Teatro Ricciardi: stagione 2021-22
Capua (CE) – dal 19 Novembre 2021 all'8 Marzo 2022
Comunicato stampa
Stagione teatrale 2021/22, Teatro Ricciardi, Largo Porta
Napoli, Capua
Venerdì 19 novembre, "Resilienza 3.0" scritto
e diretto da Massimiliano Gallo
Comiche istruzioni per risorgere da un
disastro
con (in o. a.) Pina Giarmanà, Shalana Santana, Arduino Speranza,
Mimmo Napolitano, pianoforte e arrangiamenti, Davide Costagliola, contrabbasso,
Giuseppe Di Colandrea, sax/clarinetto
Massimiliano Gallo torna in scena dopo
il periodo più strano, problematico, difficile dei nostri tempi. Lo fa con il
suo stile, la sua ironia soprattutto convinto che si possa raccontare questo
momento tremendo attraverso una comica riflessione dei fatti, a volte poetica e
sempre pungente.
Il pubblico rivivrà insieme a Gallo i momenti della
quarantena: le paure, la noia, l’immobilità, la voglia di evadere, le lezioni on
line, la palestra fatta in casa, in una condivisione problematica e a volte
drammaticamente comica degli spazi vitali.
Eri abituato a vivere la casa, tua
moglie, per poche ore al giorno, cosa succede se le ore diventano ventiquattro?
Le domande a cui non davi risposta, la fretta, la velocità, erano complici
ideali della superficialità con la quale vivevi. Il Covid 19 è stato drammatico
anche per questo, una lente di ingrandimento che ha messo a nudo i nostri
difetti.
I selfie fatti negli angoli più disparati dell’appartamento, la
privacy inesistente nelle famiglie più numerose, la quarantena in 60 metri di
casa.
Totò diceva che “la morte è una livella”, non è così per la quarantena:
quella fatta a Posillipo non è stata la stessa quarantena di quella passata in
un basso.
I selfie non sono stati uguali per tutti!
In scena con lui i
compagni di sempre Shalana Santana e Pina Giarmanà, accompagnati dal Maestro
Mimmo Napolitano al pianoforte, Davide Costagliola al contrabbasso e Giuseppe Di
Colandrea al clarion.
La formazione che aveva già portato in scena Resilienza
2.0, uno spettacolo di grande successo dello scorso anno.
Torniamo a ridere
allora, perché questo momento va esorcizzato con tanta ironia. Solo così
potremmo dire di essere tornati a vivere!
Mercoledì 1 dicembre,
Gitiesse Artisti Riuniti e Best Live presentano Geppy Gleijeses, Marisa Laurito,
Benedetto Casillo in "Così parlò Bellavista. Gold Edition"
adattamento
teatrale e regia Geppy Gleijeses dal film e dal romanzo di Luciano De Crescenzo
conmAntonella Cioli, Gigi De Luca, Vittorio Ciorcalo e Gianluca Ferrato
(Cazzaniga) e con Ludovica Turrini, Gregorio De Paola, Agostino Pannone, Walter
Cerrotta, Brunella De Feudis
scene Roberto Crea
musiche Claudio Mattone
costumi Gabriella Campagna
luci Luigi Ascione
Il dibattito che si è
sviluppato per merito de “il Mattino” sull’opera e la figura di Luciano De
Crescenzo, ha un leggero sapore “d’antan”, un po’ da cenacolo culturale anni
‘50, stile Giovannino Guareschi ,quando si discuteva sul livello di fascismo del
“Bertoldo” e di questo suo illustre collaboratore.
Luciano De Crescenzo (che
ha un vantaggio su Guareschi di circa 5 milioni di copie, avendo venduto 25
milioni di copie delle sue opere in 42 Paesi), ha però incontrato, per altri
versi, un destino analogo, a cui, se vogliamo essere onesti, ancora non sfugge.
”Che cos’ è” Luciano De Crescenzo è la domanda più pertinente, non “chi è”. Una
strana e anomala figura nel mondo della letteratura, della filosofia, del
cinema, della poesia; una figura che ha avuto ed ha troppo successo per essere
perdonata. Eppure lui, già nella prefazione alla prima edizione di “Così parlò
Bellavista”, forse presago dell’anatema di certa “intellighenzia”, così
scriveva: “guai a parlare di mare, di sole, e di cuore napoletano! Cominciando
da Malaparte e finendo a Luigi Compagnone, Anna Maria Ortese, Domenico Rea,
Raffaele La Capria, Vittorio Viviani e compagnia cantando, il desiderio di
togliere il trucco con il quale per tanti anni era stato imbellettato il volto
della nostra città ha fatto sì che insieme ai cosmetici è stata tolta forse
anche la pelle del viso di un popolo che, pur senza mandolini e chitarre
continuava in ogni caso ad avere una propria fisionomia caratteristica. “Quanto
sono vere queste parole e quanto poco gli sono state perdonate!
