Goran Bregovic & Wedding and Funeral Band in concerto per "I magnifici 7"
Maddaloni (CE), 3 gennaio 2010
Articolo di Giuseppe Vuolo
Maddaloni (CE), 3 gennaio 2010. Grande, grandissimo, immenso Goran
Bregovic. La sensazione, una volta che lui e la sua Wedding and Funeral Band
hanno lasciato il palco del Convitto, è di aver assistito a qualcosa non
solo di assolutamente nuovo per queste parti, ma soprattutto di veramente
“altro”, qualcosa che ti apre letteralmente la mente e smuove liberatorio il
corpo. Un’emozione che non ti aspettavi di provare, non così intensa.
Se qualche tempo fa qualche sconsiderato avesse detto ad alta voce che Goran
Bregovic avrebbe un giorno suonato a Maddaloni, chi lo ascoltava avrebbe
riso di gusto, tanto appariva stridente il contrasto tra la Città e il
compositore osannato e pluripremiato a livello internazionale. Incredibile
ma vero, domenica sera era lì, per la rassegna “I magnifici sette”, sul
piccolo palco del Convitto Nazionale “G. Bruno”, cornice suggestiva come
poche, a commuovere ed esaltare la folla che riempiva quasi interamente il
Salone. Un pubblico un po’ schiacciato, ma felice, anche e soprattutto
quelli che sono entrati per il rotto della cuffia: sono stati i primi ad
intuire che stare in piedi avrebbe reso molto più godibile lo spettacolo.
C’è voluta un bel po’ di pazienza per destreggiarsi nella folla
(intrappolata in mezzo alla gente che attendeva di entrare, una signora ha
detto ai suoi amici: “Credetemi, io adesso non sto camminando: mi stanno
portando”, prima di essere risucchiata nell’imbuto dell’ingresso), ma alla
fine ne è valsa veramente la pena. Di fronte a questo fiume di persone, gli
organizzatori e la Protezione Civile (non c’era polizia né vigili) hanno
deciso di correre il rischio di creare una situazione ai limiti della
controllabilità, scelta tecnicamente assai azzardata, ma alla fine, per
fortuna, non è stato necessario intervenire (anche grazie allo stesso
Bregovic che ha raccomandato, all’inizio del bis, di non farsi male).
Gli spettatori continuavano ad entrare anche quando la piccola orchestra ha
attaccato i primi pezzi. In mezzo c’era lui, l’autore delle musiche delle
più apprezzate opere di Emir Kusturica (“Il tempo dei gitani”, “Arizona
dream”, “Underground”), senza dimenticare altri film come “Train de vie” e
“La regina Margot”. Goran Bregovic si presenta: parla un buon italiano,
indossa il suo consueto smoking bianco (così diverso dalla mise dei suoi
musicisti: chi in smoking nero, chi con abiti tradizionali, chi casual),
suona seduto con le gambe divaricate. A volte, prima dei brani, aspetta il
silenzio che il pubblico non riesce a dargli. Quasi sempre alza la mano
destra ad indicare agli orchestrali il momento dell’attacco.
È allora che è partita la musica, questa musica che ti entra nelle vene come
le radici affondano nella terra. Gli ottoni e la grancassa si sono dati
molto da fare, hanno trascinato nelle danze anche gli spettatori più timidi
o austeri. La temperatura (non solo nel senso dell’euforia, ma proprio
quella dell’ambiente) è salita sempre di più, fino a quando, nell’ultima ora
di spettacolo, tutto il Salone saltellava come se fosse al Concerto del
Primo Maggio. I titoli delle canzoni – “Maki maki”, “Prawy do lewego”, “So
nevo si”, “Ringe ringe raja”, tra le tante – potrebbero non dire niente, ma
le citiamo lo stesso per chi voglia rintracciarle per avvicinarsi a questo
genere musicale.
A distendere gli animi (e le preoccupazioni della Protezione Civile), ci
sono stati anche brani di segno opposto, segnati da toni a volte cupi
(sottolineati dai cori maschili e da ottoni dal suono lungo e pesante), a
volte di un lirismo e di una dolcezza infiniti; due su tutti: per il
lirismo, la bellissima “Dream”, brano strumentale tratto dalla colonna
sonora di “Arizona dream”, con una vaga eco morriconiana, che il pubblico ha
seguito col fiato sospeso (notevole performance della voce femminile
solista); per la dolcezza, “In the death car”, altro pezzo tratto da
“Arizona dream”, con testo inglese scritto dal cantante Iggy Pop, il cui
ritornello ha incantato gli spettatori spingendoli ad ondeggiare e cantare
sottovoce con Bregovic e i suoi musicisti.
Ma il gran finale è riservato a pezzi più veloci, veri e propri cavalli di
battaglia, come “Kalashnikov” (anche questo composto per un film,
“Underground”). Bregovic scherza col pubblico, lo invita a cantare con lui,
addirittura a un certo punto gli chiede, al suo 4, di gridare
“All’attacco!”, e contemporaneamente chiede al suo trombettista di suonare
la carica… introduce l’ultimo pezzo della serata, l’ultimo entusiasmante
acuto di un’esibizione che può definirsi, in una parola, storica per questa
Città.
Un’ultima nota nient’affatto da dimenticare: la rassegna “I magnifici sette”
curata dal Maestro Areni si prefigge di trovare “il meraviglioso di Terra di
Lavoro”. Ebbene, a giudicare dai commenti ascoltati all’entrata del Salone
(“Ma quest’affresco è bellissimo!”… anche se si tratta, in realtà, di una
tela, realizzata da Giovanni Funaro nel 1756), si può dire che, sì, anche
stavolta “il meraviglioso” è stato trovato, e si è tornati a casa con una
meraviglia in più.
Consulta: Rassegna "I
Magnifici sette"