Teatro Comunale: cartellone della stagione 2016/17
Caserta – dall'11 Novembre 2016
Comunicato stampa
Grande Teatro
Dal 11 al 13 Novembre, "Una festa esagerata" di e con
Vincenzo Salemme
regia Vincenzo Salemme. produzione Diana Or.I.S.
Una festa
esagerata! nasce da un’idea che avevo in mente da tempo, uno spunto che mi
permettesse di raccontare in chiave realisti ca e divertente il lato oscuro e
grottesco dell’animo umano. Non dell’umanità intera ovviamente, ma di quella
grande melassa/massa dalla quale provengo, quel blocco sociale che in Italia
viene definito “piccola borghesia”. Volevo parlare delle cosiddette persone
normali, di coloro che vivono nascondendosi dietro lo scudo delle convenzioni,
coloro che vivono le relazioni sociali usando il codice dell’ipocrisia come
unica strada per la sopravvivenza. Sopravvivenza alle “chiacchiere”, alle
“voci”, ai sussurri pettegoli e sospettosi dei vicini. E sì, perché io vedo la
nostra enorme piccola borghesia come un grande condominio, fatto di vicini che
si prestano lo zucchero, il termometro e si scambiano i saluti ma che, al
contempo, sono pronti a tradirsi, abbandonarsi e, in qualche caso estremo, anche
a condannarsi a vicenda. Non è la prima volta che questo ventre antico del
nostro paese viene messo in commedia ma l’idea dalla quale parto mi sembra molto
efficace in questo momento storico fatto di conflitti internazionali, guerre di
religione e odi razziali. La barbarie, temo, nasconda sempre dietro un alibi.
Ognuno trova sempre una buona ragione per odiare l’altro. Ma quel che temo
ancora di più é l’odio che si nasconde dietro il velo sorridente della nostra
educazione. Temo il buio del nostro animo spaventato. Temo la viltà dettata
dalla paura. Temo il sonno della ragione. Spero che questa commedia strappi
risate e sproni al dialogo. Un dialogo tra persone. Che si rispettano e, seppure
con qualche sforzo, provino a volersi bene.
Dal 18 al 20 Novembre,
"Carmen" con Balletto del Sud di Fredy Franzutti
produzione Balletto del Sud
Carmen, balletto in due atti di Fredy Franzutti, è una delle produzioni di
maggior successo della compagnia "Balletto del Sud", oggi una delle più
apprezzate nel panorama nazionale. In una versione della celeberrima eroina di
Prosper Mérimée si esalta il carattere della bellezza medusea che seduce il
pubblico di sempre anche grazie alla popolarissima musica di Georges Bizet al
quale testo dedicò un'opera lirica. Carmen è ambientata (nel testo e nella
versione musicale) in una Spagna letta da un punto di vista non autoctono,
ovvero da autori che ne colorano la componente esotica aumentando il fascino
delle caratteristiche tipiche della tradizione popolare di una terra che fu
crocevia di popoli e culture. Alle musiche di Bizet si affiancano opere di altri
autori (Albéniz, Chabrier e Massenet) che guardano nella stessa maniera il paese
e il popolo spagnolo dalla raffinatissima Parigi. Il modo in cui i personaggi
vivono elementi come il fato, il destino avverso, la superstizione, la passione,
il tradimento, la gelosia fino all'omicidio d'onore è tutt'ora invariato in
produzioni teatrali o cinematografiche contemporanee a cui la coreografia fa
riferimento. La Carmen di Fredy Franzutti ha avuto circa 90 repliche nei più
prestigiosi teatri e festival italiani, come il Teatro Antico di Taormina, il
Festival della Versiliana e l'inaugurazione del Teatro Grande di Pompei. Nel
2010 entra nel repertorio del Teatro dell'Opera di Tirana. Con Carmen Fredy
Franzutti riceve il prestigioso “Premio Internazionale Carlo Alberto Cappelli
2016”.
Dal 2 al 4 Dicembre, "Bello di papà" di Vincenzo
Salemme con Biagio Izzo
regia Vincenzo Salemme, produzione Bibì Productions
Bello di papà è una commedia del 2006. Credo che l’idea mi sia venuta quando in
tutto il mondo occidentale arrivavano i primi segnali della crisi economica che
ancora oggi fatichiamo a superare. Dico forse perché col senno di poi mi sembra
che Antonio Mecca, il dentista protagonista della commedia, possa rappresentare,
ovviamente in versione decisamente comica, il travaglio sociale, economico,
psicologico di una gran parte della cosidetta generazione dei cinquantenni, che
dall’inizio di questo millennio viene messa in discussione ogni volta che la
politica si deve occupare delle programmazioni finanziarie. Antonio Mecca è il
classico uomo che ha raggiunto una posizione sociale, ma che allo stesso tempo
la sente, questa posizione, vacillare sotto i colpi del cosidetto “Nuovo che
avanza”. E il “nuovo che avanza” per quella generazione cui facevo riferimento
poco più sopra, sono appunto i giovani che vogliono prendere i posti di comando.
