Teatro Comunale Parravano: programma 2018/19
Caserta – dall'8 dicembre 2018 al 28 Aprile 2019
Comunicato stampa
Grande teatro
7 e 8 Dicembre, ore 21,
Diana Or.i.s presenta Vincenzo Salemme in "Con tutto il cuore" scritta, diretta
e interpretata da Vincenzo Salemme
con (in o.a.) Domenico Aria, Vincenzo
Borrino, Antonella Cioli, Sergio D’Auria, Teresa Del Vecchio, Antonio Guerriero,
Fernanda Pinto, Giovanni Ribo’
scene Gilda Cerullo e Renato Lori, costumi
Francesca Romana Scudiero
luci Umile Vainieri
Il mio nuovo spettacolo sarà
ancora una commedia, nel senso più scolastico della parola. Perché anche
stavolta, come nella mia precedente "Una festa esagerata", vorrei che il
pubblico si divertisse molto. E perché anche stavolta al centro della vicenda
c'è un piccolo uomo, il mite insegnante di lettere antiche Ottavio Camaldoli,
che subisce un trapianto di cuore, ma non sa che il cuore gli è stato dato in
dono, è quello di un feroce delinquente, Pasquale Mangiacarne, morto ucciso, il
quale prima di morire ha sussurrato alla mamma, feroce quanto lui, le ultime
volontà: che il proprio cuore possa continuare a pulsare anche dopo la sua
morte, affinché colui che lo riceverà in dono (Ottavio appunto), possa
vendicarlo.
Il povero Ottavio però, pur avendo effettivamente cambiato il
cuore, non ha modificato il suo carattere. E non ha nessuna intenzione di
trasformarsi in assassino. Lui che già subisce le angherie di una ex moglie e
del suo nuovo compagno, lui che è troppo remissivo con la figlia ventenne che
vive in casa con lui.
Lui che si fa abbindolare da un finto infermiere e da
una finta governante indiana, lui che ha paura persino del gangster nano tutto
chiacchiere e minacce da sbruffone, lui che rispetta ed ha sempre rispettato la
legge, questo uomo dal temperamento quasi vile, dovrà sottostare alla prepotenza
della Signora Carmela (mamma di Mangiacarne) e sarà costretto col passare dei
giorni a diventare un duro. Un cinico.
Un uomo capace di rendere il proprio
cuore chiuso come la pietra. Forse tutto questo per dimostrare che in ognuno di
noi ci sono tutte le sfumature e tutti i colori dell'animo umano. E che è sempre
l'occasione che ci costringe a fare delle scelte. E in quelle scelte si capisce
davvero qual è la nostra natura più profonda.
19 e 20 gennaio,
"Pensaci Giacomino" di L. Pirandello
con Leo Gullotta, regia Fabio Grossi
Pensaci Giacomino nasce in veste di novella del 1915 per poi avere la sua prima
edizione teatrale, in lingua, nel 1917. Tutti i ragionamenti, i luoghi comuni,
gli assiomi pirandelliani sono presenti in questa opera. Un testo di condanna,
condanna di una società becera e ciarliera, dove il gioco della calunnia, del
dissacro e del bigottismo e sempre pronto ad esibirsi. La storia racconta di una
fanciulla che rimasta incinta del suo giovane fidanzato non sa come poter
portare avanti questa gravidanza, il professore Toti pensa di poterla aiutare
chiedendola in moglie e potendola poi così autorizzare a vivere della sua
pensione il giorno che lui non ci sarà più. Naturalmente la società civile si
rivolterà contro questa decisione anche a discapito della piccola creatura che
nel frattempo è venuta al mondo.Finale pirandelliano pieno Di amara speranza,
dove il giovane Giacomino prenderà coscienza del suo essere, del suo essere
uomo, del suo essere padre e andrà via da quella casa che lo tiene prigioniero,
per vivere la sua vita con il figlio e con la giovane madre. Da qui si desume
quanto tutto questo possa svolgere il pensiero pirandelliano nei confronti di
una società che allora era misogina opportunista e becera. Racconta di uno Stato
patrigno nei confronti dei propri cittadini soprattutto nei confronti della
casta degli insegnanti, sottopagati e bistrattati. Grande bella qualità del
premio Nobel di Agrigento nel prevedere il futuro e come raccontava Giovan
Battista Vico corsi e ricorsi storici, cioè nulla cambia nulla si trasforma:
ancora oggi si veste dei soliti cenci, unti e bisunti. Una società quindi letta
con la mostruosità di giganti opprimenti presenti determinanti dequalificanti.
26 e 27 Gennaio, Le signorine di Gianni Clementi
con Isa Danieli, Giuliana De Sio, regia Pierpaolo Sepe
produzione Nuovo
Teatro
Due sorelle zitelle, offese da una natura ingenerosa, trascorrono la
propria esistenza in un continuo e scoppiettante scambio di accuse reciproche.