Io sono
cresciuto leggendo “Ferito a morte” di La Capria e “Il mare non bagna Napoli”
della Ortese, la prima parte che ho interpretato in una commedia in TV a 23 anni
con Lilla Brignone, Massimo Ranieri e Pupella Maggio in “In memoria di una
signora amica” è stata quella scritta pensando ad Antonio Ghirelli da Patroni
Griffi... Ma poi ho imparato che esistono altri grandi che hanno ritratto più
bonariamente delizie e vizi del nostro popolo, come Giuseppe Marotta, Salvatore
Di Giacomo, Ferdinando Russo e, per certi versi la Matilde Serao, de “Il ventre
di Napoli”.
E sono allievo di Eduardo De Filippo e Peppino Patroni Griffi, ma
non sono cieco. E, nel mio piccolo, so leggere e guardare. E dalle parole
profetiche della prefazione a Bellavista, passai poi a interpretare Giorgio, il
protagonista giovane di quel film, ma poi ho letto e approfondito l’opera di
Luciano.
Egli si definiva un divulgatore, nelle ultime interviste dice: “Io
non sono un filosofo, io ho copiato!” e nel nostro ultimo incontro, mentre
voleva inginocchiarsi perché portavamo “Bellavista” al San Carlo, mi disse: “No
Geppy, io non sono un poeta, sono un quasi poeta”.
Non è vero. Consiglio a
tutti di leggere o rileggere “il nano e l’infanta”, scritto e disegnato per
conquistare una donna quando aveva vent’ anni, opera di pura poesia, “Raffaele”,
“il Dubbio” che forse Luciano considerava la sua opera più amata, in cui tenta
di dare una risposta alle “grandi domande” sul Caso, la Necessità, l’ Entropia,
il Tempo e lo Spazio (e quasi ci riesce), “Oi dialogoi” in cui, tra sacro e
profano, contamina, con metodo platoniano, la speculazione filosofica con i
“fattarielli napoletani”, il capitolo dedicato per esempio a Cartesio, al Dubbio
e al “cogito ergo sum” nella sua splendida “Storia della filosofia moderna” e
infine (ma si potrebbe continuare a lungo) ripensate alla sua fondamentale
teoria dell’uomo d’amore e dell’uomo di libertà, elaborata in Così parlò
Bellavista.
Luciano, e mi perdonerà chi ha più titolo di me, per quanto mi
riguarda, e non credo di sbagliare, non è stato solo un divulgatore: È stato
filosofo sui generis, poeta, romanziere, regista, sceneggiatore, umorista,
attore, eccetera eccetera... Troppa roba per essere perdonati. O, come avrebbe
detto lui, “Troppa grazia Sant’Antonio!!
Sinceramente non pensavo ad
adattare, produrre (con Best Live di Alessandro Siani e Sonia Mormone), mettere
in scena e interpretare “Così parlò Bellavista”. Il ricordo di quel film è nella
memoria mia, e soprattutto della gente napoletana, indelebile e forse
intangibile.
C’era un solo modo limpido e affascinante per portarlo in
teatro.
Distaccarsi dal film e creare un’opera autonoma, specificamente
teatrale. E così nell’adattamento ci sono varie citazioni del romanzo, come ad
esempio il secondo “cenacolo” che si conclude con un concetto poetico e geniale,
degno del miglior Salvatore Di Giacomo.
Parlando delle case di Napoli legate
l’una all’altra dalle corde tese da palazzo a palazzo per stendere i panni ad
asciugare, scrive così: “Immaginate per un momento che il Padreterno volesse
portarsi in cielo una casa di Napoli. Con sua grande meraviglia si accorgerebbe
che piano piano tutte le altre case di Napoli, come se fossero un enorme Gran
pavese, se ne verrebbero dietro alla prima, una dietro l’altra, case, corde e
panni, canzone ‘e femmene e allucche ‘e guagliune...”
L’adattamento teatrale
che ho scritto, come dicevo, non è affatto una pedestre sbobinatura del film.
Chi sa di cinema e di teatro ci insegna che sono necessari codici di
comunicazione molto diversi. Lo spazio scenico a cui ho pensato e che Roberto
Crea ha splendidamente realizzato, ritrae il Palazzo dello Spagnolo, che con i
suoi incroci di scale e le sue prospettive diventa un luogo della mente.