Antonio ha paura di ogni novità, è un vero conservatore, conservatore di danaro,
ma soprattutto conservatore di affetti. Profondamente sarebbe un buono, ma
costantemente ha paura di essere fregato, è forse per questo che non si è mai
sposato, è forse per questo che adesso sta con una bellissima ragazza ucraina,
che gli piace da morire, ma che allo stesso tempo teme come un ingombrante
invasore, invasore della casa e soprattutto del conto corrente perché Marina,
l’ucraina, vorrebbe costruire una famiglia con Antonio, Marina vorrebbe
soprattutto (questa la cosa più terrificante e spaventevole per il nostro
dentista) dei figli. Antonio teme i figli più di ogni altra cosa perché i
bambini sono di un egoismo assoluto e lui, egoista per paura, questo proprio non
può accettarlo. E’ così che nasce l’idea di questa commedia, da questo
paradosso: un uomo che non vuole avere figli costretto a ricevere in casa un suo
coetaneo che ha bisogno di ritornare ad essere un figlio. Nel paradosso di
questo scontro generazionale tra due uomini della stessa età forse si nasconde
quello che io credo sia un finto problema. Penso che l’età ci distingua gli uni
dagli altri, ma altrettanto fermamente credo che dal punto di vista sociale
l’età sia soltanto una convenzione. Credo che dividere i cittadini tra giovani
ed anziani sia un vecchio modo di intendere la politica. Penso che esistano
piuttosto le persone e che ogni persona abbia il diritto e il dovere di
salvaguardare il proprio benessere sociale e spirituale.
Dal 16 al 18
Dicembre, ‘Buena Onda’ di Valter Lupo, Valerio Vestoso, Rocco Papaleo,
Giovanni Esposito, con Rocco Papaleo
regia Valter Lupo, produzione Nuovo
Teatro
Continua il viaggio di Rocco Papaleo ed i suoi fidati compagni di
viaggi attraverso il teatro canzone. Si parte per un’avventura ai confini del
mondo. Il viaggio e la scoperta saranno parte integrante della poetica di
Papaleo, ma questa volta sarà un viaggio più esotico. Come nel caso di "Una
piccola impresa meridionale", lo spettacolo seguirà l’uscita del nuovo film di
Rocco Papaleo nelle sale italiane. Rocco Papaleo conferma la volontà di creare
un teatro “a portata di mano”, con il solo desiderio, a ben vedere, di
stringerne altre.Entrare in teatro, per me, è come lasciare la terra ferma.È
solcare il mare dell’immaginazione, vivere un’esperienza di navigante.Per questo
il nostro teatro canzone questa volta vuole agire come se si trovasse su una
nave, che ci trasporta insieme ai passeggeri/spettatori per affrontare un
viaggio che possa divertire e, nella migliore delle ipotesi, emozionare. Ci
sentiamo di promettere una crociera a tutti gli effetti, magari non sfarzosa, ma
con tutto quello che serve per comporre un entertainment efficace. Avremo
marinai pronti a tutto per assistervi e divertirvi, l’orchestrina per ballare e
contrappuntare le storie che il Capitano vorrà raccontare e tra i passeggeri
cercheremo hostess e steward che accetteranno l’ironia del mettersi in gioco.La
nostra nave si chiama ‘Buena Onda’, l’onda buona, quella che solleva e dà
sollievo.La ‘Buena Onda’ prospetta di gettare al più presto l’ancora nella
vostra città.
Dal 13 al 15 Gennaio, "La locandiera B&B" di
Carlo Goldoni, con Laura Morante
di Edoardo Erba, liberamente ispirato a La
locandiera di Carlo Goldoni
con (in o.a.) Giulia Andò, Bruno Armando, Eugenia
Costantini, Vincenzo Ferrera, Danilo Nigrelli, Roberto Salemi
regia Roberto Andò, produzione Nuovo Teatro
In un’antica villa che sta per essere trasformata in albergo, Mira si ritrova
coinvolta in una strana cena organizzata dal marito con ambigui uomini d’affari.
