Teatro Don Bosco: “Caro bugiardo” di Jerome Kilt
Caserta – 20 Gennaio 2009
Articolo di Marilena Lucente
Riempiono la scena con la loro personalità, Anna Mazzamauro e Corrado
Tedeschi, al Teatro don Bosco di Caserta, in scena con "Caro Bugiardo".
Una piece - scritta da Kerome Kilty negli anni sessanta, riadattata dalla stessa
Mazzamauro e diretta Pino Strabioli - che racconta, rievoca e attualizza
l’epistolario tra il famoso drammaturgo irlandese, George Bernard Show e la
giovane attrice Stella Patrick Campbel. Famoso e burbero lui, passionale e
intrepida lei. Si amarono e si scrissero lettere per quaranta anni, confidandosi
squarci di vita quotidiana e immense passioni, per il teatro, per la vita, per
l’amore.
Il testo racconta delle ore che precedono la prima. Sul palco – interessante ed
efficace la scenografia di Alessandro Chiti - due camerini comunicanti tra loro
e alle spalle il palco su cui a breve due attori dovranno salire.
Anna Mazzamauro è la prima donna, che deve interpretare Stella. Vive in guerra
perenne con il suo corpo, con la sua bruttezza, con il suo spasmodico bisogno di
autoaffermazione. Odia il camerino che le è stato assegnato, disprezza la sarta
e denigra il suo compagno di scena. Accanto a lei, separato da un semplice muro
di legno, il compassato Corrado Tedeschi che prova e riprova a immedesimarsi in
George, il Caro Bugiardo, appunto. Mentre ripassano pezzi di copione e lacerti
di lettere mettono a nudo le loro contraddizioni. Lui è continuamente interrotto
a telefono da una moglie petulante che vuole lasciarlo, lei è burbera,
indisponente, capricciosa, solo per mistificare i suoi sentimenti. Nelle lettere
scritte da due amanti – tirate fuori da una vecchia cappelliera, maltrattate,
stropicciate da lei, compostamente sfogliate dal copione da lui – i due attori
quasi si rifugiano e così facendo, leggono la loro anima.
I dialoghi scandiscono lo svolgersi degli eventi, illuminati qua e là da
riflessioni più profonde, e rivelano le contraddizioni delle persone che fanno
spettacolo. L’egoismo e il bisogno di amare, il bisogno degli applausi (delle
mani che frullano come allodole) e il desiderio di fermarsi, di arrendersi alla
vita, quando è crudele. Eppure, salvarsi dal mondo è una delle ragioni per cui
si recita, “il teatro è un balsamo che se te lo spalmi sul corpo guarisce
tutto”.
Le lettere, incuneate tra i dialoghi degli attori, sono dense e intense. Solo la
segretezza del loro amore consentì ai due amanti di essere sinceri sino allo
spasimo, di allontanarsi e avvicinarsi nel corso della vita senza perdersi mai.
Nel frattempo il mondo cambiava, venne la guerra con il dolore lancinante quanto
i rumori che piombavano dal cielo, la giovinezza briosa di lei si stemperava in
una maturità arrabbiata, la diva osannata dalle folle era diventata una attrice
insopportabile con cui nessuno voleva più recitare. Anche lui, oramai
ottantunenne, che per sua stessa ammissione utilizzava le commedie per
“trasformare in soldi i suoi momenti peggiori”, non riesce più a scrivere per il
teatro, parla solo di decadimento fisico, di artrite, il mondo è oramai lontano
e “la gente è di una stupidità maledetta”.
Resta solo la giovinezza delle lettere, scritte con tenerezza, ironia, senso
della sfida, bisogno di confronto, le cui parole d’amore non smettono mai di
vivere. Neanche quando una storia d’amore finisce. Basta che ci siamo due attori
a portarle in scena. E circolarmente, Caro Bugiardo termina con i due attori che
arrivano sul palco litigando, e sorridono appena sale su il sipario di velluto
rosso: la magia delle magie del teatro.
Consulta: Teatro Don Bosco: programma della stagione 2008/09