Caserta, 17 Marzo 2006 – Le otto di sera. Circondato da una folla di ammiratori,
Ian Paice, batterista dei Deep Purple e da quarant’anni una delle icone viventi del Rock, si concede alle domande dei tanti rock-dipendenti accorsi al “C’era una volta in America” di Caserta. In piedi sul palco, alle spalle due batterie e gli strumenti pronti per il concerto che terrà poco più tardi con la band casertana “the Stage”, Ian saluta, fa un breve assolo sulla batteria, poi si alza e dice: “Avete qualche domanda da fare sulla mia musica, o sulle persone con cui ho suonato?”.
I tanti musicisti casertani e non, che pendevano dalle sue labbra, non se lo
sono fatto ripetere due volte... Potete immaginare quante cose può raccontare chi ha suonato per oltre quarant’anni col gotha della musica rock mondiale, sia con i Deep Purple con cui è tutt’ora in tour mondiale, che con Paul McCartney,
George Harrison, David Gilmour, Joe Satriani, Steve Vai, ed un elenco impressionante di altre star.
The Stage, una delle migliori cover-band dei Deep Purple in Italia, grazie all’incessante lavoro del loro front man
Amedeo Fosso, sono riusciti a coronare un sogno personale e a regalare una serata indimenticabile ai tanti tifosi dei Deep Purple accorsi a Caserta da tutto il Sud Italia (Sicilia inclusa) per incontrare Ian Paice, cinquantasettenne
anni molto ben portati, in un incontro - seminario e un concerto con gli stessi
Stage.
Prima del concerto
"Parlaci dei tuoi compagni" gli chiede un ragazzo
porgendogli la copertina di “In Rock”, disco pubblicato nel lontano 1970 e
tuttora considerato una delle pietre miliari della musica hard rock.
“Beh iniziamo da lui” risponde divertito, indicando il volto di Ian Gillan
“E’ completamente matto. Ma in sua difesa devo dire che è sempre stato
matto, oggi come trent’anni fa. Quest’altro invece…” ed indica
Roger Glover “all’epoca era un hippy, e ha tutt’oggi la stessa
attitudine, sia come pensa che come veste ed agisce. Quest’altro sono io, un
ragazzino di 23 anni, ma quasi non mi riconosco, col tempo sono cambiato e i
miei interessi si sono molto estesi. Invece
John Lord è ancora il grande signore che era trent’anni fa, ha
sempre amato la musica classica e per tanti anni ha fatto convivere
meravigliosamente rock e musica classica con la band. Da un po’ di anni la
sua passione per la classica ha preso il sopravvento, e per questo sta
lavorando in un’altra direzione da solo. Quest’altro qui invece“ dice
indicando
Ritchie Blackmore “ha sempre avuto dei problemi dentro di se, ma ha
lavorato con molta determinazione per la nostra band. Sono più di dieci anni
che non lo vedo, spero che abbia raggiunto la pace interiore”
Quanto tempo dedichi allo studio?
“Non ho mai avuto il tempo di studiare davvero. A 15 anni ho avuto la mia
prima batteria, a 17 suonavo professionalmente in vari gruppi, e avevo un
concerto pressochè ogni giorno. A diciannove sono entrato dei Deep Purple e l’impegno
richiesto era totale. La mia carriera in pratica si è decisa in pochissimo
tempo da quando avevo deciso di suonare, in soli quattro anni, e il tempo di
studiare non c’è stato. Ho però sempre osservato molto, e chiunque, anche i
ragazzini di tredici anni. Tutti hanno qualcosa di buono, da cui poter imparare
anche una piccola cosa. Sono in costante osservazione di ciò che può essere
una buona idea, e di farla mia.”
Può un batterista suonare rock anche se è jazzista, e viceversa?
“Bella domanda, un eterno dilemma. Si dovrebbe saper suonare di tutto, ma poi
in pratica è necessario compiere una scelta ed approfondire uno dei due stili”
Quali batteristi hai amato ai tuoi esordi, e quali sono quelli attuali che pensi siano i migliori?