Il marito non si è presentato e tocca a lei gestire una serata di cui non
capisce clima e finalità. Il suo unico punto di riferimento, il contabile della
società, a metà della cena se ne va senza spiegazioni lasciandola in balia degli
ospiti. Finché arriva uno sconosciuto che le chiede una stanza per riposare. I
due sembrano irresistibilmente attratti e Mira si appoggia a lui per affrontare
una situazione al limite del lecito, mentre via via si aprono squarci
inquietanti sulle attività del marito assente. Col procedere della notte, il
gioco si fa sempre più pericoloso e ineluttabile. Ma che parte ha Mira? Davvero
è così ingenua e sprovveduta come ci ha lasciato credere?
Humor nero,
intrighi, crimini, infatuazioni, la commedia di Edoardo Erba, disegnando il
sorprendente profilo di Mira, traccia con surreale leggerezza un inedito
ritratto dell'Italia di oggi, un Paese amorale, spinto dal desiderio di
liberarsi, una volta per tutte, del proprio passato, ingombrante e ambiguo, e
ricominciare daccapo.
A dar vita a Mira, Mirandolina dei giorni nostri, dei
nostri tempi di crisi, è una delle attrici italiani più raffinate, ironiche e
intelligenti, tra le grandi muse del cinema d’autore italiano e francese, più
volte vincitrice di premi prestigiosi come il David di Donatello, il Nastro
d’Argento, il Globo d’Oro, il Ciak d’Oro, l’European Film Awards, ma non nuova
alle tavole del palcoscenico: dopo gli esordi giovanissima con Carmelo Bene, ha
fatto più volte ritorno in teatro, sia quando viveva in Francia che a fine anni
Novanta, prima con Monicelli poi con Franceschi, e di nuovo nel 2013 con Roberto
Andò.
Dal 27 al 29 Gennaio. Massimo Ranieri in "Teatro del
Porto" versi, prosa e musica di Raffaele Viviani
con Ernesto Lama, Angela De
Matteo , Gaia Bassi, Roberto Bani, Mario Zinno, Ivano Schiavi, Antonio Speranza,
Francesca Ciardiello
l’orchestra: pianoforte Ciro Cascino, contrabbasso Luigi
Sigillo, fiati Donato Sensini, violino Sandro Tumolillo, tromba Giuseppe
Fiscale, batteria Mario Zinno
elaborazioni e ricerche musicali Pasquale
Scialò; scena e costumi Lorenzo Cutuli, disegno luci Maurizio Fabretti,
coreografie Giorgio De Bortoli
regia Maurizio Scaparro
Esiste in alcuni di
noi la memoria storica o il lontano ricordo di una Napoli vissuta mentre già
stava cambiando. Questa preziosa memoria è stata, per Massimo Ranieri e per me,
il primo filtro ma anche lo stimolo, dopo la felice esperienza di Viviani
Varietà, per continuare a lavorare su un nuovo spettacolo che potesse avere come
testimonianza di questo mondo, così ricco, la figura stessa di Raffaele Viviani.
Attraverso il suo teatro (particolarmente quello degli atti unici), le sue
parole, il suo canto scenico, si privilegia, così, quel vitalissimo giacimento
culturale e musicale che era la Napoli dei quartieri, quella parallela urbana
(aperta all’influenza e alle commistioni con il teatro e il Varietà europeo) e
di un altro sud che premeva sulla città.