E' in una piccola storica merceria in un vicolo di Napoli, ormai circondata da
empori cinesi e fast food mediorientali, Addolorata e Rosaria passano gran parte
della loro giornata, per poi tornare nel loro modesto, ma dignitoso appartamento
poco lontano. Una vita scandita dalla monotona, ma rassicurante ripetizione
degli avvenimenti. La prima, Addolorata, dopo una vita condotta all'insegna del
sacrificio e del risparmio, cui è stata obbligata dalla sorella, vuole
finalmente godersi la vita. La seconda, Rosaria, che ha fatto dell'avarizia e
dell'accumulo il fine della propria esistenza, non ha nessuna intenzione di
intaccare il cospicuo conto bancario, cresciuto esponenzialmente nel corso degli
anni. Anche l'uso del televisore, con conseguente consumo di energia elettrica,
può generare una diverbio. Un battibecco infinito che non conosce sosta.
Qualsiasi circostanza, qualsiasi avvenimento diviene argomento di animata e
inconciliabile discussione. Rosaria domina, Addolorata subisce. Finchè un
inaspettato episodio sembra capovolgere i ruoli. La dominata diventa la
dominatrice e, come spesso accade a chi ha trascorso la propria esistenza a capo
chino, coglie l'occasione per mettere in atto una lenta e progressiva vendetta
nei confronti della sorella. O almeno sembra che due poli opposti si attraggano
non è un detto popolare, ma una legge fisica. E Addolorata potrà mai fare a meno
di Rosaria. Un testo confezionato per una grande prova d'attrici, che ne
esaltino l'incalzante comicità, ma anche la struggente malinconia. Un
divertimento raffinato, che scatena il riso, ma anche un confronto intimo, che
induce alla commozione.
9 e 10 Febbraio, Il Misantropo di
Moliere,
con Giulio Scarpati, Valeria Solarino, regia Nora Venturini
Il Misantropo è
la storia di un uomo che vuole avere un incontro decisivo con la donna che ama e
che alla fine di un'intera giornata non ci è ancora riuscito. Le parole con cui
Louis Jouvet riassumeva il capolavoro di Molière, quando le ho lette per la
prima volta, mi hanno fatto sorridere, interpretandole come una battuta ironica
del grande uomo di teatro. In realtà colgono un elemento niente affatto
riduttivo e spesso trascurato o messo in ombra a favore del tema politico
dell'uomo onesto e sincero in lotta contro la corruzione e l'ipocrisia della
società. L'aspetto privato, in questo capolavoro che si muove sempre in
equilibrio tra commedia e tragedia, è altrettanto importante dal punto di vista
teatrale, di quello sociale, perché ne evidenzia il fattore umano, e dalla corte
del re Sole lo porta dritto a noi. Nella sua urgenza di parlare con Célimène,
che gli sfugge e evita il confronto, nel suo bisogno di chiarirsi, di fare
piazza pulita di ogni ambiguità, Alceste è un personaggio estremamente moderno.
È un uomo che in modo vagamente masochista si ostina ad amare la donna
sbagliata, quella che è il suo opposto in tutto, nello stile di vita, nella
visione etica, nel senso dell'amicizia e dei rapporti sociali. E lo stesso vale
per Celimene nei confronti di Alceste, quando dichiara di preferirlo agli altri
pretendenti. È proprio la loro differenza la molla che li spinge uno verso
l'altra: signora dei salotti lei, mondanamente attorniata dalla sua corte,
intellettuale duro e puro lui, rigido negli scontri filosofici con l?amico
Filinte, così assoluto da apparire eroico, e nello stesso tempo ridicolo.
Attorno a loro, a raccontarci il mondo che Alceste detesta e Celimene
padroneggia, un carosello di prototipi umani, parodie attualissime dei vizi e
dei difetti dell'alta società. Allora se Alceste è nostro contemporaneo nella
sua indignazione impotente e donchisciottesca contro la falsità e la corruzione,
sono nostri contemporanei, tragici e comici insieme, anche Alceste e Celimene
come coppia sentimentalmente impossibile: non si capiscono ma si amano, si
sfuggono ma si cercano, si detestano ma si desiderano. Sono un uomo e una donna
di oggi, con torti e ragioni equamente distribuiti, protervi nel non cedere alle
richieste dell'altro, non disposti a rinunciare alle proprie scelte di vita, in
perenne conflitto tra loro. Nei loro difetti possiamo a turno ritrovarci e
riconoscerci; e ne ridiamo, guardandoci allo specchio. Due protagonisti di una
commedia amara in cui non è previsto l'happy end.
