Teano Jazz: Mingus Dinasty
Teano (CE), 3 Luglio 2009
Articolo e foto di Gero Mannella
Teano (CE), 3 Luglio. Ancora per una sera il Teano Jazz ha
rinunciato causa meteo all'ammaliante scenario del Loggione del Museo
Archeologico per l'Auditorium Diocesano, uno scrigno oltremodo confortevole,
dall'ottima acustica, congeniale agli audiofili.
Le vibrazioni degne del contesto provenivano da un'accolita di nuove e
consolidate leve del bop americano raccolte sotto l'aulica insegna di Mingus
Dinasty.
Il progetto che prende il nome dal più celebrato bassista-compositore della
storia del jazz decollò all'indomani della sua dipartita, nel 1979 (non a
caso la scelta della direzione artistica del Teano Jazz mirava a celebrarne
il trentennale) ed ha annoverato negli anni nell'organico personaggi del
calibro di Dennie Richmond (l'ultimo fido drummer del maestro), Clifford
Jordan, Charlie Haden, George Adams, Don Pullen, Jaki Byard, Randy Brecker,
Reggie Workman.
L'ultima evoluzione del progetto non muove solo dalle ceneri del bop ma
anche dalle macerie del muro di Berlino, dacché due colonne portanti, il
bassista e spokeman Boris Kozlov, e il trombettista Alex Sipiagin, di solide
radici sovietiche, hanno sposato la causa afroamericana.
Nell'ensemble anche il decano trombonista Frank Lacy, dagli illustri
trascorsi in bilico tra avantgarde e mainstream, testimoniata anche da una
eccellente performance da vocalist, le ance di Craig Handy, dagli esordi
marsaliani, e Wayne Escoffery, giovane leone di impronta shorteriana, nonché
il drum di Donald Edwards ed il piano di Orrin Evans, dagli ascendenti
monkiani.
Il repertorio è quello canonico della tradizione mingusiana. Si inizia da "Fables
of Faubus", pietra miliare delle protest songs, tratta dal celebrato Mingus
Ah Hum, di cui cade il cinquantenario, dove viene subito fuori il registro
del sarcasmo, della citazione fuori le righe, e si attraversa poi lo swing
goliardico di "Ah's Flat Too", per poi aprire uno squarcio di riflessione
sul recitativo di Lacy in "Lord of Lords". Ritorna il caratteristico impasto
brass straniante, quasi un marchio di fabbrica del mingusismo, in "Remember
Rockefeller at Attica", in cui Handy tira fuori un intenso inciso al flauto.
Il pezzo successivo è introdotto da un asolo strappa-applausi di Kozlov a
cui fa seguito la collaudata alchimia dei fiati, col fraseggio sdrucciolo
del superbo Sipiagin.
"Goodbye Pork Pie Hat" è una commemorazione nella commemorazione: scritto da
Mingus in morte di Lester Young, fu ripreso da Joni Mitchell in "Mingus"
alla morte del nostro eroe. E' uno dei momenti di lirismo, altro registro
prediletto da Mingus, a far da contraltare al sarcasmo scettico del "beneath
the underdog", in cui ancora una volta la voce di Lacy sale al proscenio.
Si chiude con Three or Four Shades of Blues, dall'omonimo album testamento.
Uscendo trafelati rimane un'eco compulsiva di swing, armonia, divertimento.
E si è colti da una certa irrequietezza motoria.
Lo chiamano jazz. Una nuova bella pagina scritta a Teano.
consulta:
Teano Jazz Festival XVII edizione