Teatro Garibaldi: programma stagione 2016/17
S. Maria C. V. (CE) – dal 4 Novembre 2016 al 25 Marzo 2017
Comunicato stampa
A cura del Teatro Pubblico Campano, Inizio Spettacoli ore 2
4 Novembre,
"Serata d'amore" di Manlio Santanelli e Isa Danieli
con Isa Danieli, regia Manlio Santanelli
produzione Ente Teatro
Cronaca Vesuvioteatro
“Serata d'amore” è l'omaggio devoto e accorato ad
Annibale Ruccello da parte di Isa Danieli e Manlio Santanelli. Un percorso alla
rovescia: dall'ultima sua commedia alla prima, come a risalire un fume. Un fume
che porta al centro di un continente o di un pianeta. Un viaggio fno al nocciolo
duro fno al cuore. Un cuore di tenebra, se non lo rischiarassero i lampi di
un'ironia così mediterranea. L'opera di un commediografo di qualità mal si
presta ad essere ricondotta, anche soltanto in sede di interpretazione, ad un
unico concetto generale che possa valere per ogni testo di cui quell'opera si
compone. Ricondurre, in tal caso, equivarrebbe a ridurre. Ciò vale ancora di più
se riferito all'intera produzione di Annibale Ruccello che, per l'indubbia
capacità che egli possiede di raccogliere dalle silenziose esplosioni del
quotidiano la più piccola scheggia, il minimo frammento che ne rievochi con
struggente amarezza la perduta integrità, si sottrae ostinatamente all'uso di
singole chiavi di lettura. E tuttavia, leggendo e rileggendo le commedie di
Ruccello in vista della messa in scena di questa “Serata d’amore”, ci siamo
imbattuti di continuo in un tema che, seppure in forma sempre diversa, ricorre
con ossessiva puntualità: la solitudine. Ma la solitudine che aleggia nelle
atmosfere teatrali di Ruccello, e le inchioda ad un panorama di spietata
attualità anche quando, come in “Ferdinando”, l'azione è suggestivamente posta
lontano nel tempo, è di una qualità del tutto speciale; o, meglio, speciale è la
circostanza in cui i suoi per personaggi contraggono un simile malessere.
Perché, a ben rifettere, quella solitudine è sempre vincolata all'amore
attraverso un preciso nesso di causalità. È, in breve, il prezzo che deve pagare
chi ama o anche chi soltanto dispone ad amare. E non potrebbe essere
diversamente. La civiltà in cui viviamo, e che il teatro di Ruccello si
restituisce in tutte le sue contraddizioni, sembra favorire l'amore (si pensi al
caso limite della pubblicità, che spudoratamente lo reclamizza come uno dei rami
più profcui della produzione e del consumo); ma in realtà è ferocemente
erotofobica, penalizza amore e amanti a tutti i livelli: nega nei fatti quello
che pure non perde occasione di esaltare a parole. Resta la solitudine, ultima
“spes” o meglio ultima disperazione. E così una “Serata d'amore” automaticamente
diviene una “serata di solitudine”. A questo punto, però, dobbiamo registrare il
verifcarsi di un piccolo ma signifcativo miracolo: l’impiego della Danieli come
attrice solista si rivela non soltanto una scelta produttiva, ma anche
un’inquietante soluzione stilistica. Il suo folle monologare, il suo ansimante
dialogare con interlocutori invisibili, normale conseguenza del suo stare in
scena da sola alla fne sembra insinuare che tutto il teatro di Ruccello possa
essere letto come una ricca galleria di personaggi che parlano ai fantasmi, che
si muovono in mezzo ai fantasmi. L’opera di un commediografo di qualità, abbiamo
detto, mal si presta ad essere ricondotta a singoli concetti generali. Ma peggio
ancora si presta ad essere esplorata, ad essere penetrata nel suo mistero di
fondo. Se con questo spettacolo ci siamo appena accostati a quel mistero, se
soltanto lo abbiamo sforato, possiamo dire con soddisfazione che ne è valsa la
pena. Isa Danieli, Manlio Santanelli
19 Novembre,
"Una festa esagerata!" con Vincenzo
Salemme
regia Vincenzo Salemme
Una festa esagerata! nasce da un’idea
che avevo in mente da tempo, uno spunto che mi permettesse di raccontare in
chiave realisti ca e divertente il lato oscuro e grottesco dell’animo umano. Non
dell’umanità intera ovviamente, ma di quella grande melassa/massa dalla quale
provengo, quel blocco sociale che in Italia viene definito “piccola borghesia”.
