La gabbia

  

Teatro Civico 14:  "La Gabbia"

Caserta – 12 Dicembre 2010

Articolo di Clemente Tecchia

Una gabbia formata da spettatori. Un recinto di corpi e coscienze per racchiudere il luogo dell’azione. Questo l’insolito allestimento dello spettacolo “La Gabbia”, andato in scena sabato 11 e domenica 12 (repliche il 18 e 19 dicembre) presso il Teatro Civico 14 di Caserta. L’opera, firmata da Toni Laudadio, per la regia dello stesso e di Roberto Solofria, narra del rapimento dello scrittore Dino Bertone (Rosario Lerro) da parte degli sgherri dello Chef (Roberto Solofria), un capo malavitoso che per sfuggire alla giustizia è costretto da dieci anni a vivere recluso in un bunker sotto la propria villa, in compagnia della moglie Melania (Manuela Schiano). Mentre all’inizio tanto il rapito quanto gli spettatori faticano a capire il perché del sequestro, mano a mano si comprenderà che il progetto del boss è di far scrivere a Dino un pezzo teatrale che possa gettare una nuova luce sulla sua figura. Lungi dal corrispondere all’idea in fondo macchiettistica e consolante dei camorristi beceri, incolti ed irrazionalmente violenti, lo Chef e Melania formano infatti una coppia giovane, colta e vincente: lui parla tre lingue, la moglie gestisce con criteri manageriali gli affari del clan, ricercando quando è possibile soluzioni diplomatiche che evitino la violenza. Semmai è ai due factotum, Manaferma e ‘o Scemo (Luigi Credendino e Antimo Navarra), che viene riservata la parte di vis comica del testo, due semplici strumenti che non hanno una vita propria, ma di cui discerniamo la psicologia elementare e patetica attraverso il racconto delle violenze da loro commesse, e subite, nel corso degli anni. Intanto, pur rinfacciando continuamente al boss le sue colpe, e cercando di contrapporre la propria logica a quella distorta ma a suo modo impeccabile del clan, quando lo scrittore vede minacciate le vite della moglie e della figlia acconsente controvoglia a dedicarsi alla composizione di quella che, dapprima, concepisce come una commedia. Non appena però il capo si accorge della piega farsesca che sta prendendo il canovaccio, si sente preso in giro, vedendo tradite le sue aspettative di committente, e la reazione sarà terribile. Durante lo svolgimento dell’opera la tensione è palpabile, i protagonisti girano alle spalle degli spettatori, gli sguardi di ghiaccio dello Chef, gli improvvisi moti di violenza creano un clima di disagio che viene stemperato in due occasioni dalle prove dell’opera di Dino, che forniscono alla platea un’opportuna valvola di sfogo, rilasciando una tensione che poi come in un respiro si comprime nuovamente, e così via. Complessa la trama, complesse le motivazioni e le psicologie dei due veri personaggi principali, il boss carismatico che ha compiuto il suo primo omicidio ad undici anni, la moglie rosa da un tarlo che non viene mai completamente messo in luce ma che la porterà ad un gesto estremo, e che pagherà molto caro. In fondo il significato dello spettacolo è tutto nel titolo: che la gabbia sia quella dei nostri angusti schemi mentali, incapaci di comprendere ed interpretare i camaleontici meccanismi di appropriazione del denaro e del potere da parte dei clan, o piuttosto metafora del meccanismo di causa ed effetto cui nessuno può sfuggire, sia esso agente o patente, come quando il boss, pur nella sua lucida volontà di potenza, si accorge che non tutto è andato secondo i piani e che anche lui, come Dino, ha dovuto subire una perdita dolorosa. Ma è solo nel monologo finale, quando il prezzo di questa battaglia fra coscienze e all’interno delle coscienze stesse è stato pagato e sia la moglie dello scrittore che quella del boss sono morte, che si rivela il vero progetto dello Chef: la creazione di un testo teatrale a carattere agiografico è solo il primo passo, quello che consenta al mondo di avvedersi della vera natura e forza del capo, e che permetta allo stesso di uscire dalla gabbia (materiale e concettuale) per riformare completamente la società. L’acquisizione di organi di stampa e parlamentari, nonché la manipolazione delle arti, di cui quella teatrale viene riconosciuta come potente mezzo di comunicazione, sono i passi verso un autentico colpo di stato che come tante volte nella storia si propone, dietro l’offerta di pace e sicurezza per i cittadini, di togliere loro ogni elementare diritto all’autodeterminazione. Un finale inquietante, soprattutto perché al giorno d’oggi tutti noi sappiamo quanto poco ci sia di inverosimile in tale progetto, e quanto invece siano numerosi i germi di una sua angosciosamente probabile attuazione.

Consulta: Teatro Civico 14: Stagione Mutamenti Teatrali 10/11

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