Nella corte del palazzo, suddividendo a volte la scena in settori, si svolge
tutto il racconto, con il cenacolo, il tavolo dei pomodori, la trattoria, il
negozio di arredi sacri e via dicendo. Non avrei potuto condurre in porto questa
impresa senza attori straordinari come Marisa Laurito, deliziosa interprete che
è stata la migliore amica di Luciano (a questo fatto ci tiene assai!), Benedetto
Casillo, mitico Salvatore vice sostituto portiere. E delle musiche in parte
originali e in parte nuove del maestro Claudio Mattone.
Ah, dimenticavo:
Bellavista sarò io, perdonate l’ardire. Abbiamo voluto ambientare lo spettacolo
negli stessi anni del film e in realtà non abbiamo dovuto adeguare all’oggi
nemmeno una battuta. Come ci ha insegnato Luciano, dobbiamo avere fede: “Napoli,
con il suo spirito d’adattamento, è forse l’ultima speranza che ha il genere
umano per sopravvivere “.
I sentimenti nostri, quelli veri, quelli che
Luciano ha descritto, non sono cambiati e non cambieranno mai. Geppy Gleijeses
7 e 8 Dicembre, Teatro Diana Centro di Produzione Teatrale e Chi è di Scena
presentano "Napoletano? E famme ‘na pizza!"
Scritto, diretto ed interpretato
da Vincenzo Salemme con (in ordine alfabetico) Vincenzo Borrino, Sergio D’Auria,
Teresa Del Vecchio, Antonio Guerriero
scene e costumi Francesca Romana
Scudiero, musiche Antonio Boccia in collaborazione con Valeria Esposito per “Chi
è di scena s.r.l.”
“Napoletano? E famme ‘na pizza” è uno spettacolo che nasce
dal mio libro uscito con lo stesso titolo agli inizi di marzo. Titolo che fa
riferimento ad una battuta di una mia commedia teatrale, “E…. fuori nevica”,
nella quale uno dei personaggi chiede al fratello di dimostrare la sua presunta
napoletanità facendogli una pizza.
E sì, perché ogni buon napoletano deve
saper fare le pizze, deve saper cantare, deve essere sempre allegro, amare il
caffè bollente in tazza rovente, ogni napoletano che si rispetti deve essere
devoto a San Gennaro, tifare Napoli, amare il ragù di mamma’... e via così con
gli stereotipi che rischiano di rendere la vita di un napoletano più simile ad
una gabbia che ad un percorso libero e indipendente.
Tutte le città vivono
sulla propria pelle il peso degli stereotipi ma Napoli più di ogni altra. E,
molto spesso, sono i napoletani stessi a pretendere dai propri concittadini una
autenticità così ortodossa da rischiare l’integralismo culturale. Allora io con
questo spettacolo provo a capire, in chiave ironica, se sono un napoletano
autentico o un traditore dei sacri e inviolabili usi e costumi della nostra
terra.
Cominciando dalla confessione di un primo tradimento, una sorta di
peccato originale che rischierebbe di intaccare la mia immagine di attore comico
napoletano. Così, il più delle volte, mi definiscono quando mi presentano da
qualche parte.
Ed io, il più delle volte sto zitto. Ebbene, confesso il mio
peccato: io non sono nato a Napoli ma a Bacoli, in provincia di Napoli! Quindi
questo che vuol dire? Che non sono napoletano d.o.c.? Significa che da anni
usurpo un titolo culturale? Voglio cercare con voi la risposta a questa domanda:
“sono” napoletano o “faccio” il napoletano? Aiutatemi!
Martedì
14 dicembre, Elena Sofia Ricci, Gabriele Anagni in "La dolce ala della
giovinezza" di Tennessee Williams, traduzione Masolino d'Amico
scene, costumi
e regia Pier Luigi Pizzi
e con Chiara Degani, Flavio Francucci, Giorgio
Sales, Alberto Penna, Valentina Martone, Eros Pascale, Marco Fanizzi
musiche
composte da Stefano Mainetti
light designer Pietro Sperduti
Scritta nel
1952 e debuttata a Broadway nel 1959, “La dolce ala della giovinezza” parla del
gigolo Chance Wayne che torna nella sua città natale in Florida con la star in
declino Alexandra Del Lago per cercare di riprendersi quello che aveva lasciato
nella sua giovinezza, Heavenly, il suo primo amore.
