Teatro Ricciardi "I Venerdì tra storia e letteratura"
Capua (CE) – dall'11 Ottobre 2019
Comunicato stampa
Gli spettacoli iniziano alle 20:30, Biglietto 15€
11 Ottobre, Compagnia Teatrale “Teatro dell’Ovo” in "Napoli
Notturno"
Associazione culturale “App.Art”
Teatro dell’Ovo, per la sua
ultima produzione, sceglie di riadattare un classico del teatro partenopeo dal
suo autore più conosciuto e controverso: “Napoli! – Notturno” da “Napoli
milionaria!” di Eduardo De Filippo . Il testo eduardiano, uno dei capisaldi del
neorealismo del dopoguerra, viene adattato in chiave contemporanea, attraverso
una rilettura socio/politica degli intrecci umani e conflittuali del nostro
tempo. Una narrazione essenziale che punta a ridisegnare le coordinate della
drammaturgia di Eduardo, consegnando uno spaccato moderno dove, agli eventi e
alla collocazione storica dello scritto, si intreccia un malessere lancinante
che, mercificando i rapporti umani, sprofonda nell’alienazione dell’individuo,
in un solipsismo ingannevole e feroce. L’intento del regista Patti è quello di
unire, in un unico immaginario scenico, due capisaldi dell’esperienza artistica
del 900: il “Muro” del racconto visionario del Waters più maturo e paranoico
incontra la svolta artistica dell’autore napoletano che con “Napoli milionaria!”
compie una rivoluzione saggistico/testuale virando verso un Teatro Universale;
dai bassi della Napoli tramortita e abbandonata, emancipa il suo status
linguistico/culturale, ammiccando le istanze della drammaturgia nord europea,
compiendo una nuova e matura riforma strutturale del Teatro italiano tout court.
Lo scenario della guerra, l’alienazione sociale e l’incomunicabilità sono le
esperienze maggiormente approfondite nel riadattamento ideato dalla Compagnia
Teatro dell’Ovo; un faticoso viaggio che dal muro della negazione conduce verso
la circolarità del “Logos” eracliteo, che diviene, in un profondo universo
notturno, l’ unico viatico per il crepuscolo della compassione.
Regia :
Raffaele Patti
Intrepreti : Raffaele Patti – Teresa Perretta – Fausto Bellone
– Paolo Nicolella – Antonio De Filippo – Clementina Gesumaria – Cloe Greta
Lettieri – Gianpiero Laudato
Scenografia : Francesca Patti – Raffaele Patti
Costumi : Raffaele Patti
Tecnico Audio : Lorenzo de Gennaro
Tecnico Luci :
Stefano Esposito
8 Novembre, Pirandello fantastico
Produzione : Gruppo Teatro Studio
Drammaturgia e Regia : Antonio Vitale
Interpreti : Francesca Ciardiello – Federica Coppola – Roberta Frascati –
Antonio Vitale
Luigi Pirandello uno dei maestri italiani del racconto
fantastico novecentesco? Ebbene sì, a giudicare dalla quantità e dalla qualità
dei testi dello scrittore siciliano. Infatti nell’arco di quarant’anni, tra il
1897 e il 1936, Pirandello ha composto un numero considerevole di novelle che
possono essere ascritte alla letteratura fantastico – meravigliosa. Un
fantastico, quello del drammaturgo siciliano, all’insegna dello spaesamento
geografico, della lotta alle maschere sociali e della riflessione sui processi
della creazione letteraria che potrà sorprendere e deliziare.
“Pirandello
Fantastico” é uno spettacolo brioso che unisce il “fantastico” e “l’umorismo”,
tanto caro a Pirandello. Lo spettacolo in un atto consiste nella trasposizione
teatrale di alcuni racconti pirandelliani, dai quali emergono personaggi
grotteschi, storie strane e divertenti, alcune al confine con l’assurdo. Sono
cinque strambe visioni attraverso le quali lo spettatore verrà catapultato in
situazioni surreali che lo spingeranno mediante una risata intelligente a
riflettere su vari temi pirandelliani, tra i quali spiccherà il rapporto che
l’uomo ha con la maschera sociale che più gli si addice in base alle circostanze
in cui si trova. Ogni singolo spettatore, uscendo dal teatro, si porrà la
domanda: è meglio essere o apparire? Musiche suggestive, realizzate dagli stessi
interpreti in scena, rendono lo spettacolo ancora più unico.
