Teatro Civico 14: “Medea” di Euripide
Caserta – 3 Aprile 2011
Articolo di Valentina Sanseverino
Quando si va a vedere un opera classica che si ama molto lo si fa sempre con un po' di remore: si teme di assistere all'ennesimo rifacimento in chiave moderna, si ha paura di non riconoscervi ciò che tanto si era amato nell'originale. Quando poi l'opera in questione è la “Medea” di Euripide, la storia della donna più vendicativa di tutti i tempi, antenata della “sposa” di Tarantino, il timore è quello di tagli indiscriminati alla tragedia originale, che facciano perdere il senso di quella lucida discesa nella follia che è l'agonia della moglie del fedifrago Giasone. Invece nella “Medea” andata in scena questo week end nell'interessante e sempre sorprendente Teatro Civico 14, il dramma tradotto, diretto e interpretato da Annika Strøhm e Salva Salvemini e prodotto da Aretè Ensemble rispecchia fedelmente la tragedia originale, se si esclude la figura della nutrice e la presenza del coro, che però gli attori sono riusciti a compensare con un interessante stratagemma. Annika e Salva, infatti, fungono da moderno coro, raccontando preliminarmente al pubblico attento le vicende storiche e personali vissute dai protagonisti fino al momento in cui prende il via la tragedia, nel bel mezzo dell'azione – come insegna la miglior tradizione del teatro classico greco. Medea, la magistrale Annika Strøhm, assolutamente convincente per tutte le due ore di spettacolo nelle vesti della barbara appena approdata in Grecia, straniera con due figli in una terra lontana, porta su di se il peso di atroci omicidi – tra cui quella del suo stesso fratello – compiuti per salvare il suo sposo Giasone. Ora che ha scoperto che lui ha sposato a sua insaputa la figlia del re, precipita nella pazzia fino a spingersi al gesto più estremo che una donna possa mai compiere. Su questa sua lucida follia, sulle motivazioni che la spingono ad architettare una vendetta crudele in primis contro se stessa, si sono spesi nei secoli fiumi d'inchiostro. La Strøhm la rappresenta in tutta la sua disperata femminilità, nella sua rabbia senza freni, nella sua struggente debolezza e in quella lucida e imprevedibile pazzia in due ore di pianti, urla e imprecazioni che tengono con il fiato sospeso e le corde dell'emozione tese. Accanto a lei un Salvemini che oltre ai panni del pavido Giasone veste anche quelli del re Creonte, dell'amico Egeo – il suo ruolo più riuscito – e di un messaggero, non altrettanto convincente, forse solo per l'incapacità di caratterizzare i singoli ruoli. Resta, quando cala il sipario, una piccola stretta al cuore e un'emozione ancora palpabile, quella che solo la bravura di un attore e la grandezza di una tragedia classica sanno comunicare.
Consulta: Teatro
Civico 14: Stagione Mutamenti Teatrali 10/11