Da ragazzo amavo Ginger Baker, Jim Capaldi, John Bonham. I batteristi di oggi
hanno una tecnica invidiabile, e su quella non intendo assolutamente competere.
Quello che noi potevamo permetterci di avere era il feeling: potevi al primo
ascolto riconoscere chi era il batterista in un disco, il tocco di Ginger
Baker, Bonham, Ringo Starr etc erano inconfondibili. In questi anni invece sono
tutti tecnicamente bravissimi, ma sono costretti a seguire un click, e quindi
il tempo in realtà è portato da una macchina. In pratica mi è quasi
impossibile distinguere un batterista da un altro.
Quali sensazioni hai provato ascoltando per la prima volta John Bonham?
Conoscevo Bonham da anni prima che suonasse nei Led Zeppelin. L’ho visto la
prima volta in un piccolo club, un posto grande la metà di questo in cui ci
troviamo stasera. C’era questo gruppo sul palco, uno di loro diede l’attacco
‘uno due tre quattro’ e poi BBBANG! Attaccò a suonare John Bonham e si
sentiva solo la sua batteria, gli altri sembrava che lo accompagnassero. Eppure
non suonava a volume alto, semplicemente aveva una tale grinta e
determinazione, ed anche un fisico molto robusto, che in pratica il resto della
band sembrava semplicemente scomparire.
Come è cambiato il vostro modo di fare musica negli anni?
Da giovane concentri il cento per cento della tua energia esclusivamente per
far crescere la tua band. Man mano che si cresce, si iniziano a conoscere ed
amare tante altre cose, non necessariamente musicali, e la musica che fai
riflette anche questi tuoi nuovi interessi.
Quale consiglio dai ai gruppi per poter emergere nel mercato attuale?
Nessuno può saperlo. Se esistesse il consiglio giusto, tutti avrebbero
successo! Penso che nessuno deve fare musica per soldi ma per divertirsi,
perchè con l'attuale situazione della discografia è difficile trasformare
questa in una attività redditizia. L’atteggiamento delle case discografiche
di oggi è molto differente da quello di quando ho iniziato io. Negli anni 60 e
70 i discografici davano agli artisti la massima libertà, e sono nati i nomi
che sono miti ancora oggi, Beatles, Zeppelin, Deep Purple, Pink Floyd, Jethro
Tull eccetera. I discografici guadagnarono un sacco di soldi. Dopo qualche anno
i discografici pretendevano di conoscere i gusti del pubblico, e di forzare i
musicisti a fare il tipo di musica che loro pretendevano si sarebbe venduta.
Nelle case discografiche gli esperti ed appassionati di musica sono stati
progressivamente allontanati, ed oggi sono sostituiti da una sorta di impiegati
e ragionieri, con i risultati che conoscete.
Alla fine della discussione, Ian Paice invita sul palco il batterista degli Stage, Pat Buonaiuto, per un sanguigno
duo di batteria con cui si è conclusa la prima parte della serata.
Nella breve pausa tra il seminario e il concerto, il pubblico ha iniziato ad affollare ulteriormente il locale.
Con grande gentilezza Ian Paice ci concede una intervista in esclusiva a noi di
casertamusica (per leggerla clicca
qui).
Il concerto
Sono le nove e trenta. L’ambiente è ideale per il grande evento: quattro cineprese trasmettono il concerto su un maxi schermo alla destra del palco, il pubblico è affacciato dalle balconate.
Tocca ai the Stage aprire alla grande il concerto con “Burn” (Amedeo Fosso mi racconta che Ian Paice ha preferito non suonarla perché “non la suono da molto tempo e non la ricordo bene”!) quindi Fire in the basement, You keep on moving, e What’s goin’ on here. Gli Stage sono compatti, sfoderano un ottimo connubio di tecnica e feeling che subito entusiasma il pubblico,
nonostante Paice ancora non sia salito sul palco.