13
Dicembre, “Le Noël de Lucariello”
Lo spettacolo “Le Noël de
Lucariello” nasce da una rielaborazione drammaturgica di una prima versione
bilingue di Natale in Casa Cupiello rappresentata, in una drammaturgia
rielaborata, dalle compagnie Murìcena Teatro e L’Instant Même, sia in Francia
(Ile-de-France, Parigi – Novembre 2017) in occasione della manifestazione
“Rencontres d’Automne Nomades Interculturelles et Multilingues”, sia in Italia
(dicembre 2017) al teatro dell’Istituto Francese di Napoli e al Teatro Cimarosa
di Aversa (NA). Questa seconda versione bilingue, Le Noël de Lucariello parte
dal terzo atto della commedia originale, con al centro Luca Cupiello (francese)
ammalato nel suo letto. In scena con lui c’è il suo amato Presepe (napoletano),
con i pastori che “giocheranno” a diventare la sua famiglia al fine di svelargli
quella verità che gli è stata sempre celata e che gli ha dato il colpo di grazia
costringendolo malato a letto. Dopo aver assistito a come sono andate realmente
le cose, Luca potrà scegliere liberamente se vivere così come ha sempre vissuto,
oppure lasciarsi morire, per “vivere per sempre nel suo amato Presepe”.
La
recitazione è in due lingue differenti : francese e napoletano.
“Natale in
casa Cupiello… tra mito e verità”
Natale in casa Cupiello è sicuramente una
delle opere più famose del celebre drammaturgo napoletano Eduardo De Filippo.
Originariamente si trattava di una commedia ad atto unico (quello che, nella
versione definitiva, costituisce oggi il secondo atto), ampliato successivamente
in due distinte fasi: la prima, nel 1932, vide aggiungersi l’attuale primo atto
e la conclusiva, nel 1934 o nel 1937 o addirittura nel 1943 (secondo un’ipotesi
avallata più tardi dallo stesso autore), che configurò l’opera nella sua
versione attuale, composta da tre atti. La complessa genesi della commedia portò
Eduardo stesso ad affermare che essa era nata come un “parto trigemino con una
gravidanza di quattro anni”. Testo emblematico della cultura napoletana, Natale
in casa Cupiello è una commedia esilarante, scioccante e dai ritmi serrati che
lasciano senza fiato lo spettatore. Lavorare su una versione bilingue
dell’opera, ci ha permesso di analizzare a fondo il testo fino al raggiungimento
del nostro obiettivo, quello di unire i due idiomi in modo che le due lingue
coabitassero in una stessa situazione teatrale. Lo spettatore fruirà delle due
lingue contemporaneamente, grazie ad un gioco di traduzione scenica e teatrale.
Drammaturgia & regia Marianita Carfora Raffaele Parisi
Interpreti : Clara
Bocchino – Marianita Carfora – Luca Lombardi – Raffaele Parisi – Fulvio Sacco
Musiche : Daniele La Torre
Scenografia : Monica Costigliola Angelo De
Tommaso
Light designer e tecnica : Gianni Porcaro
Costumi : Antonietta
Rendina
Assistente costumi : Angela Froncillo Sarta Giustina Parisi
Assistente regia : Umberto Salvato
Organizzazione, diffusione &
comunicazione : Sophie Carotenuto e Napoleone Zavatto
Produzione : Murìcena
Teatro
24 Gennaio, Celeste
<<la chiamavano ” Pantera nera
” e faceva la spia di Kappler. fu l’incubo del Ghetto, quelli che lei salutava
per la strada venivano subito arrestati. Per la vergogna suo padre si consegnò
alle SS>>
Nel 1925 a Roma, nel Ghetto ebraico, nacque da Settimio ed Ersilia,
Celeste di Porto. Non si sa molto di lei, ma alle cronache, su qualche articolo
di giornale, qualche ancor non troppo logora memoria tira fuori questa vecchia,
impolverata ma spietata storia. La storia della “pantera nera”. Di quella
bellissima e fatale ragazzina di diciotto anni che, dopo il rastrellamento del
ghetto romano ad opera dei tedeschi guidati da Kappler, decide di diventare una
delatrice. Di vendere gli ebrei. I suoi correligionari. Inizia così un vero e
proprio periodo buio per gli ebrei del ghetto italiano; coloro i quali venivano
“salutati” con un cenno della mano da colei la quale era riconosciuta come una
delle più belle ragazze di Roma, non aveva scampo. Per ogni “capo”, lei
guadagnava cinquemila lire. E non importa se a finire nelle mani delle camicie
nere fossero donne, bambini o uomini. No. La “pantera nera” era indifferente al
genere, alle età. Solo la sua famiglia, doveva essere risparmiata. Ma il padre
non riuscì a portare questo enorme peso sulla coscienza, e si consegnò alle SS.
