva l’idea di accostare il personaggio di Artemisia, interpretato da Mimì Trapani, che usa un italiano forbito con il personaggio di Fiorella (primo processo per stupro del 1978 di risonanza mediatica), interpretato da Federica Crovella, che si racconta in romanesco. Ha un effetto dissonante. Due donne di epoche diverse, appartenenti a mondi diversi che si raccontano con lingue diverse ma sono terribilmente simili, entrambe devono difendersi da una ulteriore violenza, quella subita nell’aula di un tribunale.

D: C’è un altro personaggio storico Ipazia di Alessandria perché lo hai scelto?
Perché Ipazia ha una sola certezza: il dubbio. Oggi andiamo sempre più alla ricerca di certezze e il dubbio ci spaventa. Ipazia ci aiuta a coltivare il dubbio, ci regala nuovi occhi che guidano le nostre intuizioni aprendole a nuove prospettive immaginative. Nelle sue mani il dubbio diventa una potente arma per rovesciare l’ordine costituito sovvertendo ogni tipo di dogma: scientifico, sociale, religioso.

D:  Come mai avete scelto la musica dal vivo?
Quando mi sono interrogata sulla colonna sonora mi è parso che nulla si potesse adattare, che nulla calzasse bene, qualsiasi tipo di musica mi sembrava sempre appiccicata al testo, volevo invece che la musica fosse parte integrante dello spettacolo, un’altra voce narrante che al pari delle altre avesse una sua identità, una sua personalità. Ho coinvolto Andrea Giuntini, pianista e, valore aggiunto, mio marito (scherzo!), per comodità devo dire, perché avendolo in casa avremmo avuto più tempo a disposizione per sperimentare e perché non avrebbe potuto dirmi di no, e Andrea Russo fisarmonicista, perché i testi me li sono fin da subito immaginati con l’accompagnamento della fisarmonica. Abbiamo insieme convenuto che la musica non dovesse semplicemente affiancare il testo fungendo da sottofondo alla parola, ma che dovesse avere una propria autonomia narrativa. È stato un lungo percorso di confronto: analisi del testo, individuazione delle atmosfere e delle emozioni. La musica dice la sua in questo spettacolo, qualche volta sottolinea e enfatizza, qualche altra dissente e apre una nuova prospettiva.

In entrambe le rappresentazioni del 1 e 2 dicembre, avete fatto sold out, ve lo aspettavate?
Onestamente no, ma siamo felicissime, abbiamo un nostro pubblico che ci segue e questo ci riempie di gioia, ma al tempo stesso sentiamo addosso una grande responsabilità mista alla paura di non soddisfare le aspettative del nostro pubblico. Ma ce la metteremo tutta.

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