Volevo parlare delle cosiddette persone normali, di coloro che vivono
nascondendosi dietro lo scudo delle convenzioni, coloro che vivono le relazioni
sociali usando il codice dell’ipocrisia come unica strada per la sopravvivenza.
Sopravvivenza alle “chiacchiere”, alle “voci”, ai sussurri pettegoli e
sospettosi dei vicini. E sì, perché io vedo la nostra enorme piccola borghesia
come un grande condominio, fatto di vicini che si prestano lo zucchero, il
termometro e si scambiano i saluti ma che, al contempo, sono pronti a tradirsi,
abbandonarsi e, in qualche caso estremo, anche a condannarsi a vicenda. Non è la
prima volta che questo ventre antico del nostro paese viene messo in commedia ma
l’idea dalla quale parto mi sembra molto efficace in questo momento storico
fatto di conflitti internazionali, guerre di religione e odi razziali. La
barbarie, temo, nasconda sempre dietro un alibi. Ognuno trova sempre una buona
ragione per odiare l’altro. Ma quel che temo ancora di più é l’odio che si
nasconde dietro il velo sorridente della nostra educazione. Temo il buio del
nostro animo spaventato. Temo la viltà dettata dalla paura. Temo il sonno della
ragione. Spero che questa commedia strappi risate e sproni al dialogo. Un
dialogo tra persone. Che si rispettano e, seppure con qualche sforzo, provino a
volersi bene.
14 dicembre, "Buena onda" di Valter Lupo,
Valerio Vestoso, Rocco Papaleo, Giovanni Esposito
con Rocco Papaleo e
Giovanni Esposito, regia Valter Lupo
produzione Nuovo Teatro
Continua il viaggio di Rocco Papaleo ed i suoi fidati compagni di viaggi
attraverso il teatro canzone. Si parte per un’avventura ai confini del mondo. Il
viaggio e la scoperta saranno parte integrante della poetica di Papaleo, ma
questa volta sarà un viaggio più esotico. Come nel caso di "Una piccola impresa
meridionale", lo spettacolo seguirà l’uscita del nuovo film di Rocco Papaleo
nelle sale italiane. Rocco Papaleo conferma la volontà di creare un teatro “a
portata di mano”, con il solo desiderio, a ben vedere, di stringerne
altre.Entrare in teatro, per me, è come lasciare la terra ferma.È solcare il
mare dell’immaginazione, vivere un’esperienza di navigante.Per questo il nostro
teatro canzone questa volta vuole agire come se si trovasse su una nave, che ci
trasporta insieme ai passeggeri/spettatori per affrontare un viaggio che possa
divertire e, nella migliore delle ipotesi, emozionare.Ci sentiamo di promettere
una crociera a tutti gli effetti, magari non sfarzosa, ma con tutto quello che
serve per comporre un entertainment efficace. Avremo marinai pronti a tutto per
assistervi e divertirvi, l’orchestrina per ballare e contrappuntare le storie
che il Capitano vorrà raccontare e tra i passeggeri cercheremo hostess e steward
che accetteranno l’ironia del mettersi in gioco.La nostra nave si chiama ‘Buena
Onda’, l’onda buona, quella che solleva e dà sollievo.La ‘Buena Onda’ prospetta
di gettare al più presto l’ancora nella vostra città.
21 Gennaio,
"La cantata dei pastori" di
Peppe Barra e Paolo Memoli
con Peppe Barra, regia Peppe Barra
produzione Consorzio Campano Teatro e Musica, costumi Annalisa Giacci, scene Lele Luzzati
musiche Roberto De Simone
Non c'e' Natale senza
La Cantata dei Pastori e da quarant'anni a questa parte non c'e' Cantata senza
Peppe Barra. La Cantata dei Pastori ha un titolo lunghissimo e barocco, ma e'
universalmente nota con l'abbreviazione d'uso. Fu scritta alla fine del Seicento
(1698) da Andrea Perrucci e da allora, da piu' di tre secoli, e' continuamente
rappresentata, rimaneggiata, riscritta. Ultimo e piu' illustre di tutti e' Peppe
Barra, che aveva gia' interpretato l'opera a fianco della madre Concetta, nel
ruolo di un irresistibile Sarchiapone, dopo essere stato l'Angelo nella versione
di Roberto De Simone alla fine degli anni Settanta. La Cantata dei Pastori e' la
storia delle traversie di Giuseppe e Maria per giungere al censimento di
Betlemme. Nel difficile viaggio vengono accompagnati da due figure popolari
napoletane, Razzullo, scrivano napoletano assoldato per il censimento, e
Sarchiapone, barbiere pazzo e omicida, maschera ispirata quasi direttamente
dalla tradizione popolare dei Pulcinella e antesignano di Felice Sciosciammocca.