I fratelli, tra cui Angelo, tanto amato, la rinnegarono. Solo la madre continuò
a volerle bene.
Carcere di Regina Coeli, Roma, anno 1994. Sui muri della
cella numero 306, terzo raggio, incisa con un chiodo si legge (si leggerà
ancora?) la scritta: “Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non
arivedo la famija mi e’ colpa de quella venduta de Celeste Di Porto.
Rivendicatemi”. Una tragica denuncia in poche righe.
Anticoli fu arrestato
il 23 marzo 1944 al mattino; un povero ragazzo del Ghetto, si guadagnava da
vivere combattendo sui ring di terza categoria. Era sposato da poco e aveva una
bambina. Quando andarono a prenderlo riuscì ad abbattere tre militi fascisti
prima di essere trascinato in carcere. A denunciarlo era stata Celeste. Quella
sera, nel suo ufficio di via Tasso, il colonnello Kappler stava compilando l’
elenco dei 330 italiani di cui Hitler aveva chiesto la morte per rappresaglia
all’ attentato di via Rasella e alla strage dei 33 poliziotti tedeschi. Gli
mancavano cinquanta nomi e li chiese al questore di Roma, Caruso. Costui,
esitante, si rivolse al ministro degli Interni Buffarini Guidi, che gli rispose:
“Daglieli, daglieli, se no chissà cosa ci fanno…”.
Caruso racimolò quanti
più infelici poté, ma non bastavano. Disse Kappler: “Allora trovate qualche
ebreo”. Ma Lazzaro Anticoli non avrebbe dovuto morire. Nella lista di Kappler
non c’era infatti, il suo nome, bensì quello di Angelo Di Porto, fratello della
pantera nera, arrestato lo stesso giorno; all’ ultimo momento il suo posto nell’
elenco, per mano di Celeste, venne preso da Anticoli e Angelo si salvò.
Caduto il regime, si trasferì a Napoli. Scelse una nuova identità, si fece
chiamare Stella Martinelli, prostituta in una casa d’ appuntamenti. Un giorno
entrarono tre ebrei romani, la riconobbero e la denunciarono. Fu portata a Roma
a Regina Coeli. Una prima volta evase, una seconda non le riuscì e dovette
affrontare il processo nel 1947. Tentò di difendersi e non poté quasi parlare.
Il pubblico di ebrei e di parenti dei martiri le urlava il suo odio, più volte
fu necessario sgomberare l’ aula e lei si proclamava innocente, le accuse erano
calunnie, guardava la gente con gli occhi neri lampeggianti di sfida. Fu
condannata a dodici anni, ne fece soltanto tre tra condoni e amnistie e uscì dal
carcere di Perugia nel 1950, dopo un periodo trascorso a Viterbo. Chissà cosa le
accadde in quei tre anni di detenzione. Si disse che la prese una crisi mistica.
Si convertì alla religione cattolica, divenne tutta cappellano e chiesa. Voleva
addirittura farsi monaca e, una volta tornata in libertà , fu ospitata in un
convento di clarisse di Assisi, dove la sua nuova vocazione mistica era stata
presa per buona. Si sa però che un anno più tardi fu cacciata, troppo in
contrasto con i principi della regola. Di lei, in seguito, s’è perduta ogni
traccia. Qualcuno dice che restò a Centocelle, sposata e casalinga. Altri
giurano che fuggì a Milano e cambiò nuovamente identità. In qualsiasi caso, di
lei, resta solo la fama. La feroce fama di pantera nera.
7 Febbraio,
"Canzoni per il Commissario Ricciardi" di e con Maurizio de Giovanni
e con Giacinto Piracci (chitarrista), Zac Alderman, dal sax di Marco Zurzolo e
dalla voce della brava e sensibile attrice Marianita Carfora
Maurizio de Giovanni regala i suoi lettori uno
spettacolo tratto dalle storie minime che da sempre attraversano i romanzi
dedicati al Commissario Ricciardi
“L’amore è un sentimento vigliacco,
guaglio’. E’ come un liquido, pensi di tenerlo in mano ma quello scivola
attraverso le dita. L’amore è sempre disperato, ma ha sempre qualche speranza.
