Nino D'Angelo è "L’ultimo scugnizzo"
Caserta, 17 Gennaio 2008, al Teatro Comunale
Articolo e foto di Giorgio Ruberti
Caserta, giovedì 17 gennaio. «Davvero bravo, non c’è che dire!»:
questo il commento più comune del pubblico casertano all’uscita del Teatro
Comunale dove ieri si è assistito alla prima delle quattro rappresentazioni
de "L’ultimo scugnizzo" che si terranno fino a domenica 20. Il riferimento,
ovviamente, era alla prova del protagonista della commedia in tre atti di
Raffaele Viviani andata in scena con la regia di Tato Russo, Nino D’Angelo.
Un parere che ci sentiamo di condividere, soprattutto per una ragione:
nessuno, me compreso, si aspettava un Nino D’Angelo capace di affascinare e
commuovere in un ruolo, tra il comico e il tragico, per lui inusuale.
Dimenticatevi il D’Angelo giovane attore-cantante dal caschetto biondo nella
veste “melodrammatica” dei suoi primi film, ma dimenticate anche il D’Angelo
“macchiettistico” dei più recenti film interpretati al fianco della coppia
Boldi-De Sica. Il D’Angelo cui si è assistito ieri è apparso quale un ottimo
e navigato attore teatrale, che non avrebbe sfigurato in una commedia al
fianco di Eduardo, e che invece ha impressionato positivamente in una di
Viviani. Certo, il personaggio di Antonio “capatosta” Esposito, l’ultimo
scugnizzo di una Napoli e di una napoletanità oramai scomparse, sembra
essere ritagliato su misura per lui. L’ultimo scugnizzo è un uomo del
popolo, e D’Angelo è sin dagli esordi della sua carriera rimasto fedele al
suo “essere artista popolare”.
È piaciuta anche l’interpretazione del resto della compagnia, ma di
primissimo livello è apparsa la regia dell’ottimo Tato Russo. Belle le
scene, raffiguranti l’interno di una casa della borghesia napoletana (Atto I
e II) e il vicolo tra due bassi della Napoli popolare (Atto II) dove è stato
ambientato l’unico momento musicale della serata, la Rumba dello scugnizzo,
perfettamente appropriata – manco a dirlo – al timbro ed allo stile canoro
di D’Angelo. Insomma, uno spettacolo davvero da non perdere.
Antonio Esposito, facendo leva sui vizi dei componenti di una famiglia
“bene”, riesce a farsi accettare in casa loro come segretario. Ma per lui,
ex scugnizzo che proviene da un basso dove ha lasciato la propria donna in
attesa di un bambino, è molto difficile guadagnarsi la fiducia dei suoi
datori di lavoro. Antonio, che invece punta tutto sul nuovo impiego per il
riscatto sociale e morale suo e della futura madre di suo figlio, si
comporta sin da subito onestamente, e col suo comportamento tenta finanche
di “redimere” le persone apparentemente onorate suoi nuovi compagni di vita.
Nonostante l’affetto di tutti conquistato in questo modo e ogni proposito di
cambiamento in bene realizzato, alla fine sarà proprio lui a pagare: il
figlio tanto ansiosamente atteso, il vero stimolo del riscatto sociale
ricercato con tutte le forze, muore al momento del parto. Antonio Esposito
resta così senza eredi, fatalmente destinato ad incarnare i panni
dell’ultimo scugnizzo.