Aversa, 19 Gennaio, Teatro Cimarosa. Quarto appuntamento della seconda
edizione di Incroci Sonori, rassegna di musica jazz che, con cadenza mensile,
anima le serate musicali della provincia di Caserta. Stasera in scena al Teatro
Cimarosa il Kevin Hays Trio, formazione che continua a riscuotere un grande
successo di pubblico e critica a seguito della pubblicazione, nel 2006, del
disco di standard For Heaven Sake.
Leader del gruppo è naturalmente Kevin Hays, giovane pianista americano che
vanta collaborazioni con Roy Haynes, Joe Henderson, Joshua Redman, Sonny
Rollins, John Scofield, e che dimostra fin dalle prime note che la fama
internazionale è ben meritata. Infatti, a parte il suono sconfortante
(inizialmente l’assenza di bassi rende il piano una sorta di clavicembalo, poi
la situazione migliora, ma forse è solo assuefazione), Kevin Hays dà subito
prova di un’eccellente tecnica pianistica e di una singolare capacità
espressiva soprattutto come solista. Propone assoli costruiti con frasi
frammentate e concise, piene zeppe di quelle che Davis chiamava “note
difficili”, ma sempre con un grande gusto melodico e con uno spiccato senso
ritmico. Colpisce in particolare per la sapienza armonica e soprattutto per la
capacità di creare, attraverso un accorto uso delle dinamiche, atmosfere calde
ed avvolgenti, quasi ipnotiche. L’unica pecca è forse la ridondanza e
l’eccessiva lunghezza degli assoli, ma si sa: i pianisti son fatti così, appena
possono ne approfittano, bisogna avere pazienza!
Sicuramente di pazienza ne ha molta il contrabbassista Doug Weiss, il quale
aspetta diligentemente il suo turno per dar vita ad assoli molto melodici e
cantabili che però non sembrano incontrare l’apprezzamento del pubblico.
Probabilmente molti in platea ricordano ancora John Hebert, il virtuosissimo
contrabbassista di Adam Kolker salito su questo palco un mese fa, con cui il
confronto in questo caso è davvero schiacciante.
Un capitolo a parte meriterebbe il batterista Bill Stewart, noto ai più
soprattutto per le sue collaborazioni con John Scofield e Pat Metheny nel
mitico trio completato da Larry Grenadier al contrabbasso. Oltre ad avere
un’eccellente tecnica strumentale, Bill Stewart è infatti un vero e proprio
vulcano di idee, un musicista poliedrico ed effervescente che riesce a tirar
fuori dal suo set minimale un gamma di ritmi, suoni e timbri assolutamente
incredibile. Tutto ciò senza mai essere eccessivo, ma sempre mettendosi al
servizio delle esigenze espressive del gruppo nel suo complesso. Infatti, al di
là della bravura dei singoli strumentisti, ciò che colpisce di questo trio è
l’attitudine naturale all’interplay, l’abilità nel coinvolgere il pubblico e
soprattutto la capacità di esprimere uno stile ed un linguaggio proprio,
distintivo ed originale. La dimostrazione insomma che a volte, per guardare al
futuro, non è necessario essere brutalmente innovativi, ma basta avere l’umiltà
di appoggiarsi saldamente sulle spalle dei giganti del passato.
P.S.: Per chi fosse interessato alle problematiche connesse al rapporto tra
discografia tradizionale e nuove tecnologie, ed alle relative soluzioni,
segnalo il sito dell’Artistshare (www.artistshare.com), casa di produzione con cui il Kevin Hays Trio è in
procinto di pubblicare il suo prossimo album.
P.P.S.: Domandina impertinente: perchè organizzare una rassegna jazz così
corposa e con nomi di tale rilievo internazionale per poi non pubblicizzarla e
lasciar che sia seguita solo da un ristretto gruppo di appassionati? Io non
trovo una risposta, e voi?
consulta: Incroci sonori
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