L’amore non si rassegna. E allora, anche se lui non vuole darle problemi, anche
se pensa di averla irrimediabilmente perduta, anche se è notte ed è autunno e il
mare e il cielo non hanno una linea di confine, lui sa che lo scoglio è là, al
suo posto. E allora glielo dice come se la schiaffeggiasse, perché uno schiaffo
e una carezza sono lo stesso movimento, hanno solo forza diversa.
Ma che
guaio che è, questo amore.
Sì, però senza l’amore, maestro, niente vale la
pena, no? Tutta questa musica, le canzoni, poesie e parole… “
Ci sono storie
che sono come canzoni. Ci sono storie che scorrono tra le pieghe di altre
storie. Storie dolcissime, disperate. Ci sono storie che segnano lo scorrere dei
giorni. Nei romanzi di Maurizio de Giovanni ci sono storie così. Storie che
spuntano tra le pagine di un’altra storia per regalare una sospensione
struggente. Storie che i lettori hanno imparato ad amare e cha aspettano di
veder sbucare tra i meandri di un’indagine, tra gli incubi del commissario
Ricciardi. Storie che hanno il colore, i ritmi, la malinconia di Napoli e della
vita che brulica tra vicoli e palazzi della città. Ci sono storie che sono come
canzoni.
Ci sono storie bellissime che chiedono di essere raccontate. E che
solo chi le ha scritte può raccontare con gli accenti, le pause, i ritmi del
cuore. Ci sono storie splendide che chiedono di essere cantate. E solo la musica
nella quale si sciolgono le parole può farle vibrare davvero.
Ci sono storie
che regalano emozioni impagabili. E sarebbe un peccato non condividere.
28 Febbraio, Simorgh
Questo antico racconto del 1200 ci
parla di un gruppo di uccelli che partono alla ricerca del loro re, il Simorgh.
È un viaggio iniziatico alla ricerca del proprio sé più profondo e autentico
dove solo un piccolo gruppo sopravvive agli ostacoli, alle sette valli, e dopo
anni arriva, rendendosi conto che “Il Simorgh non era altro che essi stessi ed
essi stessi erano il Simorgh”.
Il viaggio impone di farsi leggeri, di
spogliarsi dei fardelli inutili, delle attitudini esteriori, di tutto quello che
alla narrazione non serve, e soprattutto dagli attaccamenti e dai narcisismi che
inquinano il nostro teatro. Cosa è la nostra originalità? La nostra natura?
Possiamo portare un’essenza della napoletanità o di un modo di danzare vicino al
volo? Può il canto armonico del gruppo evocare uno stormo che cambia le
traiettorie seguendo leggi invisibili?
Un lavoro dove il testo prima di
parlare al pubblico parla ad ognuno dei personaggi, tutti racchiusi nella voce
narrante dell’attrice che, col un minimo scenico e di costumi, passa da
derviscio a principessa, da principessa ad uccello, con esattezza e agilità
senza mai esagerare nell’artificio esteriore della caratterizzazione.
La
semplicità e la ricerca di un livello intimo del teatro, unito alla musica,
conduce con sè gli spettatori, rendendoli partecipi del viaggio.
13
Marzo, Anfitrione
Mentre Anfitrione fa guerra ai Tebani, Giove
sotto le sue sembianze giace con la sua sposa, Alcmena. La tragicommedia inizia
con Sosia che in piena notte, per ordine di Anfitrione che è appena tornato con
lui, deve andare a dare il resoconto della guerra alla moglie Alcmena, ma per
strada incontra Mercurio, che per ordine di Giove ha assunto le sue sembianze, e
non deve farlo arrivare da lui. Per farlo, Mercurio, convince Sosia con la
violenza che è il vero Sosia è lui e così lo schiavo torna indietro dal padrone.
Poco dopo Giove esce dalla casa di Alcmena giustificando la partenza dicendo che
deve tornare a combattere e le dà una coppa d’oro che Anfitrione aveva vinto in
guerra. Sosia va a riferire ad Anfitrione quello che gli era successo che
incredulo ed arrabiato lo definisce un pendaglio da forca, ed arrabiato va dalla
moglie.