16 Febbraio al 17
Febbraio, Fronte del Porto
con Daniele Russo, regia Alessandro
Gassmann
Stavolta Alessandro Gassmann dirige Daniele Russo e altri 10 attori
in una riscrittura in cui Enrico Ianniello fonde le suggestioni del testo
originale con quelle dei poliziotteschi napoletani degli anni '80. Assistiamo a
una storia ambientata nella Napoli di 40 anni fa che gioca, dal punto di vista
formale, con le musiche dei film, con i colori sgargianti della moda, con i
riferimenti culturali di quegli anni in cui, dice Ianniello, «la città stava
cambiando pelle nella sua organizzazione criminale, gli anni del terremoto, gli
anni di Cutolo. Anni in cui il porto era sempre di più al centro di interessi
diversi, legali e illegali». Sulla scena la storia prende vita tra la
baraccopoli di Calata Marinella, la Chiesa del Carmine, il molo Bausan, la
Darsena Granili e l'avveniristica Casa del Portuale di Aldo Rossi. Uno
spettacolo che sarà capace di restituirci la forza della storia, facendoci
immedesimare nelle intense e rabbiose relazioni tra i personaggi che la
popolano, raccontate con la cifra inconfondibile di Alessandro Gassmann, che
sottolinea: Come già avvenuto per Qualcuno volò sul nido del cuculo anche in
questo caso la scelta è caduta su un testo ed una tematica che mi coinvolgono
profondamente e che portano verso una ricerca di libertà faticosa. Ricostruiremo
la vita del porto, le vite degli operai, i loro aguzzini, attaccandoci ai suoni,
ai rumori, ai profumi ed alla lingua di questa città
9 e 10 Marzo,
La menzogna, con Serena Autieri, Paolo Calabresi
regia Piero Maccarinelli
Due coppie di amici, una cena convocata dopo molto tempo e un grande disagio che
improvvisamente si presenta fra loro. Nulla di ?Nuovo? ma grande abilità nella
declinazione delle varianti, fra le parole si nascondono frustrazioni e
risentimenti bugie e sensualità. È una ridicola resa dei conti che mostra la
falsa morale che si nasconde dietro le convenzioni, Paolo e Alice Lorenza e
Michele credono di vivere in un sistema di valori condivisi che si possono
facilmente trasgredire. Ma la dimensione non è psicologica tutto è affidato alla
parola, al teatro; si tratta di un abile gioco di maschere, un gioco divertente
e crudele che rende confusi i confini fra la menzogna e la verità. il reale e
l?immaginario. L?adulterio sembra essere l?unico orizzonte della vita coniugale.
Ma non è necessario distinguere così chiaramente la verità dalla menzogna. La
commedia costringe gli attori ad abbandonare l?arco psicologico o narrativo dei
personaggi, perché, di volta in volta ognuno di loro è chiamato a recitare o
giocare un ruolo opposto a quello che ha vissuto nella scena precedente e devono
farlo con molta leggerezza senza dare la sensazione che sta mentendo è
l?architettura della commedia che si fa carico della narrazione e l?attore deve
sforzarsi di non essere più intelligente della situazione in cui si trova.
16 e 17 Marzo, Dracula di Sergio Rubini, Carla Cavalluzzi
con Luigi Lo Cascio, Sergio Rubini, regia Sergio Rubini
produzione Nuovo
Teatro, scene Gregorio Botta
Dracula è prima di tutto un viaggio notturno
verso l'ignoto. Un viaggio tra lupi che ululano, grandi banchi di foschia, e
cavalli dalle narici infuocate. Ai bordi della strada numerose croci. A compiere
il viaggio è il giovane procuratore londinese Jonathan Harker, incaricato di
recarsi in Transilvania per curare l'acquisto di un appartamento a Londra da
parte del Conte Dracula. Il giovane avvocato non sa la sciagura che lo attende
ma immediatamente, appena ha inizio il suo viaggio, si ritrova avvolto in un
clima di mistero e di scongiuri. Quando giunge a Castel Dracula si ritrova al
cospetto di un uomo vestito di nero, dagli occhi sporgenti e troppo rossi, dai
denti troppo bianchi e aguzzi, dalle mani troppo grandi e le dita così affilate
che sembrano artigli. Un pallore eccesivo che lo fa assomigliare più a un morto.
È proprio in questo clima di illusione, di oscurità e paura che sarà calato
colui che si accosta al cancello del suo castello, come chi sopraggiunto
nell'Ade comprende a poco a poco di essere finito in una tomba. Ed è quindi
questo il fulcro della rappresentazione: da una monumentale scala posta al
centro della scena i personaggi scenderanno in un luogo frastagliato da ombre e
disseminato di specchi che non riflettono immagini ma solo paure. Una dimensione
dove il buio prevarrà sulla luce, il chiarore ferirà come una lama lo sguardo,
il cupo battere di una pendola segnerà il tempo del non ritorno, uno
scricchiolio precederà una caduta e il silenzio l'arrivo della bestia che
azzanna e uccide. Una realtà malata dove sarà impossibile spezzare la tensione e
da cui sembrerà impossibile uscirne vivi. Perché di quell'oscurità ogni
individuo è portatore e il racconto di Dracula ci offre l'opportunità di
scoperchiare il mostro che si cela in ognuno di noi mettendoci a confronto con i
nostri piú profondi e ancestrali misteri.
