Quarta edizione del Festival Teatri d’Anima

Teano, Vairano Scalo, Marzano Appio (CE) – dal 4 al 23 ottobre 2014

Comunicato stampa

Rassegna culturale e religiosa unica nel Sud Italia, è nata e cresciuta per espressa volontà del Vescovo della Diocesi di Teano-Calvi Mons. Arturo Aiello allo scopo di creare uno “specchio di quanto si agita nel cuore umano, lanterna per cercare l’uomo perduto nel caos delle leggi del mercato”. L’organizzazione è affidata al Direttore Artistico Angelo Maiello, che descrive così l’approdo al quarto anno di un evento che ci condurrà sulle affascinanti piste dell’anima: “Continua il nostro viaggio alla ricerca di attori che agiscono mettendosi alla ricerca dell’essenza. Con un intervallo di tempo non preventivato, siamo arrivati alla quarta edizione ed è per noi motivo di orgoglio. Rimane in molti la memoria emotiva di tanti spettacoli che nel corso delle edizioni precedenti hanno accarezzato il cuore di quanti hanno partecipato (da spettatori o da operatori artistici). Un luogo di incontro questo festival: tra artisti che dialogano, fanno rete perchè bisognosi davvero di cercare senso e profondità e spettatori pensanti, curiosi anche di confrontarsi con forme particolarissime di utilizzo del teatro e della teatralità. La quarta edizione rafforza la volontà di dare spazio e possibilità di comunicazione a coloro che compiono, attraverso le fibre del proprio corpo, un atto dell’anima, perché si sentono chiamati dal dovere di donare se stessi e la propria incarnazione nella creazione artistica. Lo fa anche diventando itinerante, raggiungendo luoghi particolarissimi della diocesi di Teano- Calvi, come nel caso di Vairano Scalo e Marzano Appio. Si mette in moto per raccontare, in luoghi diversi, che esistono spettacoli capaci di rispondere ad un rituale laico, di coinvolgere narratori e spettatori fino a toccare le corde più profonde della condizione umana. Teatri d’anima è proteso verso questa tensione segreta, nella convinzione che celebrare l’unione tra valore artistico e valore etico del teatro, significa aprirsi spontaneamente verso una religiosità profondamente umana e nel contempo naturalmente sovrumana. Rappresentazioni che trascendono il nostro limite ed il nostro vuoto e che ci parlano della dimensione del Sacrum. Il tentativo di unire arte e spiritualità, superando banali pregiudizi e sterili integralismi, continua.”
E questo messaggio sembra emergere chiaramente dai cinque appuntamenti previsti da una rassegna all’insegna di teatro, letteratura, suono e parola, che idealmente prendono per mano l’uomo per accompagnarlo nell’avventurosa scoperta dell’interiorità.
Programma:
sabato 4 ottobre, ore 20, Auditorium Parrocchiale di Vairano Scalo, “Scacco alla realtà”, organizzato da Artes Teatro Aversa
Rivisitazione approfondita della favola “Alice nel Paese delle Meraviglie”, la “performance” si pone come un vero e proprio viaggio che una bambina in cui si può riconoscere ogni uomo, Alice, compie nei segreti meandri della sua mente, una terra prima ignorata e che ora si sente di dover percorrere. Sulla scia di Valentin Ludwig Fey, il vecchio Karl, padre dell’assurdo, la protagonista porterà alla volta di una terra in cui ogni cosa viene distorta ed è oggetto di interpretazioni diverse tante quante sono le differenze tra gli uomini. In questo fantastico viaggio, Alice avrà l’occasione d’imbattersi in una serie di personaggi che la faranno riflettere sul proprio “io”, a cominciare dal Coniglio, impegnato in un corsa frenetica e continua, finalizzata al perseguimento di un obiettivo che non può esistere nella vita reale. Da qui, si passa al Venditore di cappelli, che, a causa di qualche ingranaggio difettato nella sua macchina celebrale, decide di rompere la sua amicizia con il Tempo. Ma, figura di massimo rilievo con cui Alice è chiamata a scontrarsi è la Regina di Cuori, donna fredda e nemica della volontà umana, che ha lo scopo di imprigionare la libertà di pensiero e di decisione in un luogo senza spazio né tempo. Quest’ultima verrà sfidata dalla bambina in una partita in cui non si è giocatori, ma pedine. Una partita difficile da intraprendere per Alice, che sa che può vincere solo se metterà sotto scacco la Regina, “la Realtà, la sua vita”. Ci riuscirà? Avrà modo di scoprirlo lo spettatore, il cui tempo si fermerà alle cinque del pomeriggio per offrirgli lo spunto per riflettere davanti a una tazza di thè inglese e, se lo vorrà, per permettergli di riprendere il cammino verso una realtà più meravigliosa di qualsiasi, magari solo sognato, Paese delle Meraviglie.
