Teatro Civico 14: Il Sulfamidico
Caserta – 5 dicembre 2010
Articolo di Clemente Tecchia
Ritorna al Teatro Civico 14 Giovanni Meola, stavolta con lo
spettacolo Il Sulfamidico, un’interessante piéce interpretata da Enrico
Ottaviano, nel ruolo di un giovane appassionato di calcio che rievoca i fasti di
un’epoca in cui ancora più di oggi questo sport era capace di scatenare
l’esaltazione collettiva e la frenesia. Allergico ai sulfamidici (degli
antibiotici in grado di scatenare come effetto collaterale allucinazioni e stati
di leggera incoscienza), recandosi in farmacia fa la conoscenza di un argentino,
espatriato per sfuggire alle torture della dittatura, anch’egli in gioventù
appassionato di calcio ma ora disgustato, dopo le esperienze subite, da quei
sogni e da quel mondo che gli appaiono ora come due volte falsi e superficiali.
Passo dopo passo, andando oltre quella superficie, scavandola fino a raggiungere
la carne ancora dolorante, sarà l’argentino ad accompagnare il protagonista (e
noi con lui) nella rievocazione delle terribili sofferenze patite dal popolo
latinoamericano, i sequestri, le sevizie, gli assassinii, l’occultamento dei
corpi talora ancora vivi ma narcotizzati, gettati dagli elicotteri e abbandonati
all’abbraccio silenzioso e complice dell’oceano. Così, due diverse realtà, l’una
irreale – quella del calcio, delle sbornie di tele dirette per i mondiali del
‘78 –, e l’altra, quella dei soprusi che talora si svolgevano a pochi passi
dagli stadi che ospitavano le partite, e che è invece ultrareale, formano un
cortocircuito in grado di parlarci del significato della rimozione per l’essere
umano; un qualcosa che può essere indispensabile a chi ha vissuto tali eventi,
per sopravvivere o almeno conservare un simulacro di sopravvivenza, come
l’argentino che ormai trova conforto solo nell’assunzione dei sulfamidici, per
ricercarne gli effetti collaterali e quindi stordirsi. Una rimozione che però,
se effettuata dalla collettività, è qualcosa da mandare in frantumi, un velo da
dissipare per portare una testimonianza sofferta del dolore di migliaia di
persone, anche a chi non vorrebbe guardare, come il giovane protagonista dello
spettacolo che a un certo punto sbatte in terra con forza il quaderno dove era
uso riportare tutti i risultati delle partite, urlando di non volerne sapere,
protestando che sarebbe stato meglio non averne mai saputo niente… Alla fine, il
collegamento tra questi due mondi così distanti viene però ricucito
dall’argentino stesso, quando rievoca, piuttosto delle gesta degli osannati
Maradona e Passarella, quelle di Jorge Carrascosa, ex capitano della nazionale
sudamericana che, dopo essere stato ostacolato dal regime, decise di non
partecipare all’evento mondiale per “non essere in nessun modo uno strumento
della dittatura militare”. In questo modo anche il calcio torna ad avere la
valenza fondamentale, comune ad ogni sport, di formazione morale e di esempio, e
non solo quella di mondo fiabesco costruito con illusioni di cartapesta in un
immaginario collettivo di ansie e aspettative. E il cerchio può così, in un modo
forse inaspettato, chiudersi. Molte sono state negli anni le opere letterarie,
teatrali e cinematografiche ispirate dal bisogno di raccontare quei terribili
avvenimenti, e in questo contesto l’opera di Meola porta il suo personale
contributo facendoci sentire la potenza dello schianto che l’ineludibile peso
della realtà può avere sul mondo chiuso e fantastico del protagonista (e che
troppo spesso è anche il nostro), un mondo protetto in una doppia rete difensiva
– quella della giovane età e del mito calcistico: uno schianto che sarà
doloroso, ma che smuoverà pure acque troppo stagnanti, in un percorso di
riappropriazione della memoria a volte terribile ed angoscioso, ma sempre
attuale ed urgente.
Consulta: Teatro Civico 14:
Stagione Mutamenti Teatrali 10/11