Sarchiapone e' la dimostrazione delle varie sovrapposizioni e aggiunte delle
tradizioni delle Cantate. Il personaggio di Sarchiapone non esisteva infatti
nella versione originale di Perrucci, fu introdotto per rendere meno paludata la
rappresentazione, per adattarla al gusto del pubblico e via, via, si e' andato
ritagliando un ruolo sempre piu' importante. Anche nella tradizione iconografica
del presepe i personaggi hanno un nome e un ruolo sia perche' Andrea Perrucci lo
ha scritto e sia perche' tre secoli di rappresentazioni lo hanno trascritto e
rappresentato. Il presepe popolare napoletano e' direttamente influenzato dalla
Cantata dei pastori che mescola il suo narrare con quello dei vangeli apocrifi e
con altre tradizioni popolari del sud, a meta' strada tra il cristiano, il
pagano, il magico. Molti sono gli ostacoli che Giuseppe e Maria dovranno
superare prima di trovare rifugio nella grotta della Nativita' . Ed e'
naturalmente conseguente il lieto fine, la salvazione dell'umanita' dal peccato
e il ritorno di Belfagor, sconfitto, nel suo mondo infero di fiamme e zolfo.
Fino all'anno prossimo, quando anche lui, vecchio diavolaccio impunito, potra'
tornare a raccontarci la storia infinita della lotta millenaria tra Bene e Male.
Insomma, un grande archetipo.
4 febbraio, "Sono apparso a San
Gennaro" di Federico Salvatore
con Federico Salvatore, regia Federico Salvatore
Si tratta di un’opera
corale ambientata nella città di Napoli che nasce dall’estro musicale e creativo
di Federico Salvatore. Il panorama che offre della società napoletana, e non
solo, dei tipi, dei caratteri, degli usi e dei costumi, è vario, colorito,
sferzante, dissacratorio. Ci sono numeri, scenette, una recitazione sciolta e
brillante ricca di quel colore che solo il palcoscenico può dare. Recupero di un
mondo popolare e reale, quindi ai limiti del pittoresco e comunque lontano dal
teatro di convenzione borghese.La scena rappresenta una piazza nella zona del
porto di Napoli dove il dialetto si fa strumento di espressività teatrale con
evidenti richiami alla commedia dell’arte. A popolare la piazza sono figure
(attori, attrici e ballerini-mimo) tratte dai vari strati sociali in cui gli
aspetti della vita diventano loro stessi commedia. Sopra di loro si muove il
matto del quartiere, il barbone, il diverso, interpretato dallo stesso autore,
che, libero da ogni convenzione, fotografa lucidamente il mondo intorno a lui.Il
cantattore Federico Salvatore riveste di teatro i suoi successi televisivi.
Ripercorre la sua storia musicale, sceneggiando alcune canzoni (Ninna nanna,
Incidente al Vomero, Azz, Donna Amalia, ‘O figlio d’’o zappatore, ecc…) che, già
di per sé, potevano considerarsi delle micro-sceneggiate, o vere e proprie
rappresentazioni di un genere popolare.