venerdì 10 ottobre, ore 18.30, Salone dell’Episcopio di Teano, “Incontro con Giuseppe Ferraro”
Docente di Filosofia all’Università Federico II di Napoli e con un “curriculum” di prestigio, Giuseppe Ferraro è l’ideatore di un’esperienza di scuola originalissima, concepita al di fuori delle istituzioni tradizionali: si tratta di una pratica denominata “filosofia fuori le mura”, che vede protagonisti un nutrito gruppo di studenti che si riuniscono per tre giorni a Marina di Camerota per dialogare intensamente tra loro e con altri ospiti, invitati tra scrittori, filosofi, operatori sociali, giuristi, scienziati, alcuni dei quali di chiara fama. La straordinarietà di questi incontri è data dal fatto che viene attribuito un ruolo di primo piano alla dimensione dell’ascolto e dello scambio di idee senza microfoni e, soprattutto, senza sovrapposizione di voci. Dunque, un’esperienza di vita profonda che è capace di mettere in discussione ogni volta il sapere di ogni uomo per ascoltare gli altri, che tutti insieme costituiscono un unico “altro”, riconosciuto come essere pensante/vivente, esattamente come lo è il proponente in quanto adulto/persona colta. Un’esperienza che, da qui, ha la finalità di mettere in moto un’acquisizione/riappropriazione pedagogica di valori fondamentali quali il rispetto, la dignità e la libertà dell’altro, soprattutto per i più giovani e tutto coloro che sono più svantaggiati e emarginati nel contesto sociale. Tutto ciò, ci riporta, come per incanto, alle origini del discorrere filosofico, a quel luogo mitico, di ascendenza socratica, che è il simposio. A queste caratteristiche è riconducibile anche il teatro, riscoperta di sé stessi attraverso l’“altro” (ovvero l’attore), attraverso il suo ascolto, ma anche la sua visione (infatti la parola teatro deriva dall’antico verbo greco “theàomai”, che vuol dire “vedere”).
martedi 14 ottobre, ore 18, Teatro Loggione del Museo Archeologico di Teano  “Radiodrammi di faccia”, presentato da Hobos Teatro Napoli
“Chi, di Dürrenmatt, ignori la produzione radiodrammatica, lo amputa di alcune membra, di alcuni organi senza i quali quest’autore risulta gravemente incompleto. In Dürrenmatt, quasi sempre, il radiodramma entra in orbita. Non solo, ma ha un così alto tasso di personalità e disinvoltura da farci chiedere se nel teatro per sole voci Dürrenmatt che in tante prove del suo teatro tout court… Dürrenmatt, nello spazio buio dell’ascolto, spalanca gli occhi avidi della sua fantasia e la scenografia interiore, i gesti e le espressioni mitiche presentati per il tramite della parola non solo non costituiscono un fuor d’opera o un impaccio, ma rispondono perfettamente alla grammatica del mezzo radiofonico.”