23 e 24 Marzo, I
fiori del latte di Edoardo Tartaglia
con Biagio Izzo, regia Giuseppe Miale Di Mauro
"I Fiori del
latte" è il nome di un caseificio campano di prossima apertura scelto tra un
inconsapevole rimando baudelairiano e un più probabile errore di declinazione
(Ma esisterà mai il plurale del fiordilatte? E allora le mozzarelle, le provole,
le ricotte, le scamorze??). Un nome che è tutto un programma per quello che sarà
?? il fior fiore dei fiori all'occhiello di Casaldisotto Scalo!?? Un caseificio
modernissimo, in linea con le nuove tendenze ecologiche, una sorta di vera e
propria oasi biologica. Tutti prodotti assolutamente naturali, genuini, puri.
Bufale allevate secondo rigorosissimi metodi naturali; di mangimi animali
neanche l'ombra; pascoli incontaminati? Questo il progetto, nuovo ed antico, di
Aniello Scapece: anni di sacrifici, impegni, fatiche, aspirazioni che,
finalmente, sembrano vedere la luce. Ma Un bidone arrugginito! Inopinatamente
dissepolto da un cane fin troppo vivace, proprio lì, vicino al recinto delle
bufale. Sospetto. Molto sospetto. Troppo! Che fare?? Approfondire? Denunciare?
Verificare? Andare fino in fondo? Col rischio di veder naufragare il desiderio
di una vita? Oppure sottrarsi a quell'imperativo morale che seppur non
categorico, ma solo sonnecchiante, pur sempre alberga nel più profondo del cuore
di ognuno. Quando il desiderio legittimo cessa di essere una aspirazione sana e
trascolora verso le cupe tinte della cupidigia, della ambizione, della bramosia.
Quando la capacità di far tacere la propria coscienza per il raggiungimento di
posizioni di potere, siano esse economiche, politiche o sociali (ove mai
esistesse ancora in una società plutocratica una possibilità di distinguo) Ecco
che la commedia rischia di trasformarsi in Tragedia. Per ritornare a tratti
addirittura Farsa, laddove si lasci al personaggio medesimo, lo spazio per far
venire fuori tutta la sua inadeguatezza a fronteggiare un destino più grande di
lui. Tra il Joe Keller di "Erano tutti figli miei" di Arthur Miller (anche qui,
forse, la sua yùbis rischierà di ricadere su di un figlio come ineluttabile
nemesi) ed il Peppino Lo Turco de "La banda degli Onesti" (la cui irresistibile
e goffa cialtroneria ce lo rende commovente), Aniello Scapece viene a rendere
testimonianza di come, oggi più che mai, il vero eroe per caso rimarrebbe chi,
lontano da ogni retorica ribalta, si opponesse in silenziosa solitudine alle
lusinghe ed al miraggio di un qualsivoglia potere, con rinunce tanto più
meritevoli e dolorose quanto meno ostentate ed esibite. In omaggio al monito di
Giovenale: "Nessun uomo colpevole potrà sottrarsi mai al tribunale della sua
coscienza".
30 e 31 Marzo, "Il padre" di Florian Zeller
con Alessandro Haber, Lucrezia Lante Della Rovere
regia Piero Maccarinelli
produzione Goldenart Production
Andrea è un uomo molto attivo, nonostante la
sua età, ma mostra i primi segni di una malattia che potrebbe far pensare al
morbo di Alzheimer. Anna, sua figlia, che è molto legata a lui, cerca solo il
suo benessere e la sua sicurezza. Ma l'inesorabile avanzare della malattia la
spinge a proporgli di stabilirsi nel grande appartamento che condivide con il
marito. Lei crede che sia la soluzione migliore per il padre che ha tanto amato
e con cui ha condiviso le gioie della vita. Ma le cose non vanno del tutto come
previsto: l'uomo si rivela essere un personaggio fantastico, colorato, che non è
affatto deciso a rinunciare alla sua indipendenza... La sua progressiva
degenerazione getta nella costernazione i familiari, ma la sapiente penna di
Zeller riesce a descrivere una situazione che, seppur tragica per la crescente
mancanza di comunicazione causata dalla perdita di memoria viene affrontata con
leggerezza e con amara e pungente ironia. Tutto a poco a poco va scomparendo: i
punti di riferimento, i ricordi, la felicità della famiglia. La perdita
dell'autonomia del padre, Andrea, progredisce a tal punto che Anna è costretta a
dover prendere decisioni al suo posto e contro la sua volontà. La forza di
questa pièce consiste nel saper raccontare col sorriso e con ironia, delicatezza
e intelligenza, lo spaesamento di un uomo la cui memoria inizia a vacillare e a
confondere tempi, luoghi e persone. Con grande abilità l'autore ci conduce a
vivere empaticamente le contraddizioni in cui il nostro protagonista incappa, il
quale perdendo a poco a poco le sue facoltà logico-analitiche e non riuscendo
più a distinguere il reale dall'immaginario, ci coinvolge con grande emozione in
questo percorso dolorosamente poetico.