La proposta del Teatro
della Toscana di pensare a un progetto di regia per La dolce ala della
giovinezza è stato di grande stimolo e dopo un’attenta lettura, ho accettato,
forte del fatto che avrei avuto la presenza nel cast, di Elena Sofia Ricci, nel
ruolo della protagonista.
Come d’abitudine il mio progetto comprende
l’ambientazione e i vestiti. Williams ha una straordinaria abilità a costruire
personaggi femminili al limite del delirio, sul bordo dell’abisso.
Alexandra
del Lago, star del cinema in declino, non più giovanissima, alcolizzata e
depressa, in fuga da quello che crede un insuccesso del suo ultimo film, cerca
un rimedio alla solitudine nelle braccia di un gigolò, giovane e bello, un
attore fallito in cerca di rilancio, ma destinato ad una triste fine, una volta
che ha perduto il suo unico bene, la gioventù. Ma Williams, da grande
drammaturgo è capace sempre di stupirci.
Pier Luigi Pizzi
Venerdì 7 gennaio,
"A che servono questi quattrini" di Armando Curcio
regia di Andrea Renzi, con
Giovanni Esposito e Valerio Santoro, Gennaro Di Biase, Luciano Saltarelli,
Chiara Baffi, Fabrizio La Marca
scene Luigi Ferrigno, costumi Ortensia De
Francesco, luci Antonio Molinaro, foto di scena Marco Ghidelli
A che servono
questi quattrini è una commedia di grande attualità. Andata in scena per la
prima volta nel 1940 al Teatro Quirino di Roma, fu una delle più divertenti
commedie che resero celebri i grandi fratelli De Filippo, Eduardo e Peppino.
La vicenda ruota intorno al Marchese Parascandolo detto il Professore che per
dimostrare le sue teorie socratiche, bizzarre e controcorrente, ordisce un piano
comicamente paradossale che svela l’inutilità del possesso del denaro.
L’Italia di lì a poco sarebbe entrata nel conflitto della II Guerra Mondiale e
il mondo post-capitalistico dell’alta finanza era di là da venire, ma
l’argomento, così esplicitamente indicato nel titolo, stuzzicò la curiosità del
pubblico di allora tanto che, pochi anni dopo, nel 1942, la commedia venne
trasposta sugli schermi cinematografici per la regia di Esodo Pratelli con
Eduardo e Peppino De Filippo protagonisti e con, tra gli altri, Clelia Matania e
Paolo Stoppa.
Bolle finanziarie, truffe internazionali, fallimenti di
colossi bancari, tassi di interesse sproporzionati, spread e fiducia nei mercati
sono “slogan” e ridondanti informazioni ampliamente invasive cui ci siamo
abituati e che, per la maggior parte di noi, indicano situazioni fumose e di
oscura interpretazione.
E forse proprio spingendo sul parossismo del gioco
teatrale, mostrato a vista, e sull’assurda fiducia della variegata comunità
coinvolta nel piano del Marchese Parascandolo, si può, con la scanzonata e
creativa adesione degli attori e in un clima popolare e festoso, relativizzare
il potere dei “quattrini”, valore-totem indiscusso, che tutto muove oggi come
allora.
lunedì 24 gennaio, "A che servono questi quattrini"
con Giovanni Esposito, Gennaro Di Biase, Teresa Saponangeloe Valerio Santoro
regia Andrea Renzi, con Giovanni Esposito, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase,
Luciano Saltarelli, Chiara Baffi, Fabrizio La Marca
scene Luigi Ferrigno,
costumi Ortensia De Francesco
luci Antonio Molinaro, foto di scena Marco
Ghidelli
A che servono questi quattrini è una commedia di grande attualità.
Andata in scena per la prima volta nel 1940 al Teatro Quirino di Roma, fu una
delle più divertenti commedie che resero celebri i grandi fratelli De Filippo,
Eduardo e Peppino.
La vicenda ruota intorno al Marchese Parascandolo detto il
Professore che per dimostrare le sue teorie socratiche, bizzarre e
controcorrente, ordisce un piano comicamente paradossale che svela l’inutilità
del possesso del denaro.
L’Italia di lì a poco sarebbe entrata nel conflitto
della II Guerra Mondiale e il mondo post-capitalistico dell’alta finanza era di
là da venire, ma l’argomento, così esplicitamente indicato nel titolo, stuzzicò
la curiosità del pubblico di allora tanto che, pochi anni dopo, nel 1942, la
commedia venne trasposta sugli schermi cinematografici per la regia di Esodo
Pratelli con Eduardo e Peppino De Filippo protagonisti e con, tra gli altri,
Clelia Matania e Paolo Stoppa.