Questa è l’introduzione dello studioso Italo Alighiero Chiusano al libro , edito da Einaudi nel 1981, che raccoglie i radiodrammi (composizione drammatica destinata alla radiodiffusione) di Dürrenmatt. Da qui, quest’ultimi ci verranno presentati martedì 14 ottobre alle ore 18.00, presso il Teatro Loggione Museo Archeologico di Teano, dall’Hobos Teatro di Napoli con “Radiodrammi di faccia”. Con la regia e la recitazione di Sebastiano Cappiello e Daniele Mattera, attori dotati di una grande esperienza nell’ambito del teatro d’impegno civile, lo spettacolo è il prodotto di uno studio approfondito sul Teatro Morale del Novecento, iniziato nel 2006 con un laboratorio didattico sulla poetica di Dürrenmatt. Il lavoro è un vero e proprio viaggio teatrale nel mondo dei diversi linguaggi artistici (scrittura, pittura e arte), che approda all’esplorazione del radiodramma “Colloquio notturno con un uomo disprezzato”, attraverso le tecniche del teatro sonoro. Infatti, qui, il contenuto politico del testo si veste della forma del “Teatro per sola voce” (azione scenica per suoni e parole), realizzandosi in una performance che, tramite un itinerario di confronti in itinere, troverà il suo debutto, in forma compiuta, nell’estate del 2014. Tra i vari confronti, di primo piano è quello che si stabilisce tra un intellettuale dissidente e il suo boia, che permette all’Autore di smascherare il perbenismo ipocrita del mondo sviluppato e allo Spettatore di riflettere sull’imprescindibile importanza della pace dell’anima. Messaggio finale che ci viene trasmesso è quello per cui l’anima di un uomo non potrà mai essere manipolata, umiliata, sterminata da nessuna forza, per quanto brutale essa sia , come ammette anche il boia, simbolo dell’uomo disprezzato, con queste parole: “Il suo corpo posso prenderlo, è destinato a essere preda della mia violenza, ma su ciò per cui lei ha combattuto io non ho alcun potere. Questo è quanto io ho appreso dagli innocenti, che la mia scure ha abbattuto e che non vollero difendersi, deponendo la fierezza e la paura, per morire senza maledire il mondo”.
18 Ottobre, Chiesa dell’Annunziata a Teano, alle 20, "Lui, il Figlio”, messo in scena dal Nuovo Teatro Sanità Napoli
La mente soppesa e misura,
ma è lo spirito che giunge al cuore della vita
e ne abbraccia il segreto;
e il seme dello spirito è immortale.
Il vento può soffiare e placarsi,
e il mare fluire e rifluire:
ma il cuore della vita è sfera immobile e serena
e in quel punto rifulge
una stella che è fissa in eterno
.”
“Gesù figlio dell’uomo” è una splendida poesia dello scrittore libanese Khalil Gibran che racchiude, in una perfetta sintesi di pensieri, lo spirito contenutistico che pervade l’omonimo racconto del medesimo autore cui s’ispira lo spettacolo, incentrato sulla figura di Gesù, dal titolo “Lui, il Figlio”, che il Nuovo Teatro Sanità di Napoli metterà in scena nella Chiesa dell’Annunziata di Teano, sabato 18 ottobre alle ore 20.00. Progettato e diretto da Mario Gelardi, il testo della rappresentazione è stato scritto da Tino Caspanello, Mario Gelardi, Fabio Rocco Oliva, Antonella Ossorio, Eduardo Savarese, Maria Cristina Sarò, Emanuele Tirelli, Cristina Zagaria. Inoltre, la performance verrà eseguita da Carlo Caracciolo, Annabella Carrozza, Luigi Credendino, Gianluca d’Agostino, Roberta de Pasquale, Mario di Fonzo, Carlo Geltrude, Irene Grasso e Gennaro Maresca, tutti attori protagonisti che ci racconteranno la sempre attuale storia di Cristo dal momento della crocifissione in poi. Infatti, otto autori contemporanei, quattro teatrali e quattro di narrativa, hanno scelto uno o più personaggi che, oltre alla loro vicenda personale, narrassero una parte della passione in qualità di testimoni, quasi come fossero stati chiamati a deporre in un pubblico tribunale. Così, una scrittura viva, dei nostri giorni, si serve sapientemente delle