6 e 7 Aprile,
Millevoci Tonight Show, di Francesco Cicchella, Riccardo Cassini, Vincenzo De
Honestis, Gennaro Scarpato
con Francesco Cicchella
regia Gigi Proietti
produzione Best
Live
"Millevoci Tonight Show" è un one man show comico-musicale nel quale
Francesco Cicchella mette in gioco le sue doti di comico, cantante e
intrattenitore. Il titolo strizza l'occhio allo storico varietà di Rai1
Milleluci e al contemporaneo Tonight show americano, sintetizzando uno dei
criteri principali dello spettacolo: fondere gli elementi tradizionali del
varietà con una concezione più fresca, moderna ed innovativa del one man show.
Le mille voci a cui si fa riferimento sono quelle che Cicchella porta in scena,
facendo vivere una moltitudine di personaggi e giocando continuamente con la sua
vocalità anche quando veste i panni di se stesso. Il giovane comico si racconta
con ironia, in un susseguirsi di pezzi di bravura e grande comicità, lasciando
scoprire al pubblico il mondo che c'è dietro l?artista televisivo, senza però
trascurare i personaggi che lo hanno reso popolare sul piccolo schermo. Le
celebri parodie televisive di Massimo Ranieri, Michael Bublé, Gigi D'Alessio,
rivisitate in chiave teatrale, restano infatti tra i momenti più esilaranti
dello show. A queste, si aggiungono delle vere e proprie novità assolute, come
la parodia dell'attore Toni Servillo. Accanto a Cicchella, ritroviamo ancora una
volta la fedelissima spalla Vincenzo De Honestis, con il quale forma una coppia
comica più che collaudata, e i due giovani performer Ciro Salatino e Giovanni
Quaranta nei panni di due attrezzisti che approfittano di ogni momento utile per
dare sfogo alle loro velleità artistiche. La direzione musicale è affidata al
maestro Paco Ruggiero, che dirige una band formata da otto elementi, la cui
qualità spicca in numeri caratterizzati da grande spessore musicale, oltre che
dalla loro innata vis comica, come quando il nostro protagonista si chiede cosa
sarebbe accaduto se i vecchi successi della musica italiana fossero stati
scritti nei giorni nostri. La regia di Gigi Proietti impreziosisce il tutto,
confezionando con maestria uno spettacolo ricco di ingredienti, capace di
intrattenere il pubblico regalando momenti di puro divertimento e performances
musicali, senza privarsi di qualche momento di riflessione e lasciando ampio
spazio all'improvvisazione, che resta il valore aggiunto di questo show fresco,
leggero e molto godibile. Lo spettacolo è scritto dallo stesso Cicchella,
insieme a Riccardo Cassini, Vincenzo De Honestis e Gennaro Scarpato.
17 e 18 Aprile, Colpo di scena di Carlo Buccirosso
con Carlo Buccirosso, regia Carlo Buccirosso
In un classico
commissariato di provincia, il vice questore Armando Piscitelli, conduce da
sempre il proprio lavoro nel rispetto del più integerrimo rigore, con la
consapevolezza di svolgere le mansioni di garante dell'ordine pubblico e difesa
della sicurezza del cittadino con la tenacia e la fede di un missionario,
inviato dal cielo esclusivamente per ripulire la terra dalle nefandezze degli
uomini scellerati che minacciano la gente cristiana che vorrebbe condurre in
pace una vita serena... Nell'ufficio del paladino Armando, si barcamenano una
serie di fidi scudieri nel tentativo di debellare le barbarie di tutti i santi
giorni dall'inossidabile tartassato ispettore Murolo, ai giovani agenti rampanti
Varriale, Di Nardo e Farina, all'esperta rassicurante sovrintendente Signorelli
una sorta di cavalieri della tavola rotonda, attorno alla quale si aggirano le
insidie quotidiane della delinquenza spicciola, lontana sì dagli echi mortali
del terrorismo mondiale, ma angosciosamente vicina al respiro del singolo
cittadino, a difesa del quale il vice questore si vedrà costretto
all'inevitabile sacrificio di un capro espiatorio a lui tristemente noto, tale
Michele Donnarumma, vittima predestinata, agnello feroce dall'aspetto
inquietante, che sconvolgerà la salda religione di Piscitelli, come il più
spietato e barbaro dei saraceni! Solo allora, il paladino Armando per la prima
volta nella sua vita, cercherà conforto nel tepore degli affetti familiari,
trovando così rifugio tra le mura sicure della propria casa di montagna, dove ad
attenderlo con ansia ci saranno suo padre Marcello, ex colonnello dell'esercito
affetto da Alzheimer, Gina la sua bisbetica badante rumena, e la suadente
professoressa Cuccurullo, che con stravagante follia, degna della più classica
struttura psichiatrica, contribuiranno a far vacillare definitivamente le
sicurezze ed i sacri comandamenti di Piscitelli! E come nella più classica e
scontata sceneggiatura di una trama thriller, neppure il tepore di un sicuro
nascondiglio di montagna potrà sottrarre lo spettatore, ed il povero vice
questore, dal più classico, ma si spera imprevedibile, colpo di scena finale...
