Officina Teatro: Pirandellando

S. Leucio (CE) – 19 aprile 2008

Articolo di Laura Vavuso

Officina Teatro, il laboratorio teatrale messo su da Michele Pagano e Roberto Solofria a San Leucio, sabato 19 aprile ha ospitato “Pirandellando”, uno spettacolo costituito da due atti unici di Pirandello, “L’uomo dal fiore in bocca” e “Cecè” messo in scena dalla compagnia napoletana Virus teatrali, per la regia di Giovanni Meola. Tre i protagonisti, in entrambi i testi. Ne “L’uomo dal fiore in bocca” due sconosciuti iniziano a chiacchierare seduti al tavolo di una stazione ferroviaria, o meglio, uno dei due parla, mente l’altro si limita ad assentire, e, in un paio di occasione, compare e scompare la moglie di uno dei due; in “Cecè”ci sono un truffatore donnaiolo, la donna che si è invaghita di lui ed un semplicione coinvolto negli impicci orditi dal truffatore, Cecè appunto.
Nel primo testo, c’è un uomo ammalato e destinato a morire a causa di un tumore. Pregnante è una sua battuta: «Venga…le faccio vedere una cosa…Guardi qua, sotto questo baffo…qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo…più dolce d’una caramella: epitelioma, si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza: epitelioma…La morte, capisce? È passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!»
L’uomo con l’epitelioma è, dunque, un uomo che la durezza della vita ha posto dinanzi ad una triste scoperta e consapevolezza, quella di una morte lenta ma inesorabile. Questo lo porta a rivolgere l’attenzione a particolari prima insignificanti, a cui non faceva neppure caso, e a guardare all’esistenza umana sotto una luce diversa, più attenta, matura, profonda. Il suo interlocutore è, invece, attinto da quella borghesia impiegatizia a cui Pirandello fa ampio ricorso nella sua produzione teatrale e narrativa. È un uomo ingrigito dalla monotonia della quotidianità, che ascolta l’uomo dal fiore in bocca distrattamente; è un po’ impacciato, imbarazzato per essere il destinatario sul quale il malato ha deciso di rovesciare una simile sciagura, una sorta di vittima designata, molto a disagio in questo ruolo, tant’è che, più che di un dialogo, si tratta di un monologo. Questo dramma è, come tanti, dominato dalla solitudine e dalla difficoltà di comunicare: due elementi costanti nella produzione pirandelliana.
Cecè è un uomo di 35 anni, truffatore abituato a raggirare le persone, perfetto prodotto di quel sottobosco di distinti signori vestiti di panni borghesi, che popolano la capitale, abituati a vivere, e a concepire la vita, tra favoritismi e corruzione politica. Cecè è spudorato ma, nonostante ciò, simpatico: il clientelismo avvezzo a praticare infatti, divenuto un’abitudine, spinge l’opinione comune ad assolverlo o, quantomeno, a non giudicare in maniera totalmente negativa i suoi misfatti. Sue prede: una ragazza che aspira ad una vita agiata ed un appaltatore di lavori pubblici decisamente ingenuo.
Anche Cecè e gli altri protagonisti, come gli interpreti del primo dramma, sono il prototipo della classe borghese postunitaria, espressione di un atteggiamento corruttore ed avido che l’autore individua soprattutto a Roma, la capitale, dove convergono personaggi da ogni dove desiderosi di affermazione.

Consulta: Programma di Officina Teatro - San Leucio

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