Caserta, al Teatro Comunale la bella messinscena di Cristina Pezzoli

La rabbia di Filumena rivive con Isa Danieli                  

di Salvatore Esposito


Caserta, 8 Febbraio 2003. Un'ottima Filumena Marturano, quella vista al Teatro Comunale di Caserta con la compagnia Gli Ipocriti. Gli interpreti Isa Danieli e Antonio Casagrande si sono rivelati attori veraci nel saper dar spessore al melò di sentimenti che la commedia di Eduardo De Filippo propone, ed al pathos che li alimenta. Si avvertiva l'eredità di una nobilissima ascendenza: quella del teatro napoletano tradizionale, formatosi mescolando assieme l'esperienza del teatro di varietà e del café chantant con le radici della commedia dell'arte. E proprio la commedia dell'arte veniva citata programmaticamente all'inizio dello spettacolo, col rapidissimo passaggio sul palco, a sipario ancor abbassato, di una sequenza di musicisti imbraccianti strumenti tipicamente napoletani come il mandolino, che si muovevano come marionette, infilando gadget da - appunto - commedia dell'arte. Risultava in questo modo sottolineata la derivazione dei personaggi di questa commedia, pur nella loro grande umanità, dalle maschere del teatro napoletano tradizionale, che parlano con un eloquio di tutti i giorni, a cui fornisce una marcia in più quel dialetto, così teatrale e barocco. Da lì deriva uno degli elementi di forza della commedia: quelle battute paradossali in dialetto colorito che i protagonisti si lanciano come frecce avvelenate nei tanti momenti di conflitto, dando al testo una comicità tutta particolare, melodrammatica.Titina, Eduardo e Peppino De Filippo presero il cognome dalla madre Luisa che Eduardo Scarpetta, il grande teatrante napoletano di inizio secolo, non sposò mai. La condizione anagrafica di "figlio di padre ignoto" dovette pesare soprattutto sul maggiore dei maschi, Eduardo, che trasferì nel 1946 nella sua "Filumena Marturano" tutto il possibile coraggio e la voglia di riscatto di una madre che lotta per dare il cognome paterno ai suoi tre figli. Ne uscì allora e si reimpone da cinquant'anni una delle commedie più originali e sanguigne del Novecento, di uno straordinario genere, al confine tra farsa e tragedia, tra comicità e amarezza. Raro il pezzo di teatro in cui è la donna a condurre la beffa ed è la donna alla fine, a vincere. "Filumena Marturano" così divenne dopo il marchio interpretativo impresso all'origine da Titina De Filippo, tra i ruoli più ambiti della scena, oggi si può ben dire, internazionale. Fu messa in scena per la prima volta il 7 novembre del 1946 al teatro Politeama di Napoli dalla compagnia De Filippo: protagonista assoluta una intensa e vera Titina De Filippo, per la quale il testo era stato espressamente scritto dal fratello, il grande Eduardo. Tre atti certamente di fantasia, ma al tempo stesso ispirati ad un fatto di cronaca realmente avvenuto come ricordò, a suo tempo, lo stesso Eduardo: "un fattarello piccante ma minuscolo da cui trassi la vicenda ben più vasta e patetica di Filumena, la più cara fra le mie creature". Si può rappresentare "Filumena Marturano" senza Titina e Eduardo De Filippo? Si può. Cristina Pezzoli, che firma la regia si tiene lontana sia dalla tentazione di "fotocopiare" l'originale, in omaggio ad una malintesa beatificazione museale dell'autore, che da quelle manipolazioni arbitrarie di registi presuntuosi. Realizza così uno spettacolo fra i migliori di questa stagione teatrale del Comunale. Amante da venticinque anni del gaudente e brillante Don Mimì Soriano,Filumena, cresciuta orfana nei bassi, con tre figli tirati su non si sa come, si finge moribonda per estorcere all'uomo che amava (e che sta per lasciarla per un'altra), davanti al prete venuto per l'estrema unzione, il sì matrimoniale.