Dal 3 al 5 Febbraio, "Qualcuno volò sul nido del
cuculo" di Dale Wasserman con Daniele Russo, Elisabetta Valgoi
regia
Alessandro Gassmann, produzione Fondazione Teatro di Napoli
costumi Chiara
Aversano
scene Gianluca Amodio
musiche Pivio & Aldo De Scalzi
Qualcuno
volò sul nido del cuculo è il romanzo che Ken Kesey pubblicò nel 1962 dopo aver
lavorato come volontario in un ospedale psichiatrico californiano; racconta,
attraverso gli occhi di Randle McMurphy - uno sfacciato delinquente che si finge
matto per sfuggire alla galera - la vita dei pazienti di manicomio statunitense
e il trattamento coercitivo che viene loro riservato. Nel 1971 Dale Wasserman ne
realizzò, per Broadway, un adattamento scenico, che costituì la base della
sceneggiatura dell'omonimo film di Milos Forman, interpretato da Jack Nicholson
e entrato di diritto nella storia del cinema. Oggi, la drammaturgia di Wasserman
torna in scena, rielaborata dallo scrittore Maurizio de Giovanni, che, senza
tradirne la forza e la sostanza visionaria, l'ha avvicinata a noi,
cronologicamente e geograficamente. Randle McMurphy diventa Dario Danise e la
sua storia e quella dei suoi compagni si trasferiscono nel 1982, nell'Ospedale
psichiatrico di Aversa. Sarà il talento registico di Alessandro Gassmann, con la
sua inconfondibile cifra stilistica elegante ma al tempo stesso appassionata, a
portare in scena la forte carica emotiva e sociale di Qualcuno volò sul nido del
cuculo, con una messinscena personalissima ma, contemporaneamente, fedele alle
intenzioni dell'originale.Note di regia La malattia, la diversità, la
coercizione, la privazione della libertà sono temi che da sempre mi coinvolgono
e che amo portare in scena con i miei spettacoli. Temi tutti straordinariamente
presenti in Qualcuno volò sul nido del cuculo [...]. Tutto ha inizio con
l'arrivo di un nuovo paziente che deve essere "studiato" per determinare se la
sua malattia mentale sia reale o simulata. La sua spavalderia, la sua
irriverenza e il suo spirito di ribellione verso le regole che disciplinano
rigidamente la vita dei degenti, porterà scompiglio e disordine ma allo stesso
tempo la sua travolgente carica di umanità contagerà gli altri pazienti e
cercherà di risvegliare in loro il diritto di esprimere liberamente le loro
emozioni e i loro desideri. Dario (il mio McMurphy) è un ribelle anticonformista
che comprende subito la condizione alla quale sono sottoposti i suoi compagni di
ospedale, creature vulnerabili, passive e inerti. Da quel momento si renderà
paladino di una battaglia nei confronti di un sistema repressivo, ingiusto,
dannoso e crudele, affrontando così anche un suo percorso interiore che si
concluderà tragicamente ma riscatterà una vita fino ad allora sregolata e
inconcludente. E, attraverso di lui, i pazienti riusciranno ad individuare
qualcosa che continua ad esser loro negato: la speranza di essere compresi, di
poter assumere il controllo della propria vita, la speranza di essere liberi. Un
testo che è una lezione d'impegno civile, uno spietato atto di accusa contro i
metodi di costrizione e imposizione adottati all'interno dei manicomi ma anche,
e soprattutto, una straordinaria metafora sul rapporto tra individuo e Potere
costituito, sui meccanismi repressivi della società, sul condizionamento
dell'uomo da parte di altri uomini. Un grido di denuncia che scuote le coscienze
e che fa riflettere. Come sempre ho lavorato sui complessi rapporti psicologici
tra i vari personaggi, immergendoli in uno spazio scenico realistico e asettico.
In questo caso, le videografie, che spesso utilizzo nei miei spettacoli, mi
permetteranno di tradurre in immagini i sogni e le allucinazioni dei cosiddetti
"diversi". L'obiettivo che mi pongo è, come sempre, quello di riuscire a far
emozionare un pubblico di ogni età, soprattutto i più giovani che forse non
conoscono quest'opera che è un vero e proprio inno alla libertà. Alessandro
Gassmann
Alla fine il palco sarà popolato da tutte queste sagome e dai due
attori: l'immagine stilizzata di una vita di coppia reale, faticosa e a volte
insensata. Perché non sempre ci accorgiamo che in due siamo molti di più. E
montare un letto con tutte queste persone intorno, anzi paure, non sarà mica una
passeggiata.
10 e 11 Febbraio, "Due" di Miniero e Smeriglia, con Raoul Bova, Chiara
Francini
(venerdì ore 20.45, sabato doppia replica ore 18.00 e ore 20.45)
regia Luca Miniero, produzione Enfi Teatro
La scena è una stanza
vuota. L’occasione è l’inizio della convivenza che per tutti gli essere umani,
sani di mente, è un momento molto delicato. Che siano sposati o meno, etero
oppure omo. Marco è alle prese con il montaggio di un letto matrimoniale, Paola
lo interroga sul loro futuro di coppia. Sapere oggi come sarà Marco fra 20 anni,
questa è la sua pretesa. O forse la sua illusione. La diversa visione della vita
insieme emerge prepotentemente nelle differenze fra maschile e femminile.
Entrambi i due giovani evocheranno facce e personaggi del loro futuro e del loro
passato: genitori, amanti , figli, amici che come in tutte le coppie turberanno
la loro serenità. Presenze interpretate dagli stessi due protagonisti che
accompagneranno fisicamente in scena dei cartonati con le varie persone evocate
dal loro dialogo. Alla fine il palco sarà popolato da tutte queste sagome e dai
due attori: l’immagine stilizzata di una vita di coppia reale, fati cosa e a
volte insensata. Perché non sempre ci accorgiamo che in due siamo molti di più.
