"Questione di un attimo": l'autore Tirelli e il regista Solofria raccontano
Anteprima Nazionale il 26 dicembre 2013 al Civico 14
Articolo di ROberta Cacciapuoti
Andrà in scena, in anteprima nazionale, dal 26 al 30 dicembre al Teatro Civico 14, "Questione di un attimo", nuovo lavoro del drammaturgo campano Emanuele Tirelli. Il testo affronta temati che hanno una forte implicazione con la nostra realtà quotidiana, raccontando con profondo realismo l’universo del precariato e gli oscuri ambienti della criminalità organizzata. Affidato alla regia di Roberto Solofria e all’interpretazione di Antimo Navarra, "Questione di un attimo" è la storia del giornalista Francesco Miniato, delle difficoltà del suo mestiere e delle ripercussioni sulla sua vita privata. Abbiamo posto alcune domande al regista Roberto Solofria e all'autore Emanuele Tirelli.
R. C.: La storia di Francesco Miniato è quella di un giornalista come
tanti, al quale capita tra le mani una notizia importante, ma scomoda.
Raccontaci il perché della decisione di raccontare questa storia.
Emanuele Tirelli: Quando la compagnia Mutamenti mi ha chiesto di scrivere
un monologo che affrontasse una tematica sociale e civile, ci siamo orientati
sul riciclaggio. Inizialmente ho immaginato di inserire la figura del
giornalista come uno strumento. Attraverso questo personaggio avrei avuto la
possibilità di affrontare l'argomento e dargli una certa sostanza. Poi qualcosa
ha preso il sopravvento e ha reclamato attenzione. La figura del giornalista si
prestava alla possibilità di raccontare il suo mondo e le difficoltà del suo
mestiere. La mia esperienza, quella di molti colleghi che continuano a fare
questo lavoro quotidianamente e di chi invece si è dedicato completamente ad
altro, mi hanno dato la possibilità di disegnare un quadro piuttosto sincero.
Allo stesso tempo, scrivere di riciclaggio e di giornalismo mi ha indirizzato su
altre forme di camorre quotidiane messe in atto non solo dalla criminalità
organizzata, ma anche e soprattutto da cittadini pubblici e privati.
R. C.: Quanto è difficile fare il giornalista, scrivere, in terra di
camorra?
E. T.: Fare il giornalista è difficile, indipendentemente dalla camorra
che identifichiamo come criminalità organizzata. Il testo e la stessa
messinscena non sono ambientati in Campania e in nessun luogo specifico.
Raccontano un comportamento più e meno diffuso. Il protagonista di questa pièce
incrocia la camorra, ma forse non è la criminalità organizzata l'ostacolo più
grande per il suo lavoro.
R.C.: Non è la prima volta che affronti, nei tuoi spettacoli,
questioni vicine alle tematiche di camorra, criminalità organizzata, e della
fatale coincidenza che obbliga chi nasce nelle nostre terre a convivere con
queste realtà. Sono sicuramente tematiche che senti molto vicine, che reputi
importanti. Qual è stato il tuo approccio alla sceneggiatura e in che modo hai
deciso di raccontare la storia del giovane giornalista Francesco Miniato? Come
si può raccontare l'atroce lotta interiore che vive qualsiasi persona onesta che
abiti la nostra terra: quella lotta tra la voglia di riscatto e di fuga, e il
dovere morale di denunciare e raccontare?
Roberto Solofria: Effettivamente la mia attenzione maggiore è per testi
che in qualche modo raccontano di cose che ci sono vicine, che ci riguardano.
Leggo tanto, ma poi mi rendo conto che la mia voglia è quella di raccontare
storie che se pure non ci toccano, ci sfiorano, respiriamo quotidianamente, e
ovviamente non parlo solo della criminalità organizzata o dei rifiuti tossici.
Credo sia un po' nostro dovere morale parlarne, dovrebbe essere dovere morale di
tutti, anche di chi non fa questo lavoro. Il testo di Tirelli affronta più temi,
c'è la storia di Francesco, il giornalista, che per campare deve fare un secondo
lavoro, c'è la storia del centro commerciale abusivo nel pieno centro della
città, c'è il racconto della mia città e della mentalità camorristica che è un
po' in tutti noi, chi meno e chi più. Con Antimo Navarra abbiamo lavorato ai
tagli, per rendere lo spettacolo più asciutto, e poi ci siamo dedicati a trovare
una caratteristica al protagonista, che fosse una persona comune, normale, il
classico vicino di casa. La lotta interiore di ciascuno di noi la si racconta
così, con semplicità, con storie apparentemente semplici che fanno parte della
quotidianità. Fino a quando ci riusciremo, saremo ben felici di poterlo fare, ma
non credo che riusciremo ancora per molto; la mancanza di coscienza culturale da
parte di chi dovrebbe aiutare, sostenere, realtà come la nostra ci mette un po'
con le spalle al muro, ed essendo questa una situazione che perdura da troppo
tempo, siamo arrivati alla frutta, stanno davvero per vincere loro, quegli
amministratori che si nascondono dietro pacchiani festival cittadini e finti
amuleti portafortuna formato gigante, degli amministratori della cultura che
davvero non sanno fare il loro mestiere pur pensando di essere i migliori del
mondo. Di questo poi, se vuoi, ne parliamo in un altro momento.