Questo matrimonio rubato è la grande idea, il trucco che non serve tanto a mandare avanti la macchina teatrale, bensì per fare esplodere il dramma che se ne è rimasto chiuso a doppia mandata nel cuore della donna. Filumena Marturano, ovvero il simbolo della condizione delle donne napoletane alla fine degli anni '40, è anche sinonimo di caparbietà, tenacia, forza, grinta, tutti atteggiamenti guidati da una rabbia repressa che le permette così di affrontare una vita che, sicuramente, non le sorrideva. La sorregge, quindi, la voglia di andare avanti, di tenere ed allevare tre figli avuti durante unioni illegittime non dimenticando mai l'espressione "i figli son figli". Allevati di nascosto, rubando i soldi a Domenico Soriano, suo ex spasimante quando faceva la prostituta, divenuto poi a distanza di anni suo convivente per ben venticinque anni. Da questa rabbia si sprigiona la forza che le è necessaria per andare avanti senza aver mai versato una lacrima - frase ripetuta più di una volta da Filumena - senza mai abbandonarsi o piegarsi alla sua sorte di "mala femmina". Ma dopo venticinque anni Filumena vuole sposare Don Domenico che ama senza essere ricambiata; infatti questo si è invaghito di una giovane ragazza con la quale si vuole sposare. Ma Filumena strappa questo matrimonio fingendosi in punto di morte e Domenico cercherà poi di sciogliere il vincolo accusandola di imbroglio. Filumena però ha il coltello dalla parte del manico e al momento giusto confessa a Don Domenico di avere tre figli, uno dei quali avuto proprio da lui. Però Filumena non gli rivelerà mai qual è, cosicché Domenico finirà per voler bene a tutti e tre. Sarà proprio il sentirsi dire "papà", che lo spingerà ad unirsi definitivamente con Filumena, ricambiando il suo amore. 
Importanti sono i ruoli assunti dall'uomo e dalla donna. Come ne La Locandiera di Goldoni, vediamo una donna sicura di sé e consapevole di avere l'uomo in suo potere, giostrandolo come una marionetta. E accanto un uomo debole che però non vuol perdere la superiorità che tradizionalmente egli ha sulla donna, il che spesso accentua la sua inferiorità. Filumena, che domina tutta la storia e quindi tutta la scena come un vero uomo, alla fine si abbandona in un pianto sfrenato e liberatorio che riga le sue guance secche da ben venticinque anni. La rabbia si è finalmente sprigionata lasciando rinascere una donna che ha ormai perso il totale potere sull'uomo, il quale ormai si trova sullo stesso piano della moglie. Si giunge così ad un equilibrio e ad un'insperata felicità. 
Questo testo insieme comico e tragico è recitato con grande spigliatezza e bravura da due veterani del teatro quali Isa Danieli (Filumena Marturano) e Antonio Casagrande (Domenico Soriano). La Danieli è una grande protagonista, estremamente espressiva, reattiva, portata alle note esplosive più che a quelle sommessamente dolenti. La vittoria finale appare preparata durante l'intera rappresentazione, entro cui ogni tappa segna un trionfo di lei e la rievocazione di un passato di sofferenze rattenute è appena credibile in una donna che apre la personificazione stessa dell'intelligenza, dell'azione, della dismisura nel mordere i problemi del vivere quotidiano. Non vi è abbandono in questa Filumena, neppure nel celebre "E quanto è bello piangere." della scena finale. Isa Danieli non concede soste ne concessioni (verso gli altri o verso se stessa) al proprio personaggio. Evita l'interiorizzazione e le lacrime costruisce un carattere teatrale di forza assoluta ed universale. Antonio Casagrande sa passare dai toni e dai nodi dell'antagonista alla più difficile parte del maschio che comprende e cede. Eccellenti i due compari di Virginia Da Broscia e Gigi De Luca, mentre Antonello Cossia, Adriano Mottola e Antonio Spadaro colorano opportunamente i tre differenti ritratti dei figli. Cristina Pezzoli realizza la prima parte come una lotta di due contendenti sul ring con tanto di suono del gong per gli intervalli. Non convince e non nuoce. Nella seconda parte l'idea è quella di un processo pubblico che don Mimi e l'avvocato intendono intentare a Filumena, che può così gridare la sua difesa e la sua rabbia quasi fosse in tribunale. La creazione di una scena allargata, poco napoletana e spesso puntata su un gioco di esterni/interni asettici (ma di poco disturbo) è dovuta a Bruno Buonincontri, in sintonia teorica con l'assunto registico della Pezzoli, per il resto ottima leader di una dozzina di attori tutti bravi. La Pezzoli ha accentuato con il gioco degli esterni, la coralità della vicenda, ha accostato Eduardo alla Napoli più "notturna" di Viviani, marcato con durezze strinberghiane la parte iniziale della falsa agonia di Filumena, stemperato in un clima cechoviano (o alla Wilder, autore da lei frequentato), l'epilogo delle "strane" nozze.

Isa Danieli

 

Antonio Casagrande

 

Casagrande e Danieli : Foto di scena

 

 

 

 

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