46 Settembre al borgo: Vinicio Capossela in trio in “Leitourghia - Servizio di Canto Pubblico”
Anfiteatro della Torre, Casertavecchia (CE) - 5 Settembre 2018
Articolo di Rossella Barsali
Chi in passato ha apprezzato il Capossela “dalla parte di Spessotto”, che si chiede “che coss’è l’amor” , che si ferma “all’una e trentacinque circa”, e quindi è venuto a cercarlo qui, se n’è andato in stato confusionale: Vinicio, “quel” Vinicio, compare solo a tratti, e solo per fornirci una chiave di lettura diversa anche di quelle canzoni che, divenute di successo, sono state per un certo periodo “un canto pubblico”. Basta un arrangiamento diverso, magari con un violoncello da braccio, e affiora un canto tutto nuovo, rituale, arcaico.
Liturgia, anzi Leitourghia, dal greco leiton (pubblico) ed ergon (lavoro), cioè servizio pubblico. Nell’antica Grecia ai cittadini più ricchi era imposto di finanziare alcuni servizi di pubblica utilità, secondo necessità: festeggiamenti, spedizioni militari, opere pubbliche. Questa era la liturgia, nobile servizio reso alla democrazia. E questo è l’intento del concerto: riprendere l’uso del canto pubblico come celebrazione rituale, accostando i canti arcaici e rituali dei cantori dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso e Monte dei Morti, che tengono in vita una tradizione corale antichissima, al proprio personale viaggio nel mito greco, archetipo fondante della cultura occidentale. Il progetto è ambizioso, il segreto per realizzarlo è una ricercata semplicità musicale e la suggestione della solenne processione dei cantori incappucciati neri dei riti quaresimali di Sessa Aurunca, che incedono nella superba cornice della Torre, rischiarati dai ceri accesi. A quelle possenti voci nude fa eco un ensemble musicale di strumenti acustici, primo tra tutti l’armonio a pedali, e il pianoforte (che resta lo strumento intimamente connesso al Nostro); e poi la chitarra, imbracciata più volte durante il concerto da Capossela. Plettri, aulofoni, ed altri strumenti antichi, corde e tamburi formano una piccola orchestra dalle mille voci tonali, che riconducono di volta in volta a inusitati paesaggi musicali, calati in un tempo lontano dal nostro, eppure così eterno e scandito da sembrare attuale. Concorrono alla buona riuscita del concerto Peppe Frana, liuti, Giovannangelo de Gennaro, viella, aulofoni e voce, Peppe Leone, tamburi a cornice e percussioni, Raffaele Tiseo, violino, violoncello da braccio, viola d’amore, Glauco Zuppiroli, contrabbasso. L’aedo si alterna con l’Arciconfraternita, profano e sacro assieme, mito e culto, tra le canzoni più significative degli ultimi anni e i canti liturgici quaresimali, quasi a riconciliare due aspetti tanto diversi del percorso umano. Spicca una versione particolarmente intensa di “Le sirene”, con pianoforte, voce e violino, a ricordarci che lasciare spazio al passato impedisce al futuro di venire, e una trovata scenica estremamente efficace di Peppe Leone che stupisce il pubblico con un assolo interminabile al tamburo a cornice che mitiga un temporaneo disguido tecnico, trasformandolo in un acrobatico virtuosismo. Non ha funzionato, invece, la splendida “Ovunque proteggi”, eseguita all’armonio a pedali, che ha avuto un effetto clericale troppo marcato.
“La liturgia è il complesso delle cerimonie di culto nella sua interezza, così come è sinonimo dei singoli riti apparecchiati. Ed è un uso che si può estendere ad ogni culto”. Anche ai concerti.
Consulta: 46° Settembre al Borgo