Teatro Civico 14: Il Re Muore

Caserta – 6 maggio 2011

Articolo di Clemente Tecchia

Nell’unica data prevista, il Teatro Civico 14 di Caserta ha ospitato venerdì scorso lo spettacolo “Il Re Muore”, diretto e interpretato da Annamaria Palomba, liberamente ispirato dall’omonimo capolavoro del maestro drammaturgo Eugène Ionesco.
“Sono sempre stato ossessionato dalla morte. Dall’età di quattro anni, da quando ho saputo che dovevo morire, l’angoscia non mi ha più lasciato. E’ come se avessi capito d’un tratto che non c’era niente da fare per sfuggirle e che non c’era più nulla da fare nella vita. Scrivo anche per gridare la mia paura di morire, la mia umiliazione di morire”. Con queste parole è proprio Ionesco a fornire la chiave di interpretazione della sua opera, che forse per la prima volta abbandona in parte certi stilemi propri del teatro dell’assurdo di cui era riconosciuto maestro: probabilmente per l’intrinseca assurdità insita nella morte stessa per come egli era venuto concependola. Un’esorcizzazione del grande problema dell’umanità quindi, affidata sul palco del Civico a una sorprendente Palomba: ufficialmente archiatra di corte, ma anche preposta al sacro cubicolo, sovrintendente generale, infine psicopompo, la classica figura che organizza l’estremo viaggio nel mito ancestrale. La scelta di lasciar sottolineare a questo ambiguo personaggio i vizi e le stravaganze, le pretese e la vanagloria del monarca, è indicativa: proprio in quanto persona massimamente altolocata, il re ha massimamente paura della morte, perché avendo tutto ha anche tutto da perdere. Così la figura del medico ricorda il Dossenus dell’atellana, lo scaltro servitore che soddisfa ogni desiderio del padrone per poi bonariamente sbeffeggiarlo, o meglio restituire alla realtà ogni suo atto e detto, cercando la complicità del pubblico. Eppure non è difficile immedesimarsi anche nella figura paradigmatica del regnante, che sul palco è simboleggiato da un ‘trono’ vuoto: in fondo, fatte le debite proporzioni, il suo è anche l’atteggiamento di molti di noi che cercano nella velocità della ‘vita moderna’, negli affetti sovrapponibili ed effimeri, nel lavoro e nel secondo lavoro che è divenuto l’obbligo a divertirsi nel tempo libero, altrettanti antidoti al presentimento che tutto ciò che facciamo nasce e muore sotto il segno del caos.
Il diretto e dissacrante rapporto con gli spettatori, chiamati a far parte del festoso corteo funebre del re, la gestualità e ancor più le mimiche facciali della Palomba, unite a un talento particolare nella resa parlata, sono tutti effetti di una astrazione, quasi un transfert dalla realtà all’assurdo: e qui torna prepotente la lezione del Maestro franco-rumeno. Così che l’unico momento di vero pathos dello spettacolo è costituito dalla rievocazione di un amore agreste del protagonista, un sentimento semplice ma destinato –anch’esso- a svanire per la morte della fanciulla amata. Di modo che, si tratti delle domizianee paranoie regali, o della ben più umile e terrena esperienza di un cortigiano, risulta evidente come ogni essere umano in sostanza sia un condannato a morte: e, cosa più avvilente, come da tutta questa morte non esista (per Ionesco) redenzione o lezione possibile, non una chiave che permetta di adattarsi o sciogliere il mistero della vita.
Un mistero assurdo, appunto, e incomprensibile tanto quanto può esserlo quello della morte. E viceversa.

Consulta: Teatro Civico 14: Stagione Mutamenti Teatrali 10/11

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