“Lo straniero” di Albert Camus al Teatro comunale 

Caserta – 31 Marzo 2004

Articolo di Arianna Quarantotto, foto di Massimo Amato


E’ Marco Baliani lo Straniero di Camus. Su una piattaforma di legno sospesa a mezz’aria in uno scenario buio, Baliani recita magistralmente la sua parte in un monologo, diretto da Maria Maglietta, durato più di un’ora e mezza.

Piene ieri sera la platea e la galleria, soprattutto di liceali, e fa piacere vedere così tanti ragazzi a teatro.

Lo scenario è di per sé inquietante: una sedia di legno, un piccolo scrittoio in un angolo, appositamente in bilico, della sabbia che il protagonista durante il racconto lascia di tanto in tanto cadere dalla piattaforma sospesa sul palco, enfatizzandone l’effetto con un fascio di luce. Sullo sfondo, a tratti, scene di film in bianco e nero del regista Mario Martone: il mare, le dune di sabbia, il sole accecante, il camminare incessante di Mersault. Musiche arabe con pochi strumenti.

E’ lui il protagonista, lo straniero, l’uomo privo di ogni convenzione sociale, di reazioni emotive, indifferente alla banalità della vita quotidiana anche ora che è nel carcere algerino per aver ucciso, con quattro colpi di pistola, un arabo. Gli unici sentimenti che riesce a vivere sono quelli del vuoto e della solitudine.

L’opera è di per sé il resoconto della sua vita, dalla morte della madre fino a quel momento.

Mersault vive solo, si annoia, soprattutto la domenica. Ha degli amici, Celeste, Maria, Emmanuel, ma è fondamentalmente un taciturno: ama piuttosto osservare le cose, constatare e comprendere i gesti, le attitudini dei suoi interlocutori. Il suo tentativo di cercare una continua giustificazione alla propria esistenza fallisce: egli si sente continuamente estraneo, i suoi rapporti con gli altri sono basati sulla totale indifferenza, perfino il funerale della madre, morta in un ospizio dove era ormai ricoverata da anni, sembra non scuoterlo: “c’est n’est pas de ma faute”, non è colpa mia, commenterà egli con il suo capoufficio.

E per questo viene condannato: tutto il processo sembra ruotare intorno alla sua indifferenza, all’incapacità di piangere al funerale della madre, al film di Fernandel che ha visto con Maria, il giorno dopo..

« Enfin, est-il accusé d’avoir enterré sa mère ou d’avoir tué un homme? » (Insomma, è accusato di aver sotterrato sua madre o di aver ucciso un uomo ? [..] “Oui, j’accuse cet homme d’avoir enterré une mère avec un coeur de criminel”. (Sì, io accuso quest’uomo di aver sotterrato una madre con il cuore di un criminale).

La miseria umana nasce, secondo Camus, dall’incapacità del nostro linguaggio di comunicare e dalla nostra tendenza a giudicare e a condannare senza saper ascoltare: dall’indifferenza.

Mersault è infatti estraneo anche al processo che si svolge attorno a lui: ogni sentimento è soppresso, le voci si accavallano, i ricordi, le sensazioni, i perché si alternano nella sua mente, ma non ci sono risposte. Egli si limita ad osservare e a tentare di capire, come un qualsiasi spettatore, dietro il banco degli accusati, il suo processo. Viene condannato alla ghigliottina.

Il prete che in carcere tenta di riavvicinarlo a Dio viene allontanato. Eppure, alla fine, egli accetta il suo destino, per quanto assurdo sia, perché assurdo è in realtà il mistero che avvolge l’esistenza dell’uomo: “[…] je m’ouvrais pour la première fois à la tendre indifférence du monde”, (io mi aprivo per la prima volta alla tenera indifferenza del mondo) dirà Mersault prima di essere condannato a morte.

E Baliani ha fatto suo questo mondo enigmatico, ha vissuto con intensità il dramma dello straniero, nella strenua difesa della dignità dell’uomo che si erge contro ogni falsità; è riuscito, senza mai fermarsi, a commuoverci, a farci riflettere, a rendere con straordinaria sensibilità il dramma dell’uomo moderno.

 

Marco Balliani in due scene de "Lo straniero"

 

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