molteplici sfumature del dialetto per affrontare con viso e animo aperto vari temi, il sangue, la morte violenta, la maternità, ma anche la viltà di chi rinnega e spergiura. Da qui, avremo modo d’incontrare l’emblematico e ambivalente personaggio di Giuda, che induce lo spettatore a porsi tali interrogativi di non facile risposta: cosa sarebbe Giuda se il suo tradimento avvenisse oggi? Si ucciderebbe davvero? E, poi, Maria, la madre adolescente di “Lui”, non può rivivere nelle storie di molte ragazze del Rione Sanità di Napoli? La risposta a quest’ultima domanda è affermativa se si pensa ai loro volti impregnati di umana femminilità e di ogni sentimento ad essa connesso. Dunque, con questo spettacolo avremo modo di lasciarci guidare in una galleria, solo apparentemente onirica, di ritratti che, come specchi senza finzioni e senza inganni, riflettono non solo la nostra immagine esterna, ma anche e, soprattutto, la nostra essenza interiore, il “cuore della vita” di cui ci parla Gibran, Cristo che abita in ogni uomo ed è ogni uomo, oggi più che mai, nel nostro tempo, ponte presente tra un passato che non ci abbandona mai totalmente e un futuro che è già pronto a spalancare le sue porte più belle.
giovedì 23 ottobre, ore  20, Sala Parrocchiale di Marzano Appio, “Bobok” di Dostojevskij, diretto da Teatro Rostocco Acerra
La drammatizzazione, l’adattamento, la regia e lo spazio scenico sono curate da Ferdinando Smaldone, uno degli attori insieme a Noemi Pirone, Salvatore Esposito, Antonio Affinito, Paola Guarriello, Maria Anna Russo, Lello Cirella e Chiara Mattiacci. Tratta da un racconto dello scrittore russo Fedor Michajlovic Dostoevskij, la performance conferisce provocatoriamente la parola…ai morti. Una certa qual persona, “un tale”, come viene semplicemente definito il protagonista Bobòk, capitato quasi per caso al cimitero, vi nota “molta finta mestizia e anche molta sincera allegria”. Qui si sofferma a leggere “le epigrafi sepolcrali, che sono eternamente la stessa cosa” e, dopo aver vagato nei suoi pensieri, si oblia sdraiato su una tomba. Si guarda intorno, osserva, si diletta del nulla; ma, all’improvviso, ode suoni, voci indistinte, parole. Così, incredibilmente, i morti prendono di nuovo forma e vita e dialogano tra di loro. Così, straordinariamente, essi assumono di nuovo un corpo privo di veli al fine di far emergere l’anima spoglia di qualsiasi maschera che ne celi la vera identità. Dunque, si realizza un vero e proprio denudamento morale attraverso quello fisico, che consente di arrivare a denunciare, in maniera forte ed efficace, le ipocrisie del mondo moderno. Da qui, viene costruito ed elaborato un “modello artistico del mondo”, in cui la ricerca dell’animo umano è spinta oltre ogni limite d’immaginazione. Per raggiungere questo obiettivo, spazio centrale nello spettacolo è riservato alla potenza esplosiva della fonicità: infatti lo stesso nome Bobòk è un vocabolo esistente nella lingua russa, ma in questo contesto è adoperato con intenzione onomatopeica al fine di riprodurre l’ultima emissione vocale dell’individualità, l’ultima esaltazione di una coscienza che la vitalità abbandona e che si spegne come una “scintilla impercettibile”. Poi, nello scorrere del racconto, la parola si carica di ulteriori significati e allusioni per creare un “realismo in senso supremo”, mosaico composto da vari tasselli, dal grottesco alla satira fino ad arrivare al fantastico all’assurdo che vanno a confrontarsi, senza mai scontrarsi, con il dibattito filosofico e il tragico. Quindi, un canto polifonico, unione di più voci danzanti nell’inafferrabile trasparenza dell’aria, espressione vorticosa di una coscienza che ripensa e trasforma sé stessa, compiendo in tal modo una rivoluzione dentro di noi, quella di proseguire “a vivere” ben oltre la morte.

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