Bolle finanziarie, truffe internazionali,
fallimenti di colossi bancari, tassi di interesse sproporzionati, spread e
fiducia nei mercati sono “slogan” e ridondanti informazioni ampliamente invasive
cui ci siamo abituati e che, per la maggior parte di noi, indicano situazioni
fumose e di oscura interpretazione.
E forse proprio spingendo sul parossismo
del gioco teatrale, mostrato a vista, e sull’assurda fiducia della variegata
comunità coinvolta nel piano del Marchese Parascandolo, si può, con la
scanzonata e creativa adesione degli attori e in un clima popolare e festoso,
relativizzare il potere dei “quattrini”, valore-totem indiscusso, che tutto
muove oggi come allora.
giovedì 27 gennaio, I Due della
Città del Sole presenta Enzo Decaro in "Non è vero ma ci credo" di Peppino De
Filippo
con (in o.a.) Francesca Ciardiello,Carlo Di Maio, Roberto Fiorentino,
Massimo Pagano, Gina Perna, Giorgio Pinto, Ciro Ruoppo, Fabiana Russo, Ingrid
Sansone
scene Luigi Ferrigno
costumi Chicca Ruocco
disegno luci Pietro
Sperduti
regia Leo Muscato
Ho mosso i primi passi nel mondo del teatro
quando avevo poco più di vent’anni. Mi ero trasferito a Roma per fare
l’Università e non sapevo ancora nulla di questo mestiere. Mi presentai a un
provino con Luigi De Filippo e lui mi prese a bottega nella sua compagnia. Mi
insegnò letteralmente a stare in palcoscenico, dandomi l’opportunità di vivere
la straordinaria avventura delle vecchie tournée da 200 repliche l’anno.
Rimasi con lui per due stagioni; poi mi trasferii a Milano per studiare regia.
Ci siamo rivisti ventidue anni dopo, pochi mesi prima che morisse. Mi chiese di
pensare a un progetto da fare insieme.
Ne pensai mille, ma non abbiamo avuto
il tempo di realizzarne uno. Ereditando la direzione artistica della sua
compagnia, ho deciso di inaugurare questo nuovo corso partendo proprio dal primo
spettacolo che ho fatto con lui, Non è vero ma ci credo. Rispettando i canoni
della tradizione del teatro napoletano, proveremo a dare a questa storia un
sapore più contemporaneo.
Quella che andremo a raccontare è una tragedia
tutta da ridere, popolata da una serie di caratteri dai nomi improbabili e che
sono in qualche modo versioni moderne delle maschere della commedia dell’arte.
Il protagonista di questa storia assomiglia tanto ad alcuni personaggi di
Molière che Luigi De Filippo amava molto. L’avaro, avarissimo imprenditore
Gervasio Savastano, vive nel perenne incubo di essere vittima della iettatura.
La sua vita è diventata un vero e proprio inferno perché vede segni funesti
ovunque: nella gente che incontra, nella corrispondenza che trova sulla
scrivania, nei sogni che fa di notte. Forse teme che qualcuno qualcosa possa
minacciare l’impero economico che è riuscito a mettere in piedi con tanti
sacrifici.
Qualunque cosa, anche la più banale, lo manda in crisi. Chi gli
sta accanto non sa più come approcciarlo. La moglie e la figlia sono sull’orlo
di una crisi di nervi; non possono uscire di casa perché lui glielo impedisce.
Anche i suoi dipendenti sono stanchi di tollerare quelle assurde manie
ossessive.
A un certo punto le sue fisime oltrepassano la soglia del
ridicolo: licenzia il suo dipendente Malvurio solo perché è convinto che porti
sfortuna. L’uomo minaccia di denunciarlo, portarlo in tribunale e intentare una
causa per calunnia.
Sembra il preambolo di una tragedia, ma siamo in una
commedia che fa morir dal ridere. E infatti sulla soglia del suo ufficio appare
Sammaria, un giovane in cerca di lavoro. Sembra intelligente, gioviale e
preparato, ma il commendator Savastano è attratto da un’altra qualità di quel
giovane: la sua gobba.
Da qui partono una serie di eventi paradossali ed
esilaranti che vedranno al centro della vicenda la credulità del povero
commendator Savastano.
Peppino De Filippo aveva ambientato la sua storia
nella Napoli un po’ oleografica degli anni 30. Luigi aveva posticipato
l’ambientazione una ventina d’anni più avanti. Noi seguiremo questo sua
intuizione avvicinando ancora di più l’azione ai giorni nostri, ambientando la
storia in una Napoli anni 80, una Napoli un po’ tragicomica e surreale in cui
convivevano Mario Merola, Pino Daniele e Maradona.