E montare un letto con tutte queste persone intorno, anzi paure, non sarà mica
una passeggiata.
Dal 10 al 12 Marzo, "Sogno di una notte di
mezza estate" di Ruggero Cappuccio, con Isa Danieli, Lello Arena
regia
Claudio Di Palma, produzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro
Nel perimetro
simbolico della sala di un antico palazzo napoletano, Titania e Oberon attivano
una drammaturgia di capricci e smanie riducendo le sorti degli uomini a fragili
trame da vecchi teatri dei burattini. I due, come schegge di dei precipitati in
terra, continuamente sospesi fra sonno e veglia, inscenano armonie, assecondano
discordie, conducono, con estro malaccorto, una regia dei senti menti umani. Le
loro parole/ note contrappuntano la polifonia dei surreali ospiti del palazzo
(pupazzi, elfi, musicisti, attori), dettano sintonie tra lirismo e antiche
tradizioni narrative, reinventano fascinazioni favolisti che, si fanno poeti che
o scurrili a richiamare le alternanze emotive del mondo ispirativo
shakespeariano. Tra fedeltà ed irriverenza, la scrittura di Cappuccio
riorchestra il “Sogno” per cercare ulteriori rifrangenze all’incanto musicale
della lingua shakespeariana. La regia e la scena ne assecondano la lettura
trasformandosi, per amplificarne il suono, in una sorta di grande, onirico e
vagamente circense carillon.
Dal 31 Marzo al 2 Aprile, "Il
Sorpasso" di Dino Risi, con Giuseppe Zeno
regia Guglielmo Ferro, produzione
Bananas Srl
Il Sorpasso di Dino Risi è uno dei grandi capolavori della
commedia italiana. A più di cinquant’anni dall’uscita del film, per la prima
volta la celebre sceneggiatura – scritta dallo stesso Risi insieme con Ettore
Scola e Ruggero Maccari –, approda a teatro con la regia di Guglielmo Ferro e
l’adattamento di Micaela Miano. Nei panni di Bruno (magistralmente interpretato
sul grande schermo da Vittorio Gassman) l’attore Giuseppe Zeno, mentre a vestire
i panni del suo contraltare, Roberto, la giovane promessa Luca Di Giovanni. La
pièce vede anche la partecipazione di Margareth Madè al suo debutto teatrale,
nel doppio ruolo della moglie di Bruno e della zia di Roberto. Manifesto
dell’Italia del ‘boom’ economico, Il Sorpasso è, al tempo stesso, un grande road
movie psicologico, il che lo rende un testo senza tempo. Spogliato della
connotazione storico-sociale, il film è costruito su una drammaturgia
destrutturata, scatola aperta ideale per una riscrittura teatrale focalizzata
sui personaggi. In questa dinamica la trasposizione teatrale mette al centro
della vicenda i due protagonisti, e il loro incontro/scontro come puro conflitto
caratteriale e psicologico. Tra Bruno e Roberto si stabilisce sin dalle prime
scene un giocoforza di prevaricazione, rivendicazione, ambizioni, fughe,
rinascite, silenzi e violenza. Il loro sarà un viaggio jarmuschanoall’interno
delle bolle conflittuali che ognuno ha provato a cancellare a nascondere,
allontanandosene fisicamente il più possibile e che solo in compagnia
dell’altro, estraneo e non giudicante, pensa di poter affrontare e risolvere.
Percorsi Partenopei
18 e 19 Febbraio, "Gran Café Chantant" di Tato Russo con
Tato Russo
regia Tato Russo, produzione T.T.R.
