Peppe o’Blues

Shaolin Temple Defender

Warm Gun

Charlie Musselwhite

 

Baia Domizia Blues Festival.. Il Blues si nutre al sud!

Baia Domizia (ce), 16 e 17 luglio 2011

Articolo di Rossella Barsali, foto di Alfredo Buonanno

16 luglio 2011
“Siamo contenti di vedere stasera tanta simpatica gente. Un caldo saluto in particolare ai rappresentanti della legge di questo stato, che hanno deciso di unirsi a noi qui, nella sala più grande del Palace Hotel. Ci auguriamo che troviate lo show di vostro gradimento; e ricordatevi, gente, che chiunque siate e qualunque lavoro facciate per tirare avanti a sopravvivere, c'è sempre qualcosa che ci rende tutti simili: voi, me, loro, tutti quanti. Tutti quanti.”
Elwood Blues (Dan Aykroyd)
dal film "The Blues Brothers" di John Landis

Baia Domizia, Sud. Dune, canneti mossi dal vento, mare, foce del Garigliano. Irresistibile richiamo, per chi conosce la fatica di vivere al Sud. Gambe stese, in relax davanti ad una birra, Peppe o’Blues, intro della VI edizione del BDB Festival, mi confida di essere fuggito dall’Inghilterra dopo 5 anni, perché il blues si suona anche al Nord, ma si nutre al Sud. E’ uomo di rara umiltà e signorilità, fermentata dal vissuto, di profonde radici, ma questo lo sapevo già. Io, noi, tutti quanti, abbiamo cominciato a intuirlo dai primi attacchi delle 12 battute della sua Fender Strato sormontati dal suo poderoso blues slang, accattivante e compatto, nonostante fosse senza la sua abituale band (Hell’s Cobra Blues Band). Quaranta minuti di puro rock blues tutti d’un fiato, con citazioni dal blues classico, (Everyday I Have The Blues) al rock (Hey Joe) al punk d’annata (God Save The Queen). Peppe scende tra la folla, coinvolge il pubblico, offrendo un assist ineccepibile per il main artist della serata.

Gli Shaolin Temple Defender calcano un palco già arroventato e trascinano il pubblico nelle atmosfere tipiche del soul funk anni 70, di marca Stax e Motown. La band, sette elementi, spinge con una sezione ritmica potente e puntuale, sostenendo una sezione fiati protagonista per arrangiamenti scintillanti ed eclettici, con la sorpresa di un flauto traverso suonato dal polistrumentista Cedric Lacaze (anche all’organo ed alla chitarra). Lo spessore sonoro così congegnato dalla band è perfetto per il canto limpido di Emmanuel Guerin aka The Lion Of Bordeaux, ancora acerbo, ma con in nuce i richiami dei suoi grandi, indubbi maestri: J.Brown, A. Green, O. Redding. Spettacolo vintage, ricco di citazioni stilistiche musicali e non solo. La gaiezza guascona del piccolo Acquitano è un crescendo scoppiettante, un gioco in bassorilievo col resto della band, che conquista me, noi, tutti quanti, chiudendo in bellezza e brio la prima serata.

17 luglio 2011
Keep your eyes on the road, your hands upon the wheel
Keep your eyes on the road, your hands upon the wheel
Yeah, we're goin' to the Roadhouse
Gonna have a real
Good time
(Roadhouse Blues, The Doors)

Bisogna avere suole consumate e storie da dire, quando si fa blues. Andare alle radici. E anche saper tacere, tanto la musica fa già da sé. Bisogna avere anni alle spalle e sulle spalle, e rughe e sorrisi. E sguardi tormentati ma limpidi. Ecco il motivo dell’accoppiata Warm Gun – Charlie Musselwhite: storie da suonare.
I Warm Gun introducono senza alcun fronzolo la serata speciale, quella del “mito” Musselwhite, spalancando da subito il torrido portone del blues. La Gibson di F. Ghidelli deborda dai consueti canoni blues, avventurandosi nello swing più primitivo, con improvvise sterzate country-rock, ed è perciò estremamente blues. Max Pieri si destreggia tra basso e voce, con istintiva propensione verso le quattro corde, arrampicato su riff ossessivi senza compromessi, mentre JP Franco ai tamburi tiene le briglie, senza farci rimpiangere la vecchia stomp box, così scenografica, ma non più sufficiente. Solo una cover, in onore di Baia Domizia: “Summertime” , in versione briosa come nessuno di noi tutti l’aveva mai ascoltata. Generosamente, sacrificano il finale col botto, proponendo Blues Virus (omonima dell’ultimo lavoro), che è più un’intro per il main artist che una chiusura concerto per loro.

Charlie Musselwhite, ovvero la leggenda bianca dell’armonica. Lo sguardo limpido, rughe e sorrisi. Io, noi, tutti quanti rapiti dalla sua armonica incantatrice, inseguendolo tra vecchi e nuovi successi, finanche tollerando il suo chitarrista M. Stabbs che svolgeva le variazioni sul tema come da impegno contrattuale! Bravo, certo, con un suono Gibson accattivante, ma… per il blues ci vogliono le rughe nell’anima ed i sorrisi, e lui è sguarnito di entrambi! Ottima la sezione ritmica, con June Core alla batteria e soprattutto con il prorompente Mike Phillips al basso.
Mr Musselwhite soffia nelle armoniche, indugiando su note piegate all’inverosimile. E’, il suo, un suono abrasivo che attraversa l’anima, inalterato dagli anni ‘50 ad oggi . I riff all’unisono con la chitarra, pur avendo la lunghezza degli assoli, seducono; e la voce lievemente monocorde, ma non per questo meno fascinosa, col suo timbro baritonale, a tratti cavernoso che intona una pietra miliare come Christo Redemptor, proposta come bis, lascia me, noi, e tutti quanti senza parole a percepire le proprie emozioni.
Sud… lussureggiante, misterioso, torrido… tutti i Sud si somigliano, e hanno lo stesso ritmo. Il Blues.
Baia Domizia, Sud.

Consulta: VI Baia Domizia Blues Festival

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