Lo spettacolo concepito
con un ritmo iperbolico condenserà l’intera vicenda in un solo atto di 90
minuti. (Leo Muscato)
Giovedì 10 febbraio, Peppe Barra in "Non c'è niente da ridere" di
Peppe Barra e Lamberto Lambertini
regia Lamberto Lambertini, con Lalla
Esposito
musicisti: Pasquale Benincasa, Giuseppe Di Colandrea, Agostino
Oliviero, Antonio Ottaviano, Giorgio Mellone, Gianluigi Pennino
musiche
Giorgio Mellone, scene Carlo De Marino
costumi Annalisa Giacci, luci
Francesco Adinolfi
assistente alla regia Francesco Esposito
“Vi fa molto
ridere questa mia poesia? - dice l’Attore al pubblico che si sbellica - Ci ho
messo cinque anni per scriverla!” Qui sta la chiave di questo spettacolo, da qui
il titolo: Non c’è niente d ridere.
Uno spettacolo al contrario che
incuriosisce, sorprende e diverte, fin dalla prima scena. Anche la scenografia
raffigura un teatro visto dal punto di vista degli attori, con il sipario, le
quinte, da dentro, con i palchetti accesi come fondale e le luci della ribalta
accese contro di noi.
In questo spazio irreale si avvicendano un Attore e
un’Attrice (Peppe Barra e Lalla Esposito). Macchiette, canzoni, monologhi del
vecchio Varietà e surreali parodie del teatro
classico napoletano,
rappresentano le situazioni drammatiche della coppia teatrale, fino all’inatteso
finale pulcinellesco, di comica e malinconica poesia.
L’Attore veste il
panni di Pulcinella morto che scende in terra per vedere che fine ha fatto la
sua Colombina, che invece ritrova furiosa perché si credeva abbandonata. Piano
piano, sull’onda dei ricordi, sommersi dalla nostalgia di un’epoca perduta, che
non tornerà mai più, tre bisticci, dolci parole d’amore e duetti, si abbracciano
per andarsene insieme in Paradiso.
Uno spettacolo dal ritmo incalzante, per
i continui cambi di scena, di luce, di costume, di linguaggio, uno spettacolo
d’Attore, come si diceva un tempo, sostenuto e arricchito dalle musiche dal
vivo. Peppe Barra e Lamberto Lambertini, di nuovo insieme, vogliono offrire al
pubblico uno spettacolo che, con lo stesso spirito di quel Teatro che insieme
con l’indimenticata Concetta Barra, riuscì, per dodici anni, in Italia e nel
mondo, a coniugare l’applauso del pubblico con l’esultanza della critica, la
risata con la commozione, la leggerezza con la cultura, la raffinatezza con la
volgarità.
Oggi più che mai, dopo tanti mesi oscuri e difficili, pubblico
desidera divertirsi, soprattutto nel senso di essere trascinato fuori dal tempo
e dalla realtà, perché il vero teatro, si sa, è sempre più bello della vita
vera, perché sul palcoscenico persino la morte è per finta.
Giovedì 24
febbraio, Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro in collaborazione con Bon
Voyage e con Festival Teatrale di Borgio Verezzi presenta Lello Arena in
"Parenti serpenti" di Carmine Amoroso
con Giorgia Trasselli e con (in o. a.)
Raffaele Ausiello, Marika De Chiara, Andrea de Goyzueta, Carla Ferraro, Luciano
Giugliano, Anna Rita Vitolo
scene Roberto Crea, ideazione scenica Luciano
Melchionna
costumi Milla, musiche Stag
disegno luci Salvatore Palladino
assistente alla regia Sara Esposito
regia di Luciano Melchionna
Lello
Arena diretto da Luciano Melchionna è il protagonista della divertente e amara
commedia di Carmine Amoroso, conosciuta dal grande pubblico grazie al film
“cult” di Mario Monicelli del 1992.
Tutto ha inizio con un Natale a casa
degli anziani genitori che aspettano tutto l’anno quel momento per rivedere i
figli ormai lontani. E se quest’anno gli amati genitori volessero chiedere
qualcosa ai loro figli? Se volessero finalmente essere “accuditi”, chi si farà
carico della loro richiesta?
Luciano Melchionna, il visionario creatore di
Dignità Autonome di Prostituzione, costruisce uno spaccato di vita intimo e
familiare di grande attualità, con un crescendo di situazioni esilaranti e
spietate che riescono a far ridere e allo stesso tempo a far riflettere con
profonda emozione e commozione.
