Mastandrea e Gaglianone presentano "La mia classe" al Caserta Film Lab
Caserta - 4 Febbraio 2014
Articolo di Giuseppe Vuolo, foto di Francesca Ciccarelli e Daniela Volpecina
Il distacco e l'indifferenza verso il dolore altrui sono oggi la causa
principale della disumanizzazione del mondo in cui viviamo: non subire in
prima persona un dramma sociale, non essere coinvolto in una guerra, non
doversi misurare personalmente con alcune problematiche rende l'uomo ogni
giorno più incapace di pietà ed empatia, abituato a pensare che tragedie del
genere gli sono lontane e non possano riguardarlo. In questo processo hanno
un ruolo determinante i mass media, che propinano "il dramma del giorno"
destinato in poco tempo a cadere nell'oblio, perché l'importante, per loro,
è comunicare qualcosa di nuovo e che questo ipnotico flusso di notizie non
si fermi mai, come il rullo di una catena di montaggio destinata più a
suscitare emozioni che a creare informazione.
Anche sul cinema incombe lo stesso rischio di formare un pubblico che appena
uscito dalla sala pensa che "in fondo è solo un film", quindi ben vengano
opere come "La mia classe", ultimo film di Daniele Gaglianone presentato
martedì sera al Duel Village. A proporre l'incontro col regista torinese e
il protagonista Valerio Mastandrea è il Caserta Film Lab, giovane ma già
consolidata associazione culturale che propone al capoluogo casertano il
miglior cinema di qualità italiano e straniero.
Francesco Massarelli coordina gli interventi degli ospiti e le richieste di
un pubblico numeroso (più di 400 persone). Sul palco, oltre a Gaglianone e a
Mastandrea, ci sono la sceneggiatrice Claudia Russo, il responsabile del
casting Davide Zurolo e, in rappresentanza dei loro compagni, il bengalese
Nazim Uddin, l'egiziano Shady Ramadan e l'iraniana Sheida Vatan Khah.
Per la migliore riuscita dell'incontro si è attivato anche il Centro sociale
"Ex Canapificio" di Caserta, da sempre attento a queste tematiche,
rappresentato da Mariarita Cardillo, Mamadou Sy e Augustine Asiegbu: una
collaborazione importante non solo per il messaggio portato sul palco - e
cioè che il film di Gaglianone evidenzia come la legislazione italiana e
comunitaria sull'immigrazione sia totalmente da ripensare - ma anche perché
per le associazioni del nostro territorio è ormai decisivo "fare rete"
organizzando eventi comuni.
Il film è ambientato in un CTP romano dove ogni giorno gli immigrati
imparano da un insegnante la nostra lingua per ottenere il permesso di
soggiorno. La particolarità è che i 17 attori, provenienti da 13 diversi
Paesi, sono realmente studenti incontrati dal regista in vari Centri
Territoriali Permanenti e associazioni della Capitale. Non solo: ognuno di
loro mette in scena il proprio vissuto, spesso lottando contro il ricordo
dei propri drammi personali che strozzano in gola le parole di qualunque
lingua, a volte sinceramente addolorati nel sentirsi sempre stranieri e mai
a casa.
Anche la sceneggiatura riflette la peculiare scelta del cast: nella sua
prima stesura, già lasciava un ampio spazio all'improvvisazione degli
attori, dando loro poche indicazioni di massima. Il mancato rinnovo del
permesso di soggiorno di uno di loro poco prima dell'inizio delle riprese,
però, getta tutto lo staff in una profonda crisi, mettendo in dubbio la
possibilità di portare a termine il lavoro. Si decide allora di fare finta
che questi problemi legali fossero emersi davanti alle telecamere, mostrando
sin dalla prima scena non solo la storia degli studenti, ma anche quel che
c'è dietro la macchina da presa, il set, le attrezzature, gli addetti ai
lavori, lo stesso regista con le sue direttive al cast e alla troupe. Una
scelta coraggiosa, dove ognuno letteralmente "ci ha messo la faccia", in
primis Gaglianone, rischiando di girare un film troppo cerebrale, difficile
da seguire, non coinvolgente se non addirittura ridicolo; il risultato è
stato invece notevole: il film scardina programmaticamente le rassicuranti
etichette della "realtà" e della "finzione" con l'obiettivo di spostare
l'attenzione dello spettatore dalla forma di comunicazione all'argomento
perché, una volta chiarito che quello che si sta vedendo è reale e accade
ogni giorno, non ha più importanza chiamarlo "film", "documentario",
"reportage", "meta-cinema", la terminologia passa in secondo piano. Con il
sovvertimento della sceneggiatura originaria, la libertà degli
attori-studenti risulta accresciuta, risolvendosi in una spontaneità
disarmante, tale che di fronte alla recitazione di questo cast anche
l'espressione "recitare sé stessi" appare inadeguata. E per quanto riguarda
il "maestro" Valerio Mastandrea, unico attore professionista del cast, si
intuisce che spesso a ridere e ad emozionarsi davanti alla telecamera è
proprio l'attore, non il personaggio interpretato.
In definitiva, "La mia classe" è un film d'avanguardia, innovativo,
impegnato ma anche piacevole, un prodotto veramente diverso da quel che di
solito capita di vedere sul grande schermo; e si chiude con un'immagine
significativa e purtroppo familiare: l'ennesimo immigrato portato via da due
poliziotti per essere rimpatriato. Una scena recitata ma, in fondo, la più
reale di tutto il film.
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