Caserta, 17 Gennaio. Degno della più tradizionale ed esilarante commedia
napoletana, ricca di ingegni locali che mettono in scena un prodotto molto
ben confezionato e di qualità senza essere pretenzioso, la "Morte di
Carnevale", commedia comica di Raffaele Viviani, diverte ed affascina per il
copione, le battute, le sit-com che si intrecciano, il tratto deciso di ogni
personaggio che ha proprio carattere, come se non esistessero protagonisti
assoluti. Merito sicuramente di una sapiente regia, ma anche di un’affiatata
compagnia di navigati attori. Enzo Romano interpreta uno scorbutico e
moribondo usuraio, che, avvertendo la colpa delle iniquità commesse nel
corso di una vita che volge al termine, decide di riscattarsi favorendo,
nell’atto testamentale, le Opere Pie. Scontenterà quindi tanto l’unico
nipote, lo sfaccendato Rafele, un vitale ed esuberante Patrizio Rispo,
quanto la propria serva-padrona ed amante ‘Ntunetta, una bella e brava Dalia
Frediani che mostra notevoli doti di comicità e di mestiere: entrambi,
infatti, pur intrallazzando tra di loro, non riusciranno ad impadronirsi dei
soldi del vecchio. Piacevole contorno è rappresentato da tutte quelle figure
caratteristiche (le vicine di casa, l’oste, il portiere, il cantante, il
becchino ed il rappresentante di pompe funebri) che finalmente diventato
protagonisti perché portavoce di inciucio, quel pettegolezzo continuamente
in evoluzione che a Napoli ci si scambia davanti alle porte dei “vasci” o
durante le quotidiane mansioni domestiche; e che, diciamolo, mette a nudo la
miseria o nobiltà di chiunque vi si assoggetta. Interpretazioni colorite,
dunque, per Laura Mammone (una spassosa donna Peppina) e Rosaria D’Urso
(donna Filumena), nonché per la Ciardiello che ci offre una adolescente
curiosa e smorfiosa (Sisinella ) molto ben caratterizzata. Non si può
dimenticare il poliedrico Roberto Capasso che ricopre 3 personaggi, il
migliore dei quali ci è sembrato il rappresentante di pompe funebri; e
parimenti Andrea Soldano, il becchino, mimo ancor prima che attore. E, a
completare l’atmosfera di napoletaneità, intervengono Gino Curcione e Gino
Cogliandro, entrambi non solo interpreti di una certa tipologia di
personaggio, ma fini distillatori di tutta una tipologia di caratteristiche
che si coagulano nella propria espressione artistica, e che rafforza oggi
come mai tutto il teatro napoletano che, ci auguriamo, sia sempre a questo
livello.
Consulta: Teatro Don Bosco:
stagione teatrale 2006/2007 |
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