Note di regia
Un Natale in famiglia, nel
paesino d’origine, come ogni anno da tanti anni. Un Natale pieno di ricordi e di
regali da scambiare, in questo rito stanco che resta l’unico appiglio possibile
per tentare di ravvivare i legami famigliari, come il fuoco del braciere che i
genitori anziani usano, ancora oggi, per scaldare la casa: un braciere
pericoloso ma rassicurante come tutte le abitudini e le tradizioni. Un Natale a
casa dei genitori anziani che aspettano tutto l’anno quel momento per rivedere i
figli cresciuti, andati a lavorare in altre città. Uno sbarco di figli e parenti
affettuosi e premurosi che si riuniscono, ancora una volta, per cercare di
spurgare le nevrosi e le stanche dinamiche di coppia di cui sono ormai intrisi,
in un crescendo di situazioni esilaranti e stridenti in cui tutti noi possiamo
riconoscerci.
Immaginare Lello Arena, con la sua carica comica e umana, nei
panni di papà Saverio mi ha fatto immediatamente sorridere, tanto da ipotizzare
il suo sguardo come quello di un bambino intento a descrivere ed esplorare le
dinamiche ipocrite e meschine che lo circondano nei giorni di santissima
festività. È un genitore davvero in demenza senile o è un uomo che non vuole
vedere più la realtà e si diverte a trasformarla e a provocare tutti?
Andando
via di casa, diventando adulti, ogni figlio ha dovuto fare i conti con la
realtà, ha dovuto accettare i fallimenti e ha imparato a difendere il proprio
orticello mal coltivato, spesso per incuria o incapacità, ma in quelle pause
fatte di neve e palline colorate ognuno di loro si impegna a mostrarsi
spensierato, affettuoso e risolto. All’improvviso però, i genitori, fino ad
allora punti di riferimento, esprimono l’esigenza di essere accuditi come hanno
fatto anni prima con loro: uno dei figli dovrà ospitarli e prendersi cura della
loro vecchiaia… a chi toccherà?
All’improvviso, dunque, un terremoto segna
una crepa nell’immobilità rassegnata di un andamento ormai sempre uguale e in
via di spegnimento, una crepa dalla quale un gas mefitico si espanderà e
inquinerà l’aria. Sarà la soluzione più spicciola e più crudele a prendere il
sopravvento. Verità? Paradosso? Spesso, come si è soliti dire, la realtà supera
la fantasia. E questo mi ha spronato ad affrontare un testo che ha la
peculiarità rara di fotografare uno spaccato di vita famigliare sempre
assolutamente attuale, purtroppo. Si può far ridere nel raccontarlo e sorridere
nell’assistere alle spumeggianti gag ma, allo stesso tempo, non ci si può
riflettere sopra senza una profonda amarezza. Viviamo in un’epoca in cui i
valori, primo fra tutti il rispetto, stanno pian piano sparendo e l’egoismo sta
prendendo decisamente il sopravvento sulla carità umana e sulla semplice,
fondamentale, empatia. Prima o poi saremo tutti dei vecchi bambini bisognosi di
cure, perché trasformarci in soprammobili polverosi, inutili e ingombranti?
In quest’epoca in cui tutto e il contrario di tutto sono la stessa cosa ormai,
con questa commedia passeremo dalle risate a crepapelle per il tratteggio
grottesco e a tratti surreale dei personaggi al più turpe cambiamento di quegli
esseri che – chi di noi non ne ha conosciuto almeno uno? – da umani si
trasformeranno negli animali più pericolosi e subdoli: i serpenti.
Luciano
Melchionna
Martedì 8 marzo, Clap presenta Paolo Caiazzo in
"Terroni si nasce ed io lo nacqui... modestamente"
scritto e diretto da Paolo
Caiazzo
percussioni, Emidio Ausiello
chitarra, Franco Porzio
fisarmonica, Sasa' Piedepalumbo
contrabasso, Roberto Giangrande
E’ chiara
ed evidente la citazione omaggio al principe della risata ed alla sua battuta
cinematografica “Signore si nasce, ed io lo nacqui… modestamente”
Il termine
“Terrone” inserito nel titolo è una dichiarazione d’amore per le mie origini, ed
io, come contadino della mia “Terra”, intendo coltivarla!
Con leggerezza ed
il supporto di musicisti in scena racconto la mia Meridionalità. Monologhi,
poesie e canzoni per uno spettacolo di incalzante divertimento e riflessioni
sulla Terronia, sui suoi pregi ed i suoi difetti.