Balletto
23 Gennaio, La Bella Addormentata di
Charles Perrault
con Balletto Del Sud, regia Fredy Franzutti, produzione
Balletto Del Sud
La Bella Addormentata è di Charles Perrault. Prima ancora di
Perrault, l'italiano Giambattista Basile (nella raccolta Lo cunto de li cunti)
narra di una principessa addormentata per un incantesimo nel meridione
dell'Italia. Al racconto di Basile, Perrault si ispira per la sua versione
edulcorata e borghese. Da qui l'idea di Franzutti, uno dei coreografi più noti
nel panorama nazionale, di riportare nel sud del paese le disavventure della
bella principessa Aurora. Questo ha permesso, al coreografo salentino, quello
che il critico Vittoria Ottolenghi ha definito: una vera botta di teatro, e cioè
la sostituzione della puntura del consueto fuso con il morso della tarantola
salentina. La Principessa Aurora è quindi, nell'edizione di Franzutti, una
fresca ragazza mediterranea a cui una vecchia maga predice un atroce destino.
Sarà la magia della zingarella Lilla e il bacio d'amore di un
principe-antropologo sulle orme della leggenda a destare la fanciulla dal suo
sonno centenario. Per la leggibilità della drammaturgia, per l'efficacia
dell'ambientazione e per la viva caratterizzazione dei personaggi, lo spettacolo
ha raccolto, sin dalle prime rappresentazioni del 2000, la piena adesione di
pubblico, ed è stato ampiamente lodato dalla critica. Gli assieme dei danzatori
nella brillante realizzazione delle scene più festose e l'accurata esecuzione
dei protagonisti hanno contribuito al successo dello spettacolo. Un' idea
legittima e funzionante quella di Fredy Franzutti, abile coreografo del Balletto
del Sud, che ha presentato una personale versione del balletto La Bella
addormentata nel Bosco» sulla musica di Cajkovskij, ambientato nel Salento.
Questo, non soltanto riporta nel Meridione mediterraneo una fiaba/mito di chiaro
tipo stagionale (la morte e la resurrezione annuale della Natura), che certo
nacque da queste parti; ma gli permette una vera «botta di teatro», e cioè la
sostituzione della puntura del consueto, fallico fuso (che dovrebbe dare la
morte alla sedicenne Aurora) con il morso della tarantola locale. Da qui,
l'arrivo della vecchia fattucchiera malevola, l'antagonismo positivo della
zingara «Lilla» che pratica soltanto magia bianca. E sarà lei a trasformare la
morte di Aurora, morsa dalla tarantola, nel lungo sonno collettivo di tutto il
palazzo e del bosco di ulivi. Di qui, anche, le belle danze scatenate ed
inutili, che vorrebbero esorcizzare il maleficio della tarantola. Insomma, un
balletto ricco, vistoso, pieno di avventure e che - questo è davvero miracoloso
- è realizzato da Franzutti con geniale efficacia ed essenzialità drammaturgiche
con diciotto ballerini di alta qualità.
23 febbraio, Light
Eventi Srl - Balletto Flamenco Espanol presentano "Bolero - Zapateando De Mozart
Flamenco"
con Nadia Pascual, Pablo Fraile, Pedro Sanchez, Lisiane Sfair,
regia Abraham Olayo De Diego
costumi Marta Aguero, musiche Ravel, Mozart
Nell'anno 2017, Tito Osuna fonda il Ballet Flamenco Español per mostrare al
mondo la danza spagnola: classica spagnola e flamenco. Nasce così l'idea di
creare un balletto che mostri tutti gli stili della danza ispanica rappresentati
in scena da solisti appartenenti alle migliori compagnie di flamenco del mondo.
Ecco come viene creato lo spettacolo di Flamenco Live ". Fin dal primo mese
di nascita del balletto nasce l'interesse da parte dei produttori da diverse
parti del mondo: Dubai, Francia, Turchia, Romania, Polonia, Russia, Stati Uniti,
Italia, Cina, Giappone
In scena il flamenco e la danza spagnola con i più
talentuosi solisti contemporanei del genere.
Dopo il trionfale tour in Medio
Oriente, il corpo di ballo formato dai solisti appartenenti alle migliori
Compagnie di flamenco al mondo, si esibisce in tour in Italia.
Diretti da
Tito Osuna e accompagnati da musicisti dal vivo, ci conducono attraverso tutti
gli stili della danza spagnola.
Non solo flamenco quindi.
Un balletto
unico per la sua capacità di raccontare e ripercorrere un’arte antica e
affascinante, tipica delle culture gitane, che sul cammino dei popoli nomadi è
giunta fino a noi.
Il flamenco è danza, musica e canto. Tre espressioni
artistiche che si fondono in un linguaggio autentico inserito dall’UNESCO come
patrimonio immateriale dell’umanità. Il corpo stesso diventa strumento musicale
al battere delle mani e dei piedi sul tablao. Un crescendo ritmico accompagnato
dalla voce della mujer, passionale e sfrontata, melanconica e armoniosa.
Le
emozioni e la poesia giungono al pubblico con la forza della gestualità resa
ancor più maestosa e ritmica dall’elemento estetico, una continua e instancabile
ricerca del colore sia nella tecnica delle luci che nei costumi di scena.