Siamo ai primi del 900, nel
cuore della belle epoque. Molti teatri di prosa chiudono perché la moda
dell’epoca li rende ormai deserti. Qualcuno per seguirla viene trasformato in
ritrovo di numeri ben più allegrotti. Due coppie di artisti ormai alla fame sono
costretti, loro detentori dell’antica arte della tragedia, a riciclarsi come
vedette di café chantant. Una serie infinita di traversie e di avventure tutte
da ridere li accompagna in quello che vuole soprattutto essere l’affresco d’un
epoca edonistica e culturalmente in grande decadenza. Tato Russo riscrive e
trasforma la commedia di Scarpetta in un vaudeville, che è un tourbillon di
trovate e di caratteri, e intorno al classico divertentissimo intreccio
scarpettiano ci propone l’analisi critica di un periodo storico che, pur durando
lo spazio di una meteora, fu denso di significati culturali e civili, che
chiudeva un secolo, l’Ottocento, e ne proponeva un altro: quello dell’opera
moderna. Un mitico quindicennio che,pur proponendosi come un’epoca di splendori,
portava in se un periodo di miseria e decadenza. Nel 1900 i teatri di prosa
chiudevano per lasciare spazio al Café Chantant. Questa nuova forma di
spettacolo metteva in crisi quello tradizionale come accadrà qualche decennio
più tardi con l’avvento del cinema e oggi con l’avvento dei one man show da
cabaret. I luoghi teatrali si trasformavano. Chiudevano molti " teatri storici",
altri per sopravvivere erano costretti a modificare il repertorio. La vicenda
dura un giorno, ma Tato Russo dilata lo spazio temporale di questa giornata,
riferendola all’intero periodo di quel quindicennio, dalla nascita, allo
splendore, alla miseria del café chantant: un lungo giorno in cui cambia la
moda, il gusto, la maniera di pensare della gente. E se l’azione parte dalla
crisi del teatro di prosa determinata dall’aggressione del café chantant,
termina nella fine quest’ultimo a sua volta stroncato dall’avvento del cinema.
Intorno ai quattro protagonisti della storia si muove una miriade di personaggi,
che vagano tra tipi macchiette. Tato Russo ha impostato la commedia su questa
folleggiante contrapposizione di stili recitativi e di drammaturgia. Da una
parte il linguaggio di commedia che sarà di Eduardo, dall’altra quello da farsa
che è tipico di Scarpetta. Da una parte un Felice, personaggio nel vero senso
della parola; dall’altra il mondo delle caricature, dei trucchi, delle
esagerazioni. Tato Russo ripropone cosi uno Scarpetta diverso, più vicino ai
classici nelle linee di una direzione personale di fare teatro, laddove ogni
intuizione critica non si propone mai come fine a se stessa ma sottostà invece
ad un piano organico di messa in scena, in cui ogni elemento concorre in giusta
proporzione con tutti gli altri. Uno spettacolo ricco di trovate, di colori, di
contenuti. Un vero fuoco di fila affidato alla grande bravura di tutti gli
interpreti con alla testa
4 e 5 Marzo, "Troppo Napoletano"
di Alessandro Siani
regia Gianluca Ansanelli, produzione Buona Luna Srl
Troppo Napoletano è stato un particolare fenomeno cinematografico. Una
coproduzione di Alessandro Siani e Cattleya ed è stato percepito da molti come
un film piccolo ma dalle grandi emozioni. Una storia semplice che racconta le
differenze che ci possono essere nella stessa città tra due zone meravigliose:
il Rione Sanità e il quartiere di Posillipo. Sarà proprio l’amore tra uno
scugnizzo e una posillipina a far emergere i contrasti, ma soprattutto le
tradizioni, le speranze ed i sentimenti che hanno lo stesso sapore per chi è
nato a Napoli. Con questo carico di emozioni, Troppo Napoletano sbarca a teatro,
ma in una versione che si dirige tra la commedia ed il musical. Un cast
rinnovato, ma con Gennaro Guazzo, giovane protagonista, a trascinare il pubblico
dal cinema alle tavole del palcoscenico.
22 e 23 Aprile, "Il pomo della discordia"
di Carlo Buccirosso, con Carlo Buccirosso
regia Carlo Buccirosso, produzione
Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro
con Maria Nazionale e con (in ordine di
apparizione) Monica Assante di Tatisso, Giordano Bassetti, Claudia Federica
Petrella, Elvira Zingone, Matteo Tugnoli, Mauro De Palma, Peppe Miale, Fiorella
Zullo e con la partecipazione di Gino Monteleone
musiche Sal Da Vinci
Doveva essere un giorno felice, si celebravano le nozze della dea del mare con
un uomo bellissimo, e tutti gli dei erano venuti a festeggiare gli sposi,
portando loro dei doni!…
La sala del banchetto splendeva di mille luci e
sulla tavola brillavano caraffe e coppe preziose, colme di nettare ed ambrosia,
e tutti gli invitati erano felici e contenti… solo Eris, dea della discordia,
non era stata invitata, ma nel bel mezzo del banchetto, arrivò, lanciò una mela
d’oro sul tavolo imbandito e scappò via, creando dissapori e contrasti tra i
tutti i presenti.”
