L’albergo del silenzio al Teatro Comunale

Caserta – 20 Dicembre 2007

Articolo e foto di Marilena Lucente


Caserta, 20 Gennaio. Un classico del teatro, la commedia degli equivoci. Con L’albergo del silenzio, in questi giorni in programmazione al Comunale, Scarpetta legge Feydeau e trasporta a Napoli una storia di infelicità coniugali, passioni segrete e persino voci di fantasmi. Ovviamente il silenzio non esiste, si riempie di mille parole, lazzi e frizzi, come nel teatro di cento anni fa, e alla fine dello spettacolo scosciano applausi e risate. Resta solo da guardare l’orologio e chiedersi in che anno siamo. Perché L’albergo del silenzio trasporta in un tempo lontano, lontanissimo. Quando per un pittore decoratore sfaccendato sposare una donna anziana era un vero affare. Quando un geometra era un buon partito ma poi, diventato marito, diventava una noia mortale. Quando gli studenti del collegio avevano bisogno di un bel po’ di incoraggiamento prima di lanciarsi in una dichiarazione. Quando le servette erano davvero modelli insuperati di femminilità. Era tanto tempo fa.
Ma allora come ora, non mancavano i desideri di rivalsa e di fuga, e l’annuncio di un albergo del silenzio era una vera salvezza. In cui tutti cercano rifugio, gli uni all’insaputa degli altri.
Si entra e si esce, per tutto lo spettacolo, dalla casa, dall’albergo, dalla terrazza. Personaggi principali e secondari si alternano in un via vai continuo che trascina lo spettatore dentro la storia: Felice e Rosina, il geometra e la giovane moglie Concetta, il nipote in collegio e l’avvocato meterobalbuziente, le nipotine impertinenti, il cameriere furbo, il garzone stolto e il commissario di polizia che non capisce niente. Ciascuno con una precisa caratterizzazione, con una propria pronuncia teatrale, giochi di parole, dialoghi e scene corali – le più esilaranti – con una scenografia che cambia ad ogni atto. Una regia semplice e completa, che dà agio a ciascun attore di esprimersi al meglio: nessuno si sovrappone, ognuno cattura uno spicchio di simpatia. Alla fine, gli equivoci si sciolgono e i matrimoni si ricompongono, come se nulla fosse accaduto. O quasi. Anche l’infelicità era un malinteso. Si ritorna ad essere se stessi, quelli di sempre, e questo in fondo non è così male. Le vite riprendono da dove erano incominciate, le traiettorie si erano solo incrociate, tra loro e con quelle degli spettatori. Si entra a teatro, si esce nella vita. Restano scie di storie, che per tre atti abbiamo fatto un po’ nostre.

 

consulta: Stagione Teatrale 2007/2008 al Teatro Comunale

 

 

 
 

 

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