Dal canto suo Alcmena lo accoglie in modo aggressivo e gli dice che
si prendeva gioco di lei, poiché l’aveva lasciato poco prima. Qui segue un
acceso dibattito su chi dei due aveva detto la verità; Alcmena come prova prende
la coppa d’oro e la fa vedere al suo sposo, che per far vedere che la coppa l’ha
lui, prende il cofano sigillato in cui l’aveva riposta e lo apre e vede che è
vuoto. Alcmena gli racconta la serata che aveva passato con lui ma che in realtà
aveva passato con Giove. Anfitrione per concludere la faccenda dice che va a
cercare Naucrate, parente di Alcmena e che se Naucrate avesse confermato che non
era stato con lei ma sulla nave l’avrebbe ripudiata. Alcmena accetta, Giove
considerando l’accaduto torna con le sembianze di Anfitrione da Alcmena dice che
era una burla e si fa perdonare.
Anfitrione dopo aver cercato a lungo
Naucrate senza averlo trovato, torna a casa per cercare di scoprire con chi la
moglie lo aveva tradito gli apre Mercurio. Intanto Alcmena sta partorendo due
gemelli, Anfitrione che è fuori dalla porta è stato folgorato. Dopo viene
soccorso dalla ancella Bromia che gli racconta la nascita dei due gemelli: e gli
dice che uno è talmente grosso e forte che non è riuscito nemmeno a fasciarlo,
poi gli dice che mentre erano nella culla, compaiono due enormi serpenti, e
appena quel fanciullo fortissimo li vede scende dalla culla e li strangola.
Mentre accade questo Giove confessa ad Alcmena di avere giaciuto con lei sotto
le sembianze di Anfitrione. Quest’ultimo è contento di aver diviso la sposa con
Giove ed ordina di offrirgli dei sacrifici. Giove infine dice ad Anfitrione di
non punire Alcmena poiché è stata costretta dal suo potere gli dice che suo
figlio gli darà eterna fama; Anfitrione è contento e dice che farà come vuole
Giove e lo prega di mantenere la sua promessa.
Adattamento in due atti :
Fabio Pisano
Musiche : Liberato Santarpino
Costumi : Gina Oliva
Scene
: Lab.Me.Ta
Interpreti : Gennaro Morrone – Enzo Varone – Pina Giarmanà –
Antonio Vitale – Elena Fattorusso – Tina Gesumaria
Regia : Enzo Varone
14 Aprile, Enrico Ianniello in "Isidoro"
Dal riso alla
commozione, il reading che Enrico Ianniello trae dalle pagine del suo primo,
pluripremiato, romanzo (La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin, Feltrinelli) ci
porta in un paesino divertente e strambo, fermo nel tempo, “del quale sentiamo
nostalgia appena torna il buio sulla scena”. È la storia di Isidoro, un
ragazzino molto speciale, nato con una dote unica: fischia come un merlo! È nato
in Irpinia, a Mattinella (un nome di fantasia), da due genitori divertenti,
strambi e poetici: dal simpatico Quirino che la mattina alle 6 si fa il bidet
con l’Idrolitina, e dalla mamma Stella di Mare, eccelsa pastaia che la mattina
alle otto alza la nebbia di farina per impastare. E, insieme al merlo indiano
Alì, Isidoro inventa addirittura una nuova lingua, ma una lingua fischiata, una
lingua con tanto di fischiabolario, e cresce felice circondato da una
combriccola di personaggi bislacchi e divertenti – dal chiattissimo Canzone,
all’unto e imbroglione Zonzo “che del paese è lu chiù stronzo”. Isidoro insegna
a tutti la sua nuova lingua melodiosa, nella speranza di creare, a partire
proprio da quella musica, un mondo più giusto; ma quando il sogno sta per
trasformarsi in realtà, arriva il 23 Novembre del 1980. E in soli novanta
secondi, il terremoto chiude per sempre la gola e l’infanzia di Isidoro che da
quel momento, rimasto muto e solo, col merlo e il fischio come unici compagni,
dovrà crescere e farsi strada nel mondo. Nel cuore rimane però la possibilità di
fischiare un mondo migliore, più poetico, meno cinico e disincantato di quello
che abitiamo
Teatro Ricciardi - Largo Porta Napoli,
Capua (CE)
Tel. +39 0823 963874 - Email:
info@teatroricciardi.it