Domenica 28 aprile, ore 18, Naturalis Labor presenta Compagnia
Flamenco Lunares in "c"
direzione artistica e
coreografie Carmen Meloni
interpreti: Ester Bucci, Michela Mancini e
Raffaella Martella danza
Riccardo Garcia Rubi, chitarra, Caridad Vega, canto,
Monica Tenev, flauto, Gabriele Gagliarini, percussioni
Sul palco quattro
ballerine esprimono alcune delle forme dell’arte del flamenco.
Ogni ballerina
ha il proprio modo di esprimere il flamenco che sulla scena si personalizza e
diventa stile di vita più che ricerca estetica.
In tutto quattro donne, ma
insieme quattro sguardi differenti, quattro modi di rivolgersi alla vita e
interpretarla attraverso la danza e la musica. Fierezza, sensualità, pacatezza,
leggerezza, eleganza sono gli ingredienti che si amalgamano insieme dando forma
a uno spettacolo unico.
La compagnia Flamenco Lunares nasce nel 1998 sotto la
direzione artistica di Carmen Meloni, ballerina e coreografa, come continuum del
suo percorso artistico. Nel corso degli anni la Compagnia ha visto alternarsi
diverse formazioni.
L’equipe è composta da professionisti italo-spagnoli di
altissimo livello: baile Carmen Meloni e Dario Carbonelli, cante Josè Luis
Salguero, chitarra Marco Perona, flauto Monica Tenev e infine Gabriele
Gagliarini come percussionista e cajonista.
Al corpo di ballo si esibiscono
Ester Bucci, Raffaella Martella, Michela Mancini, Ornella Ottaviani e Viola
Megumi Pietroniro.
Le coreografie e le proposte teatrali, sempre ispirate
alla musica flamenca, sono la fusione di influenze arabo-indiane che rimandano
suggestive melodie e ispirano sensuali movenze che, accompagnate dalle creazioni
musicali dei musicisti, catturano lo spettatore proiettandolo verso affascinanti
atmosfere flamenche.
Ogni ballerina della Compagnia Lunares ha un proprio
modo di esprimere il Flamenco che sulla scena si personalizza e diviene un modo
di essere e uno stile di vita più che una ricerca estetica.
Il risultato è
un insieme di stili, da quello più sensuale di Siviglia a quello più conturbante
e ritmico di Jerez de La Frontera, fino alla fusione dei due nel più moderno
stile madrileno.
Teatro Civile
15 Gennaio, "Tempi nuovi" di Cristina Comencini
con
Roberto De Francesco, Iaia Forte
regia Cristina Comencini
Non ci sono altre
possibili parole per descrivere lo "spettacolo" che è andato in scena al Teatro
Goldoni di Livorno. Questo, difatti, si trascina da uno stereotipo all'altro e
le battute, (poche), che riescono a strappare qualche sorriso non lo possono
certo salvare. Non vorrei accennare neanche al messaggio, (misero e
pressapochista), che l'ideatrice tenta di dare, ma è doveroso. La vena
principale di questo "spettacolo" si snoda nel rapporto tra Giuseppe, professore
di Storia, uomo di circa mezza età, poco propenso all'uso della tecnologia, e
sua moglie, X, giornalista, obbligata dalla sua professione ad adattarsi ai
nuovi mezzi di comunicazione. Nello svolgimento raffazzonato che lo spettatore
deve sorbirsi per tutta la durata, circa un'ora e venti, vengono inserite
tematiche di grande spessore e attualità, ma che vengono proposte attraverso
scambi di battute banali e scialbe. Non solo poi c'è da sottolineare una
sceneggiatura debole, senza potenza narrativa, nemmeno poi comica, se non forse
involontariamente, ma c'è da aggiungere in diversi momenti la poca aderenza
recitativa degli attori ai propri personaggi, che lo spettatore può percepire
chiaramente. A soluzioni scenografiche di ottimo impatto visivo, la scena si
apre infatti con una bellissima libreria stracolma di libri, si legano scelte
registiche particolarmente discutibili: Giuseppe, infatti, senza nessun percorso
di "crescita", o meglio di anticlimax, improvvisamente dopo essere stato
ricoverato in ospedale sembra subire una "trasformazione", divenendo abile
all'uso di ogni mezzo informatico e di comunicazione moderno, ma perdendo il
proprio bagaglio culturale. Sicuramente le scelte semplicistiche che permettono
allo spettacolo di potersi snodare sono lo specchio stesso della superficialità
che si tenta malamente di denunciare. Il tentativo di omaggiare la Commedia
Italiana non riesce assolutamente, a meno che per Commedia Italiana la regista
non abbia preso come propria ispirazione i Cinepanettoni che tanto hanno dato
alla cultura italiana, e che alcuni speravano almeno in Teatro di non dover
vedere.