14 Febbraio, "Bello
di papà" di Vincenzo Salemme
con Biagio Izzo, regia Vincenzo
Salemme
produzione Bibì Productions
Bello di papà è una commedia del
2006. Credo che l’idea mi sia venuta quando in tutto il mondo occidentale
arrivavano i primi segnali della crisi economica che ancora oggi fatichiamo a
superare. Dico forse perché col senno di poi mi sembra che Antonio Mecca, il
dentista protagonista della commedia, possa rappresentare, ovviamente in
versione decisamente comica, il travaglio sociale, economico, psicologico di una
gran parte della cosidetta generazione dei cinquantenni, che dall’inizio di
questo millennio viene messa in discussione ogni volta che la politica si deve
occupare delle programmazioni finanziarie. Antonio Mecca è il classico uomo che
ha raggiunto una posizione sociale, ma che allo stesso tempo la sente, questa
posizione, vacillare sotto i colpi del cosidetto “Nuovo che avanza”. E il “nuovo
che avanza” per quella generazione cui facevo riferimento poco più sopra, sono
appunto i giovani che vogliono prendere i posti di comando. Antonio ha paura di
ogni novità, è un vero conservatore, conservatore di danaro, ma soprattutto
conservatore di affetti. Profondamente sarebbe un buono, ma costantemente ha
paura di essere fregato, è forse per questo che non si è mai sposato, è forse
per questo che adesso sta con una bellissima ragazza ucraina, che gli piace da
morire, ma che allo stesso tempo teme come un ingombrante invasore, invasore
della casa e soprattutto del conto corrente perché Marina, l’ucraina, vorrebbe
costruire una famiglia con Antonio, Marina vorrebbe soprattutto (questa la cosa
più terrificante e spaventevole per il nostro dentista) dei figli. Antonio teme
i figli più di ogni altra cosa perché i bambini sono di un egoismo assoluto e
lui, egoista per paura, questo proprio non può accettarlo. E’ così che nasce
l’idea di questa commedia, da questo paradosso: un uomo che non vuole avere
figli costretto a ricevere in casa un suo coetaneo che ha bisogno di ritornare
ad essere un figlio. Nel paradosso di questo scontro generazionale tra due
uomini della stessa età forse si nasconde quello che io credo sia un finto
problema. Penso che l’età ci distingua gli uni dagli altri, ma altrettanto
fermamente credo che dal punto di vista sociale l’età sia soltanto una
convenzione. Credo che dividere i cittadini tra giovani ed anziani sia un
vecchio modo di intendere la politica. Penso che esistano piuttosto le persone e
che ogni persona abbia il diritto e il dovere di salvaguardare il proprio
benessere sociale e spirituale.
20 Febbraio, "Teatro del
porto" di Raffaele Viviani
con Massimo Ranieri, regia Maurizio Scaparro
produzione Gli Ipocriti
Esiste in alcuni di noi la memoria storica o il
lontano ricordo di una Napoli vissuta mentre già stava cambiando. Questa
preziosa memoria è stata, per Massimo Ranieri e per me, il primo filtro ma anche
lo stimolo, dopo la felice esperienza di Viviani Varietà, per continuare a
lavorare su un nuovo spettacolo che potesse avere come testi monianza di questo
mondo, così ricco, la figura stessa di Raffaele Viviani attraverso il suo teatro
(particolarmente quello degli atti unici), le sue parole, il suo canto scenico
privilegiando così quel vitalissimo giacimento culturale e musicale che era la
Napoli dei quartieri, quella parallela urbana (aperta all’influenza e alle
commistioni con il teatro e il Varietà europeo) e di un altro sud che premeva
sulla città. È nato così Caffè del Porto pensando ad uno spazio neutro sospeso
tra il mare e la terra (quasi un “porto delle nebbie” come l’abbiamo chiamato
durante le prime prove) uno spazio che favorisse lo scambio di conoscenza e di
speranze che veniva dal mare e dove vorremmo che Raffaele Viviani ci portasse
per mano attraverso il suo teatro e la sua musica per ricordare sogni e
delusioni di una grande città, e per accompagnarci verso un futuro già
cominciato scoprendo, anche grazie a lui, parole vecchie e nuovi significati
come “mediterraneo”, “emigrazione” e, con un po’ di ottimismo, anche “cultura” e
“teatro”.
17 Marzo, "Diana e Lady D" di Vincenzo
Incenzo
con Serena Autieri, regia Vincenzo Incenzo
produzione Engage
La
trama: il dialogo dell'ultima notte
E' la sera dell'incidente; Diana sta per
lasciare l'appartamento all'Hotel Ritz di Parigi e raggiungere Dodi in macchina;
un ultimo colpo di cipria allo specchio ed ecco l'immagine riflessa di Lady D.
E' l'occasione per confessarsi definitivamente una all'altra lontano da tutto e
tutti, e mettere sul piatto senza più nessuna riserva le loro vite inadeguate.
E' un rinfacciarsi di colpe, un susseguirsi di accuse, fino addirittura allo
scontro fisico, ma è anche il tentativo estremo di essere ascoltate, comprese,
abbracciate. Per arrivare al perdono, alla ricomposizione del se’, al ritorno
all’Uno; dopo di cui tutto, anche la morte, può essere accolta con tenera
leggerezza.
Lo spettacolo: una donna allo specchio
Diana & Lady D è un
dialogo per voce sola. Serena Autieri sul palco inscena una performance verbale
e fisica dai contrasti sorprendenti. La scenografia è sviluppata in verticale,
su due piani, (alto e basso); Lady D sul livello superiore incombe, Diana
soccombe. Il concetto è il recupero della mitologica immagine doppia di Narciso
che si riflette nel lago. Serena migra da un’anima all’altra muovendosi di
continuo, incarnando gli stati d’animo più diversi, vestendosi e truccandosi a
vista.