Dopi i primi quattro brani, l'icona casertana del rock'n'roll Agostino "Jim Gas" Santoro,
vestito da improbabile "londinese" con tanto di bombetta e una giacca
puntellata da innumerevoli spille, in veste di gran cerimoniere invita
con la consueta ironia la star della serata: “Tanti anni fa comprai con degli amici un biglietto per un concerto dei Deep Purple a Napoli. Quando arrivammo lì scoprimmo che il concerto era stato annullato, ci dissero che il gruppo non era riuscito a prendere l’aereo. Insomma, fu una grande fregatura. Stasera è qui una delle persone che ci tirò questa grande sòla, e mi tocca pure presentarla! Ladies and Gentlemen,
ecco a voi Ian Paice!”. Tra entusiasti incitamenti
Silvio Lutti, Franco Maria Manna e Stefano di Costanzo sono precisi e interagiscono perfettamente con Paice, mentre
Amedeo Fosso mostra la grinta giusta alla voce. In poco più di un’ora ci sfilano davanti i brani caposaldo della musica rock, suonata da uno dei suoi protagonisti: Highway Star, Hush, Lazy, Speed King, Perfect Strangers, Wasted Sunsets, Knoking at your back door, Stormbringer, Black Night, e la granitica Smoke on the water.
Gli Stage e Ian suonano come se avessero provato insieme molte volte “e invece abbiamo avuto giusto il tempo di provare un paio di brani durante il sound check – mi confermerà il lead singer Amedeo durante la cena con Paice, con cui abbiamo avuto l’onore di condividere il tavolo – Conosciamo molto bene anche le versioni dal vivo dei brani, e avere Ian alle spalle che suona con noi è stato stranamente naturale, come se stessimo suonando appresso al disco originale. Ian è poi molto chiaro nell’indicare passaggi e conclusioni, per noi è stato molto facile seguirlo”. Negli ultimi due brani si unisce anche il batterista
Pat Buonaiuto e un lungo assolo delle due batterie scatena l’entusiasmo dei fan. “Grazie e arrivederci
all’anno prossimo” è il saluto al pubblico di Amedeo, ed anche noi ci auguriamo che l’evento si ripeta nuovamente.
“La preparazione di questo concerto mi ha distrutto – mi confida più tardi Amedeo – ma ne è valsa la pena.” Amedeo ringrazia per il supporto Angelo Rivetti e Peppe Rienzo, rispettivamente proprietario ed art director del
"C’era una volta in America", e Stefano Serrafinelli del sito www.deep-purple.it. “Vorrei infine spezzare una lancia in favore di tutte le cover band come la nostra. Alcuni ci hanno criticato perché eseguiamo brani dei Deep Purple e non composti da noi. Ma io penso che anche le orchestre classiche in fondo eseguono cover di Bach, Beethoven e Mozart. Io penso, e non sono il solo, che i brani dei Deep Purple siano dei classici, e che chi li esegue come si deve ha dignità artistica e tecnica”.
Non possiamo che essere pienamente d’accordo.
Leggi anche: Intervista
esclusiva a Ian Paice
Note su Jan Paice
Ian Paice è inglese ed è uno dei più grandi batteristi rock viventi,
membro fondatore dei Deep Purple di cui è tuttora il batterista.
Paice si può definire il padre della moderna batteria rock, fondamentali nella
storia del rock sono i dischi “In Rock”, “Machine Head”, “e il celeberrimo e
vendutissimo “Made in Japan”. Oltre che con i DP, ha suonato con altre band tra
cui Whitesnake e Gary Moore; non ha mai vissuto di rendita e lo lo ricordiamo
nel 1999 nel disco
dell’ex Beatles, Paul McCartney “Run Devil Run” a fianco di David Gilmour dei
Pink Floyd.
Nel 2001 ha suonato con i Deep Purple al “Pavarotti & Friends” a Modena.
Attualmente è in tour con i Deep Purple negli USA e Europa.
Paice ha molti amici in Italia e spesso tiene dei concerti con gruppi locali
oltre a dei veri e propri seminari di batteria.
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