30 gennaio, "Winston vs Churchill" di Carlo G. Gabardini
con
Giuseppe Battiston, regia Paola Rota
produzione Nuovo Teatro
È possibile
che un uomo da solo riesca a cambiare il mondo? Un uomo fatto come gli altri,
con un corpo uguale agli altri, le cui giornate sono costituite da un numero di
ore che è lo stesso di quelle degli altri. Cosa lo rende capace di cambiare il
corso della storia, di intervenire sul fluire degli eventi modificandoli? Cosa
gli permette di non impantanarsi nella poderosa macchina del potere e della
politica, di non soccombere agli ingranaggi? La capacità di leggere la realtà?
Il contesto? Il coraggio? La forza intellettuale? Queste domande ci guidano
nell'interesse per un uomo sicuramente non qualunque, un uomo, un politico che è
un'icona, quasi una maschera: Winston Churchill per certi versi è il Novecento,
è l'Europa, forse è colui che, grazie alle sue scelte politiche, ha salvato
l'umanità dall'autodistruzione durante il bellicoso trentennio che va dal 1915
al 1945. Churchill incarna il primato della politica e umanamente è un eccesso
in tutto: tracanna whisky, urla, sbraita, si lamenta, ma senza mai arrendersi,
fuma sigari senza sosta, tossisce, detta ad alta voce bevendo champagne, si
ammala, comanda ma ascolta, è risoluto ma ammira chi è in grado di cambiare
idea, spesso lavora sdraiato nel letto, conosce il mondo ma anche i problemi dei
singoli, ha atteggiamenti e espressioni tranchant, e battute che sembrano
tweets: "Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le
partite di calcio come se fossero guerre" Giuseppe Battiston incontra la figura
di Churchill, la porta in scena, la reinventa, indaga il mistero dell'uomo
attraverso la magia del teatro, senza mai perdere il potente senso dell'ironia
Meglio fare le notizie che riceverle, meglio essere un attore che un critico. Di
tutto questo parla il testo di Carlo G. Gabardini, che mostra Churchill in un
presente onirico in cui l'intera sua esistenza è compresente e finisce per
parlare a noi e di noi oggi con una precisione disarmante.
2 Aprile,
"Ferdinando" di Annibale Ruccello
con Gea Martire, Chiara Baffi, Fulvio
Cauteruccio
regia Nadia Baldi
produzione Teatro Segreto srl
Nadia Baldi
firma la regia di FERDINANDO, il testo forse più famoso di Annibale Ruccello,
andato in scena per la prima volta il 28 febbraio 1986. L'opera ha vinto due
premi IDI: uno nel 1985 come testo teatrale, il secondo nel 1986 come miglior
messinscena. Donna Clotilde, baronessa borbonica, si è rifugiata in una villa
della zona vesuviana, scegliendo l'isolamento come segno di disprezzo per la
nuova cultura piccolo borghese che si va affermando dopo l'unificazione
d'Italia. È con lei una cugina povera, Gesualda, che svolge l'ambiguo ruolo di
infermiera/carceriera. I giorni trascorrono uguali, tra pasticche, acque
termali, farmaci vari e colloqui con il parroco del paese, Don Catellino, un
prete coinvolto in intrallazzi politici. Nulla sembra poter cambiare il corso
degli eventi, finché non arriva Ferdinando, un giovane nipote di Donna Clotilde,
dalla bellezza morbosa e strisciante. Sarà lui a gettare lo scompiglio nella
casa, a mettere a nudo contraddizioni, a disseppellire scomode verità e a
spingere un intreccio apparentemente immutabile verso un inarrestabile degrado.
FERDINANDO contiene notevoli elementi espressivi per una realizzazione teatrale
delle emozioni umane specchiandosi nella tagliente forza di una storia che
attraverso il teatro ruoti intorno al disvelamento di una serie di segreti.
FERDINANDO si concentra su quello che è forse il più insondabile mistero: la
mente umana. Nasce così in me l'esigenza di indagare il possibile e impossibile
mondo creativo che le donne sanno attuare quando i freni inibitori e culturali
non hanno più il loro potere censurante. Tutti i personaggi in una prima fase si
presenteranno nel loro quotidiano per poi disvelare geniali strategie e
stupefacenti mondi interiori. Lo spettacolo si incentrerà un'indagine minuziosa,
sul cogliere le sottigliezze dei gesti, degli sguardi, dei corpi in agguato.
Racconterà la singolare dinamica attraverso la quale gli oggetti divengono
padroni dei luoghi, mentre le fantasie interiori dei personaggi diventano
padroni della loro esistenza fino a spingerla verso una dimensione surreale,
comica, drammatica e imprevedibile: esiste sempre una connessione tra noi e i
luoghi, tra noi e gli oggetti, tra noi e la memoria. Le follie e gli incroci
amorosi contenuti nella trama emergeranno come elementi contemporanei e
modernissimi che da sempre regolano la potenza dei sogni e degli affetti
presenti nella storia dell'umanità. FERDINANDO mette in luce le connessioni
esistenziali fra dramma e malinconia, comicità e solitudine, sottolineando tali
contrasti attraverso un uso di una messinscena che mira a svelare gli opposti
sentimentali disseminati in tutte le esistenze.