Ma non solo Sud! Anche
attualità, politica nazionale ed internazionale per commentare comicamente la
vita di tutti i giorni, vizi e manie dei nostri tempi ma sempre con la filosofia
che la mia terra ci ha regalato.
Non può mancare in scena il mio alter ego
televisivo Tonino Cardamone ed il suo motto: “’a capa mia nun è bona”. A lui è
affidata la parentesi della follia dei saggi con la saggezza della sua follia.
Più che uno spettacolo è una “Mission” sempre più “Impossible” ai giorni d’oggi:
Divertire e divertirsi. Ma bisogna tentare, anche su tematiche serie e
drammatiche, senza prendersi tanto sul serio, perché sono sempre più convinto
che affrontare un problema disposto a riderci su, è probabile che tu possa
vincere, se ti abbatti e ti disperi… hai già perso. (Paolo Caiazzo)
Fuori abbonamento
22 Dicembre, ore 20:30, Peppino di Capri in
concerto
L'artista vanta numerosi successi che lo hanno portato a diventare
ambasciatore della canzone italiana nel mondo. Per lo show natalizio che si
terrà il 22 dicembre dalle ore 20.30, il maestro sarà accompagnato da
un'orchestra di dodici elementi, tra cui il musicista capuano Adriano Guarino,
chitarrista storico dell'amabile voce di Capri. Unico cantante italiano a salire
sullo stesso palco calcato dai Beatles, mr. Peppino, da cittadino onorario di
Capua, non fa segreto di essere molto legato alla città e alla famiglia Modugno,
organizzatrice dell'evento natalizio. L'artista ha ricambiato l'affetto già nel
2011, prestando la voce a “Merry Christmas”, il disco inciso per iniziative
benefiche, con l'orchestra della Basilica Benedettina di Sant'Angelo in Formis.
29 dicembre, ore 20:30, concerto di Tommaso Primo, che porterà
in scena il suo nuovo lavoro discografico, "Favola Nera".
Storie di strada,
ambientate tra vicoli e periferie abbandonate, legate da un filo conduttore, la
sessualità. La Napoli del ventre sullo sfondo, anzi, del basso ventre, gli
ultimi come protagonisti.
La band sarà composta da Giuseppe Spinelli
(Chitarre), Luigi Castiello (Basso e contrabasso), Stella Manfredi (violino) e
Antonio Esposito.
Mercoledì 19 Gennaio, ore 20:30, Grand
Guignol de Milan in "Il Diavolo Anarchico"
Scritto e Diretto da Gianfilippo
Maria Falsina Lamberti
con Lorenzo Andrea, Paolo Balducci, Agnese Grizzaffi,
Mattia Maffezzoli, Gianfranco Ventriglia
«Si dice che la famiglia Pianetti
possedesse un libro magico, frutto di un eterno patto col Diavolo, e che i suoi
proprietari avevano venduto le anime dei propri familiari al demonio in cambio
di prosperità e ricchezza.
Quando però il libro venne gettato tra le fiamme,
sventura e maledizione iniziarono a colpire la famiglia...»
La Compagnia che
ha riportato in Italia il Grand Guignol con uno spettacolo in anteprima
nazionale dedicato alle vicende del più misterioso, appassionante e ricercato
serial killer italiano di inizio '900: Simone Pianetti.
Esistevano davvero
legami tra Simone Pianetti e il Diavolo, figura alla quale per tutta la vita
venne associato?
Cosa lo portò a diventare l'uomo più ricercato del suo
tempo?
Quale la sua fine?
Preparatevi ad un'indagine che ripercorrerà la
vita, le scelte e le idee di uno dei personaggi più affascinanti del suo tempo
in un catartico viaggio tra i pregiudizi, le crudeltà e la vendetta che ne
consacrarono la leggenda.
INFO: Tel: 0823963874
Sms/whatsapp: 3890975146
6 maggio, ore 20.30, scritto e diretto da Enrico Maria
Falconi.“Italiani brava gente”
I protagonisti della commedia evocano il
fenomeno migratorio italiano, con l’ironia e l’essenza dei sentimenti nostrani.
in scena: Elena Russo, Peppe Piromalli, Federica Corda, Maria Teresa Iannone ed
Alessandro Sparacino.
Per tutte le info: Tel. +39 0823 963874
Email:
info@teatroricciardi.it
Biglietteria: dalle 17.30 alle 21.00
8 spettacoli
: Platea 230€ Galleria €180