Muzak: ”Muzak”, demo, 2005.

Recensione di Max Pieri


Sonorità non facili quelle dei Muzak, alla loro prima prova di studio. La ricerca costante della dissonanza lungo il sentiero della musica strumentale, modellata su stilemi ora progressive, ora etnico rumoristici, non le rende certamente appetibili ai canali ufficiali di diffusione della musica. Tuttavia il fascino onirico e cinematografico di queste tredici tracce non lascerà indifferenti coloro che cercano di farsi stupire ancora dalle sette notte.
Il gruppo casertano affonda le mani nella matrice più trasversale degli anni ’70. “The foot”, “When a gull’s middle finger” o “Chi ha fatto marcia indietro?” trasudano echi di Gang of Four, Lounge Lizard o dei King Crimson più quadrati. Molto suggestiva è anche l’ipnosi semi balcanica di brani come “Pozzock, nou nou & the little bridge” o della più felpata “Tulpen tulip”. L’ottima sezione ritmica, composta da Stefano Salvestrini (batteria, percussioni) e Alessandro Inglima (basso, rumori), asseconda le aspre evoluzioni chitarristiche di Sossio Lupoli, in sintonia emotiva con i segnali stilistici di musicisti di frontiera quali Fred Frith, Arto Lindsay o del “più mainstream” Marc Ribot.
Spogliati delle loro vesti più ruvide e concettuali, i Muzak potrebbero togliersi diverse soddisfazioni nel circuito alternativo internazionale. Gruppi italiani similari, come gli Zu, hanno già aperto il varco. In bocca al lupo!
 

La copertina del demo dei Muzak

 

 

 

 

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