La scena prevede grandi specchi in cui Serena/Diana/Lady D si
riflette, si perde, si sdoppia, torna bambina, si moltiplica. Ballerine e
Acrobate, (effetto “Golconda” di Magritte), accompagnano l’esecuzione delle
canzoni, evergreen dei Beatles, Elton John e inediti.
25 Marzo, "Laika" di Ascanio
Celestini (rimandato al 29)
con Ascanio Celestini e Gianluca Casadei alla fisarmonica e la voce
fuori campo di Alba Rohrwacher
Un Gesù improbabile si confronta coi propri
dubbi e le proprie paure. Vive chiuso in un appartamento di qualche periferia.
Dalla sua finestra si vede il parcheggio di un supermercato e il barbone che di
giorno chiede l’elemosina e di notte dorme tra i cartoni. Con Cristo c’è Pietro
che passa gran parte del tempo fuori di casa ad operare concretamente nel mondo:
fa la spesa, compra pezzi di ricambio per riparare lo scaldabagno, si arrangia a
fare piccoli lavori saltuari per guadagnare qualcosa.
Questa volta Cristo
non si è incarnato per redimere l’umanità, ma solo per osservarla e gli ha messo
accanto uno dei dodici apostoli come sostegno. Il vero nome di Pietro è Simone.
La radice ebraica shama significa ascoltare. Dunque Simon Pietro è colui che
ascolta.
È anche un uomo del popolo che non capisce bene ciò che gli sta
accadendo, è spesso affrettato nelle reazioni. I Vangeli ce lo mostrano quando
corre verso Cristo che cammina sulle acque per poi finire tra le onde.
Ma è
anche il più materiale, per ciò è chiamato Kefa che in aramaico significa
pietra: è lui che paga il tributo, lui che rinnega tre volte, lui che darà vita
alla Chiesa.
Nell’appartamento questo Cristo contemporaneo non vuole che
entri nessun altro, ma è interessato a ciò che accade fuori. Soprattutto vuole
sapere del barbone, non per salvarlo dalla sua povertà, ma per fargliela vivere
allegramente.
Come se il mondo fosse il parcheggio davanti alla sua
finestra. Il mondo in mille metri quadrati di asfalto osservati da un
paradiso-monolocale pochi metri al di sopra. Il barbone è un nordafricano
scappato dal proprio paese.
Anche la scena è scarna e senza gli oggetti che
siamo abituati a vedere in un appartamento. La cecità del personaggio è una
cecità psichica che secondo William James “consiste non tanto nell’insensibilità
alle impressioni ottiche, quanto nell’incapacità di comprenderle”.
Insomma
non il Cristo che è vero Dio e vero uomo, ma un essere umanissimo fatto di
carne, sangue e parole. Non sappiamo se si tratta davvero del figlio di Dio o di
uno schizofrenico che crede di esserlo, ma se il creatore si incarnasse per
redimere gli uomini condividendo la loro umanità (e dunque anche il dolore),
questa incarnazione moderna non potrebbe non includere anche le paure e i dubbi
del tempo presente.
Con la crisi delle ideologie nate dall’illuminismo e
concretizzatesi soprattutto nel „900 anche le religioni (in quanto visioni
totalizzanti e dunque ideologiche) hanno subito un contraccolpo.
L’ebraismo
ha trovato una patria mescolando le incertezze religiose alle certezze
nazionaliste, anche l’islamismo è diventata una religione di lotta e di governo,
mentre il cristianesimo si trova a vivere la sua fase più contraddittoria con
due Papi viventi uno accanto all’altro, ma con due volti contrastanti: il rigido
teologo e il prete di strada.
A distanza di un paio di millenni ci troviamo
ora a rivivere le incertezze del cristianesimo delle origini, frutto
dell’ebraismo e seme dell’islam. Queste incertezze vorrei che passassero in
maniera obbligatoriamente grottesca e ironica nel personaggio che porterò in
scena: un povero Cristo che può agire nel mondo solo come essere umano tra gli
esseri umani.
Uno che sente la responsabilità, ma anche il peso di essere
solo sul cuor della terra: vuoi vedere che la trinità è una balla e alla fine
salterà fuori che Dio sono soltanto io? (Ascanio Celestini)
Orario botteghino dal lunedì al sabato 10.00 - 13.00 solo lunedì e giovedì
anche 17.00 - 20.00
Teatro Garibaldi, Corso Giuseppe Garibaldi, 78, Santa
Maria Capua Vetere CE
Telefono: 0823 799612