Tutto ciò, in breve, appartiene alla classica mitologia
greca, ma proviamo a trasferirla ai giorni d’oggi, in una normale famiglia
benestante, dove l’atmosfera e l’euforia di una festa di compleanno organizzata
a sorpresa per Achille, primogenito dei coniugi Tramontano, potrebbe essere
turbata non da una mela, non da un frutto, bensì da un pomo, un pomo d’Adamo, o
meglio, il pomo di Achille, il festeggiato, ritenuto un po’ troppo sporgente…
E se aggiungiamo che Achille, vivendo un rapporto molto difficile con suo padre
Nicola, è continuamente difeso a spada tratta da sua madre, la epica Angela, non
essendosi ancora dichiarato gay, e non avendo mai presentato Cristian, il
proprio fidanzato, che da anni bazzica in casa spacciandosi per il compagno di
sua sorella Francesca…
Se aggiungiamo poi che alla festa sarà presente anche
Sara, prima ed unica fiamma al femminile della sua tormentata adolescenza,
Manuel estroso trasformista, Marianna garbata psicologa di famiglia, ed Oscar un
bizzarro vicino di casa che non ha mai tenuto nascoste le proprie simpatie nei
confronti di Achille…
Beh, allora possiamo realmente comprendere come a
volte la realtà, possa di gran lunga superare le fantasie, anche quelle più
remote della antica mitologia…
Omero mi perdoni!
29 e 30
Aprile,
"Canto D’Autore" con Maria Nazionale
scritto da Francesco
Sigillo e Maria Nazionale
con: Erasmo Petringa, violoncello, OUD, mandola,
Aniello Palomba, chitarra e bouzouki, Francesco Sigillo, basso e con Ciccio
Merolla, percussioni
arrangiamenti M° Erasmo Petringa
regia Maria
Nazionale
produzione artistica ed esecutiva Francesco Sigillo
Canto
d’autore è un omaggio di Maria Nazionale ai cantautori italiani che l’hanno
influenzata artisticamente (Pino Daniele, Franco Battiato, Fabrizio De Andrè), o
con i quali ha collaborato (Francesco De Gregori, Enzo Gragnaniello),
contribuendo al processo di ricerca e crescita artistica.
Brani di grande
spessore e poeticità come E ti vengo a Cercare, Buonanotte Fiorellino, Crueza de
Mar, Don Raffaè, sono, qui, riproposti con ricercate sonorità, non dimenticando,
però, i brani classici napoletani, grande patrimonio artistico e culturale della
musica italiana nel mondo.
In questo recital, Maria Nazionale ripercorre le
fasi del suo percorso formativo e artistico. Da bambina, durante le prime
lezioni di canto, imparava a conoscere, amare e studiare le canzoni classiche
napoletane, fino a quando, poco più che adolescente, si trasferì a Milano per
approfondire gli studi. Ed è proprio in quel periodo che scopre la canzone
d’autore, i poeti e i musicisti più rappresentativi.
Così, dopo aver
interpretato e inciso alcune delle più belle melodie classiche Napoletane, e
dopo aver portato la canzone napoletana d’autore al Festival di Sanremo, con i
brani “E’ colpa mia” di Servillo/Mesolella e “Quando non parlo” di Enzo
Gragnaniello, nasce l’esigenza di voler reinterpretare con sonorità mediterranee
alcuni dei brani che più hanno inciso sul suo percorso formativo.
Alcuni
testi di canzoni diventano poesie recitate, e le poesie si trasformano in
canzoni, dando vita ad uno spettacolo passionale e raffinato come risulta essere
lo stile di Maria Nazionale.
Un concerto elegante e raffinato proposto da una
delle voci più particolari del panorama italiano. Le sue doti vocali hanno
affascinato grandi artisti come Brian Eno, Michael Bolton e Francesco De
Gregori, con i quali ha anche collaborato, e Andrea Bocelli, il quale, in
occasione della partecipazione di Maria Nazionale al Festival di Sanremo, non si
è sottratto ad un sincero elogio.
Teatro Civile
16 Gennaio, Cabaret Yiddish, di Moni Ovadia con Moni Ovadia
regia Moni Ovadia, produzione Promo Music
La lingua, la musica e la cultura
Yiddish, quell’inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo,
ucraino e romeno, la condizione universale dell’Ebreo errante, il suo essere
senza patria sempre e comunque, sono al centro di “Cabaret Yiddish” spettacolo
da camera da cui è poi derivato il più celebre Oylem Goylem. Si potrebbe dire
che lo spettacolo abbia la forma classica del cabaret comunemente inteso.
Alterna infatti brani musicali e canti a storielle, aneddoti, citazioni che la
comprovata abilità dell’intrattenitore sa rendere gustosamente vivaci. Ma la
curiosità dello spettacolo sta nel fatto di essere interamente dedicato a quella
parte di cultura ebraica di cui lo Yiddish è la lingua e il Klezmer la musica.
