In un periodo in cui la scena musicale alternative rock è
rappresentata solo da poche novità di significativo interesse ed originalità
ecco che i Freyja ci offrono l’opportunità di ascoltare qualcosa di
veramente diverso dal solito con il loro album d’esordio The Garden of a
Sleepless Man.
Il Progetto Freyja ha inizio nel 2009. La scelta del nome già lascia intuire
molto del carattere di questa band. Freyja è la più importante divinità
femminile della mitologia norrena ed è caratterizzata da due aspetti
peculiari: da un lato è la dea dell'amore, della seduzione, della fertilità,
ma dall’altro lato è la dea della guerra, delle arti magiche e degli
incantesimi.
Lo stesso carattere antitetico è presente anche nella loro musica. La
potenza sonora, arricchita da una voce femminile che riesce sempre a tener
testa, senza mai mostrare debolezze o esitazioni, al sound deciso della
band, lascia il posto anche a momenti di maggior introspezione e
delicatezza.
L’incipit del disco fa subito capire cosa ci aspetta: Mr. Black
inizia con un muro di suono che, dopo poco, viene lacerato dalla voce
tagliente di Feffa, che sembra essere fatta apposta per complementare il
sound del gruppo. Interessante la trama quasi orientale del solo finale di
chitarra, che trova comodo tappeto sul riff di basso, per poi sfumare via
con la fine del pezzo. Subito riparte la tensione con Gold from hell,
alimentata dalla distorsione quasi acida delle chitarre che, convertendosi
dopo ai suoni puliti, alleggeriscono l’impatto iniziale per preparare
l’ingresso ad una voce dal tocco volutamente più vellutato e dalle linee più
melodiche. Molto presenti basso e batteria a conferire sostegno agli arpeggi
ed alla voce dondolante di questo brano che si apre sempre più fino ad
arrivare ad un finale dal ritmo incalzante in cui anche stavolta è l’assolo
di chitarra a mettere il punto.
Con Queen of absinthium si cambia completamente ambientazione,
decisamente più suggestiva e misteriosa, con improvvise aggressioni che si
risolvono dapprima in una quiete lisergica e poi ancora una volta in spazi
molto più aperti fino a quando il riff di chitarra, come un deus ex machina,
tuona insieme agli altri strumenti fino alla fine.
Learn to die si evolve musicalmente quasi come a voler assecondare il
titolo ed il testo. Dopo un inizio deciso c’è un’evoluzione più matura e
riflessiva in cui i suoni sono regolati con meticolosa precisione per
tradurre con le note l’intenzione iniziale. Alla fine il brano impara a
morire senza esitazioni o timori ma con forza ed energia fino alla chiusura.
I don’t mind si muove su un filo di inquietudine e di soffocamento e
l’aggressività strumentale è più secca e nuda. L’immagine che si ha è quella
di un gigante che cerca di muoversi con circospezione.
Prosegue il viaggio mentale con Broken clockwork, caratterizzato da
atmosfere più malinconiche e riflessive, che ci fa scivolare in un oblio
sonoro sotto la guida dalla voce di Feffa.
Lo scenario prende forme diverse nel passaggio a The right way, brano
decisamente psichedelico e dai tratti nervosi ed incalzanti.
Dentro The prison il pulsare di batteria e basso in crescendo assieme
alle chitarre costruisce un ambiente paranoico e claustrofobico dove a
momenti di rassegnazione si alternano tentativi di fuga ed è solo nella
mente di chi ascolta la risposta su quale delle due intenzioni prevarrà alla
fine.
Verso la fine dell’album si aprono nuovi scenari con l’indecifrabile X
e scatti di nervosismo lasciano il posto a maggiori dilatazioni ritmiche e
momenti di riflessione, in cui sembra di essere immersi, per poi riemergere
in maniera più vigorosa e approdare alla spiaggia dell’ultimo brano.
Con Sleepless nights l’atteggiamento è più diretto e comunicativo e
ci porta all’apice della tensione fino a chiudere definitivamente l’album
con una serie di colpi distruttivi.
Infine ritroviamo una traccia ghost dal titolo The awakening che ha
tutta l’aria di voler rappresentare una rinascita dopo tutte le emozioni
contrastanti che si scontrano nelle altre canzoni. Il pezzo è caratterizzato
dalla dolcezza dei suoni di chitarra acustica e della voce limpida di Feffa
che accompagna fino alla fine di questo viaggio.
Complessivamente il lavoro è ben fatto, sia tecnicamente che artisticamente,
già a partire dalla grafica della copertina, del CD e del booklet. Piacevole
e diretto senza mai risultare noioso o ripetitivo. C’è un’ottima alternanza
di suoni e colori che comportano una continua scoperta acustica e mantengono
sempre viva l’attenzione. I testi non sono mai banali. Anche per un orecchio
esperto è difficile credere che sia il primo lavoro dei Freyja dal momento
che è caratterizzato da una maturità che difficilmente si ritrova in altre
band anche più datate. L’intero album è stato presentato dal
vivo il 26 Aprile 2012 al Black Cat Club di Caserta.
Senza nulla togliere al CD la resa dal vivo assume tutto un altro sapore.
Per prima cosa il soundcheck è stato fatto con meticolosa precisione,
partendo dal presupposto che bilanciare i volumi di voce, tre chitarre,
basso e batteria non è mai una cosa semplice. Ogni strumento, perfettamente
definito e senza sbavature, si sposa bene con gli altri ed il tutto avvolge
tridimensionalmente il pubblico come un’unica essenza fluida.
Il
palco viene ben tenuto da tutti, non ci sono mai esitazioni, ed i pezzi sono
stati eseguiti con grande naturalezza da parte di ogni componente della
band. Molto suggestivi gli interlude ritmico/tribali e l’artwork del palco
che hanno dato valore aggiunto allo spettacolo. Freyja Web Page:
http://www.freyja.it/ |
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