Uno spettacolo che “sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe”.
Tutto questo è ciò che Moni Ovadia chiama “il suono dell’esilio, la musica della
dispersione”: in una parola della diaspora.La musica Klezmer deriva dalle parole
ebraiche Kley Zemer, che si riferiscono agli strumenti musicali (violino ed
archi in genere e clarinetto) con cui si suonava la musica tradizionale degli
Ebrei dell’est europeo a partire all’incirca dal XVI secolo. Ho scelto di
dimenticare la “filologia” per percorrere un’altra possibilità proclamando che
questa musica trascende le sue coordinate spazio-temporali “scientificamente
determinate” per parlarci delle lontananze dell’uomo, della sua anima ferita,
dei suoi sentimenti assoluti, dei suoi rapporti con il mondo naturale e sociale,
del suo essere “santo”, della sua possibilità di ergersi di fronte all’universo,
debole ma sublime. Gli umili che hanno creato tutto ciò prima di poter diventare
uomini liberi, sono stati depredati della loro cultura e trasformati in
consumatori inebetiti ma sono comunque riusciti a lasciarci una chance postuma,
musica che si genera laddove la distanza fra cielo e terra ha la consistenza di
una sottile membrana imenea che vibrando, magari solo per il tempo di una
canzonetta, suggerisce, anche se è andata male, che forse siamo stati messi qui
per qualcos’altro.
24 Gennaio, Il lavoro di vivere, di
Hanoch Levin con Carlo Cecchi, Fulvia Carotenuto, Massimo Loreto
regia Andrée
Ruth Shammah, produzione Teatro Franco Parenti
Andrée Shammah, con la
complicità di Carlo Cecchi, uno degli ultimi grandi maestri del teatro italiano,
qui protagonista insieme a Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto, confeziona con la
consueta eleganza e raf natezza, la regia de Il lavoro di vivere di Hanoch
Levin, il più importante autore e drammaturgo israeliano. Il teatro di Levin è
irriverente: la poesia si nasconde dentro le situazioni più imbarazzanti, i suoi
testi sono una commistione di spiritualità nobile e cruda realtà; dalla critica
alla cultura borghese ai contrasti tra carne e spirito, “arte e culo”, perché il
meschino sogna di stare sotto il ri esso della luce della felicità altrui. Così
avviene anche per Il lavoro di vivere, una storia d’amore fra due persone di
mezza età, in cui l’amore appare a barlumi folgoranti, in mezzo a un mare di
insulti, parole durissime e rimpianti. Lo spettatore ride di gusto, senza
accorgersi che sta ridendo di se stesso.
20 Febbraio, Enigma
di Stefano Massini, con Ottavia Piccolo, Silvano Piccardi
regia Silvano
Piccardi, produzione Arca Azzurra Teatro
La chiave di lettura di ENIGMA, di
Stefano Massini, sta nel sottotitolo: “niente significa mai una cosa sola”. Una
certezza il testo ce la fornisce: ci troviamo a Berlino circa vent'anni dopo
quel fatidico 9 novembre 1989, in cui il Governo della Repubblica Democratica
Tedesca (Germania est), decretò la soppressione del divieto, per i suoi
cittadini, di passare liberamente dall'altra parte del “muro” che fino ad allora
aveva diviso in due la città, il paese e il mondo intero. Ed ecco che, caduto il
muro, vite, esperienze, certezze, lutti e speranze, si frantumano, si
incontrano, si mischiano... È a un segmento di tutto ciò che siamo chiamati ad
assistere. Un'altra certezza, sta nel luogo in cui si svolge l'azione scenica:
un grande spazio unico comprensivo di cucina, letto, divano, tavolo e
quant’altro può definire un posto “casa”. Umuli di riviste e libri si ammassano
un po’ dappertutto nell’incuria generale”. Qui hanno fine le certezze.Decifrare
di volta in volta il senso della vicenda, sia personale che collettiva, che lega
i due personaggi, che svela i loro caratteri e la natura complessa della loro
relazione, è il compito a cui l'autore chiama i personaggi stessi ma, attraverso
la suspense del gioco teatrale, anche e soprattutto il pubblico. Purché sia
chiaro, che la posta in gioco non è solo la possibilità/capacità di sbrogliare i
tanti piccoli enigmi delle due vite che si intrecciano, si scontrano e si
confrontano sul palcoscenico, ma quello di penetrare il più grande degli enigmi:
quello della Storia stessa.